«Giù le mani dal Congo, giù le mani dall’Africa!». Papa Francesco lo dice, rivolto a chi sfrutta il Continente per le sue materie prime, davanti alle autorità del Paese nel suo primo discorso del viaggio che lo ha portato a Kinshasa. Davanti al presidente Félix Antoine Tshisekedi Tshilombo, alle autorità e ai rappresentanti della società civile e del mondo della cultura, sottolinea la sua gioia «di essere qui, in questa terra così bella, vasta e rigogliosa, che abbraccia a nord la foresta equatoriale, al centro e verso sud altipiani e savane alberate, a est colline, montagne, vulcani e laghi, a ovest altre grandi acque, con il fiume Congo che incontra l’oceano». Un Continente graziato dalla geografia, ma tormentato dalla guerra e che «continua a patire entro i suoi confini conflitti e migrazioni forzate, e a soffrire terribili forme di sfruttamento, indegne dell’uomo e del creato». Definisce «un pugno nello stomaco» la violenza che ha colpito il Congo lasciandolo «da tempo senza respiro». Incoraggia gli abitanti, che lottano «per custodire la vostra dignità e la vostra integrità territoriale contro deprecabili tentativi di frammentare il Paese», a cercare pace e riconciliazione. «Ho tanto desiderato essere qui e finalmente giungo a portarvi la vicinanza, l’affetto e la consolazione di tutta la Chiesa cattolica».
Usa l’immagine del diamante, una pietra che «ben simboleggia la luminosa bellezza di questa Terra» per dire che il Congo è se è «vero che il Paese è davvero un diamante del creato, voi, tutti voi, siete infinitamente più preziosi di ogni bene che sorge da questo suolo fecondo! Sono qui ad abbracciarvi e a ricordarvi che avete un valore inestimabile, che la Chiesa e il Papa hanno fiducia in voi, credono nel vostro futuro, in un futuro che sia nelle vostre mani e nel quale meritate di riversare le vostre doti di intelligenza, sagacia e operosità».
E allora invita ciascuno ad avere coraggio: «Rialzati», dice a ogni congolese, «riprendi tra le mani, come un diamante purissimo, quello che sei, la tua dignità, la tua vocazione a custodire nell’armonia e nella pace la casa che abiti. Rivivi lo spirito del tuo inno nazionale, sognando e mettendo in pratica le sue parole: “Attraverso il duro lavoro, costruiremo un Paese più bello di prima; in pace”».
I diamanti abbondano, in questa terra, ma abbondano ancora di più le ricchezze spirituali racchiuse in ogni cuore. Cuori che vogliono pace e sviluppo. Obiettivi che restano «possibili perché, con l’aiuto di Dio, gli esseri umani sono capaci di giustizia e di perdono, di concordia e di riconciliazione, di impegno e di perseveranza nel mettere a frutto i talenti ricevuti».
Ciascuno deve fare la propria parte, ciascuno deve mettere da parte l’odio. Parla di «colonialismo economico», dopo quello politico, di risorse che, ampiamente depredate, rendono il Paese estraneo a se stesso. «Il veleno dell’avidità ha reso i suoi diamanti insanguinati. È un dramma davanti al quale il mondo economicamente più progredito chiude spesso gli occhi, le orecchie e la bocca. Ma questo Paese e questo Continente meritano di essere rispettati e ascoltati, meritano spazio e attenzione», dice il Papa. E poi il suo appello: «Giù le mani dalla Repubblica Democratica del Congo, giù le mani dall’Africa! Basta soffocare l’Africa: non è una miniera da sfruttare o un suolo da saccheggiare. L’Africa sia protagonista del suo destino! Il mondo faccia memoria dei disastri compiuti lungo i secoli a danno delle popolazioni locali e non dimentichi questo Paese e questo Continente».
Il Pontefice chiede una diplomazia dei popoli per i popoli, «dove al centro non vi siano il controllo delle aree e delle risorse, le mire di espansione e l’aumento dei profitti, ma le opportunità di crescita della gente. Guardando a questo popolo, si ha l’impressione che la Comunità internazionale si sia quasi rassegnata alla violenza che lo divora. Non possiamo abituarci al sangue che in questo Paese scorre ormai da decenni, mietendo milioni di morti all’insaputa di tanti. Si conosca quanto qui accade». Incoraggia i processi di pace in corso e quanti si battono per progetti efficaci «volti a una crescita integrale», che lottano contro la povertà e le malattie «sostenendo lo stato di diritto, promuovendo il rispetto dei diritti umani».
Tornando al diamante, il Papa ripete che «una volta lavorato, la sua bellezza deriva anche dalla sua forma, da numerose facce armonicamente disposte. Pure questo Paese, impreziosito dal suo tipico pluralismo, ha un carattere poliedrico. È una ricchezza che va custodita, evitando di scivolare nel tribalismo e nella contrapposizione. Parteggiare ostinatamente per la propria etnia o per interessi particolari, alimentando spirali di odio e di violenza, torna a svantaggio di tutti, in quanto blocca la necessaria “chimica dell’insieme”». E, come avviene per la composizione dei diamanti, «il problema non è la natura degli uomini o dei gruppi etnici e sociali, ma il modo in cui si decide di stare insieme: la volontà o meno di venirsi incontro, di riconciliarsi e di ricominciare segna la differenza tra l’oscurità del conflitto e un avvenire luminoso di pace e prosperità».
Bisogna lavorare per un futuro che sia «insieme agli altri, non contro gli altri». Un vecchio proverbio congolese dice, con efficacia che «la vera ricchezza sono le persone e le buone relazioni con loro. In modo speciale le religioni, con il loro patrimonio di sapienza, sono chiamate a contribuirvi, nel quotidiano sforzo di rinunciare a ogni aggressività, proselitismo e costrizione, mezzi indegni della libertà umana».
Una responsabilità enorme l’hanno le istituzioni: «Chi detiene responsabilità civili e di governo è dunque chiamato a operare con limpidezza cristallina, vivendo l’incarico ricevuto come un mezzo per servire la società. Il potere, infatti, ha senso solo se diventa servizio. Quant’è importante operare con questo spirito, fuggendo l’autoritarismo, la ricerca di guadagni facili e l’avidità del denaro». Parla della necessità di favorire «elezioni libere, trasparenti e credibili; estendere ancora di più la partecipazione ai processi di pace alle donne, ai giovani e ai gruppi marginalizzati; ricercare il bene comune e la sicurezza della gente anziché gli interessi personali o di gruppo; rafforzare la presenza dello Stato in ogni parte del territorio; prendersi cura delle tante persone sfollate e rifugiate. Non ci si lasci manipolare né tantomeno comprare da chi vuole mantenere il Paese nella violenza, per sfruttarlo e fare affari vergognosi: ciò porta solo discredito e vergogna, insieme a morte e miseria. Fa bene invece accostarsi alla gente, per rendersi conto di come vive. Le persone si fidano quando sentono che chi le governa è realmente vicino, non per calcolo né per esibizione, ma per servizio». In ogni settore «non bisogna stancarsi di promuovere, in ogni settore, il diritto e l’equità, contrastando l’impunità e la manipolazione delle leggi e dell’informazione». E, infine, come si fa con un diamante grezzo, bisogna essere capaci di lavorare la pietra, «così, anche i diamanti più preziosi della terra congolese, che sono i figli di questa nazione, devono poter usufruire di valide opportunità educative, che consentano loro di mettere pienamente a frutto i brillanti talenti che hanno. L’educazione è fondamentale: è la via per il futuro, la strada da imboccare per raggiungere la piena libertà di questo Paese e del Continente africano». E invece accade che tanti bambini no vadano a scuola e «anziché ricevere una degna istruzione, vengono sfruttati! Troppi muoiono, sottoposti a lavori schiavizzanti nelle miniere. Non si risparmino sforzi per denunciare la piaga del lavoro minorile e porvi fine. Quante ragazze sono emarginate e violate nella loro dignità! I bambini, le fanciulle, i giovani sono la speranza: non permettiamo che venga cancellata, ma coltiviamola con passione!». E, nel denunciare le violenze parla anche della forza di resistenza dei congolesi e invita tutti i cittadini a lavorare per «una ripartenza sociale coraggiosa e inclusiva».