Il presidente della Cina Xi Jinping (a sinistra) con il presidente del Sudafrica Zuma (Reuters).
C’era una volta il balsamo di tigre e
le ciabattine infradito. Ci sono oggi l'edificazione dei grattacieli,
l'esportazione di computer e telefonini, la realizzazione di grandi
opere, strade, ponti, linee ferroviarie, pipe line. E via di questo
passo. Dalle ciabattine al satellite: ovvero l’evoluzione della
presenza della Cina in Africa, ieri e oggi.
Come sottolinea Prodi, nell'intervista
qui accanto, attualmente la Cina ha rapporti commerciali e non con 50
Paesi africani su 54: quindi relazioni sistematiche, capillari,
estese, costantemente in crescita nel tempo.
Perché? Tutto in nome della sete
energetica, ossia dell’estremo bisogno di Pechino di
approvvigionarsi di petrolio e gas? La grande sete c’è, ma è solo
uno degli aspetti dell'interesse cinese per l'Africa.
Un esempio? Lo Zambia. Già qualche
anno fa, nel 2006, il tema principale dello scontro politico alla
vigilia delle elezioni nel Paese africano fu la massiccia presenza
cinese. Il principale oppositore del Presidente in carica cavalcò il
malcontento anti-cinese. Il Presidente uscente vinse comunque, ma per
un pugno di voti. Ebbene, lo Zambia di petrolio ne ha, sì, ma non
era questo il centro degli interessi cinesi: erano (e sono) le
miniere, la terra, i prodotti agricoli, il legname, le materie prime.
Tanto che la Cina è diventato il primo partner mondiale dello
Zimbabwe, il primo importatore del petrolio angolano e di quello
sudanese, il primo partner commerciale del Sudafrica.
In Zambia, come negli altri 49 Paesi
con cui ha rapporti, la Cina ha interessi a tutto campo. E fa
discutere. Entusiasma alcuni (pochi) e preoccupa altri (molti). C’è
chi parla di un nuovo colonizzatore-predatore, e chi sostiene invece
che il gigante asiatico porta sviluppo, lavoro e denaro, come in
definitiva suggerisce anche Romano Prodi.
Come stanno le cose? Prendiamo la fame
energetica: petrolio e gas. La fazione “anticinese” sostiene che
il gigante asiatico non guarda in faccia niente e nessuno – tanto
meno i diritti umani – se si tratta di vendere (qualunque cosa,
dalle ciabattine infradito alle armi) o di comprare, soprattutto
petrolio e gas.
Ed è vero che la Cina ha stretto
accordi e ottenuto concessioni in tutti i Paesi petroliferi: dai
grandi produttori come Nigeria, Angola, Guinea equatoriale, Sudan,
fino a Gabon, Liberia, Ghana, Somalia, lo stesso Zambia. Un terzo del
fabbisogno cinese oggi proviene dall’Africa, e la percentuale è in
aumento.
Ma c'è anche chi sottolinea che,
quanto all'attenzione per il rispetto dei diritti umani, l'Occidente
non può certo erigersi a paladino, vista la storia dei rapporti con
l'Africa; e quanto allo sfruttamento – basti pensare al coltan
congolese, il minerale molto utilizzato nell'industria dei cellulari
e dei computer – non abbiamo molto da insegnare alla Cina.
E il petrolio? Beh, i dati
del 2012 (fonte sito Cia) mettono la Cina al secondo posto al mondo nelle
importazioni di greggio, con 5.080.000 barili/giorno. Ma è appena
sopra il piccolo Giappone, che ne importa ben 4.394.000. E davanti al
colosso asiatico, ci sono sempre gli Stati Uniti. La cifra?
10.270.000 barili/ giorno. Più del doppio della tigre asiatica.
Allora, la Cina affamerà ulteriormente
l'Africa o la salverà?