Laura Boldrini l'8 marzo, Festa della donna (foto Ansa)
Laura Boldrini lavora in una
grande stanza con le pareti
tappezzate di verde. Alle
spalle della scrivania spicca
la scultura di un gatto accucciato,
che è sempre una
presenza rassicurante. La
presidente della Camera
si accomoda su un divanetto sovrastato
da una grande tela di Sironi e
parla del suo libro Lo sguardo lontano
(Einaudi). Non è solo il racconto della
sua esperienza alla Camera. È anche
un libro affollato di volti e di storie di
italiani. Incontrati a Montecitorio e
in giro per l’Italia.
Presidente Boldrini, perché lo
sguardo lontano?
«Perché vorrei che questo sguardo
animasse la politica. Basta con le piccole
beghe fra i partiti e all’interno dei
partiti. Più si parla di polemiche politiche
e più la gente si disamora e non
legge più i giornali. Io stessa mi annoio
per questa autoreferenzialità continua.
Ma a chi interessa questo circo? Proiettiamoci sui grandi temi del futuro,
su quello che riguarda e migliora
la vita delle persone».
Però negli ultimi tempi il dibattito
politico l’ha trascinata in polemiche
con il presidente del Consiglio
Renzi. Che cosa è successo?
«Credo di avere già fatto chiarezza.
Sul Jobs act e sulla decretazione
d’urgenza ho solo difeso la centralità
del Parlamento. Da presidente della
Camera non posso che valorizzare il
lavoro delle commissioni, così come
non posso che auspicare un minore
ricorso ai decreti legge. Con la riforma
dei regolamenti stiamo proprio
fissando delle corsie preferenziali per
i disegni di legge del Governo, dando
così dei tempi certi senza bisogno della
decretazione di urgenza. Al tempo
stesso, alle opposizioni verrà garantito
di portare le loro proposte al voto
dell’aula. Quanto alle critiche all’uomo
solo al comando, stavo facendo un
ragionamento di sistema, esprimendo
la mia visione di società in cui l’associazionismo
e i corpi intermedi sono
importanti, come previsto dalla stessa
Costituzione. Sono discorsi che faccio
da tempo. Un uomo solo al comando
deresponsabilizza tutti e indebolisce
il Paese. In democrazia tutti devono
svolgere la loro parte».
Come vive queste polemiche e le accuse che a volte le piovono addosso anche dalla Rete?
«Quasi sempre non reagisco alle
provocazioni, agli attacchi scomposti
e agli insulti. Trovo penoso e preoccupante
che vi siano persone capaci solo
di offendere e minacciare. A livello
politico, poi, c’è chi mi dà della “serva”
perché sarei appiattita sulle posizioni
del Governo e c’è chi negli stessi giorni
mi accusa di essere contro Renzi. Forse
questi attacchi sono la miglior prova
della mia terzietà».
Nel suo libro c’è un’appassionata
difesa della buona politica contro
l’antipolitica. Con l’aria che tira non
le sembra quasi una missione impossibile?
«Il compito è tutto in salita perché
ci sono stati esponenti politici che
hanno dato un pessimo esempio e perché
si è insinuata nella società un’avversione
al mondo della politica e una
inaccettabile delegittimazione delle
istituzioni. Raccoglierei facili consensi
se dicessi che mi hanno messo a capo
di un’istituzione di fannulloni. Ma
non è vero. Invece vorrei che la gente
facesse pace con le sue istituzioni. Il
Parlamento, in particolare, è il cuore
della democrazia e tutti dobbiamo coglierne
il valore. In alternativa alla democrazia
che cosa resta? La dittatura».
Come si fa pace con la politica?
«Innanzitutto facendo vincere la
buona politica, il che signica sradicare
la corruzione, regolamentare l’attività
lobbistica, varare – come hanno
fatto le assemblee elettive di altri Paesi
– un codice etico di condotta per i
parlamentari. E poi spiegando quello
che stiamo facendo. Quando accompagno
i cittadini nelle visite alla Camera,
all’inizio li vedo un po’ freddini e prevenuti,
poi invece si rendono conto del
grande lavoro che si fa qui dentro e di
quanto abbiamo realizzato in questi
due anni. Faccio lo stesso nei miei incontri
sul territorio, quando vedo giovani,
precari, associazioni, imprenditori. Sono persone che vogliono risposte
ai loro problemi e per me è doveroso
ascoltare e fare da tramite con chi deve
dare risposte. La ducia si recupera con
gli atti concreti, non con le parole e le
false promesse. Si deve essere seri. Se
dici che puoi fare qualcosa, poi devi farla.
Altrimenti è meglio non dire nulla».
Nei suoi tanti incontri lei ha l’occasione
di tastare il polso degli italiani.
Che cosa sente?
«Sento che la paura non ha abbandonato
i nostri connazionali. Paura per
la crisi economica e per il lavoro che
non c’è. È come una cappa che ci opprime.
Bisogna uscire dalla crisi creando
sviluppo e nuove opportunità di lavoro.
Questa è la vera emergenza nazionale.
Però c’è anche un approccio mediatico
ansiogeno, che dà risalto soltanto agli
aspetti negativi, ma se continuiamo a flagellarci senza vedere nessuna prospettiva
davanti, non ce la faremo mai.
Perciò mi sono data il compito di valorizzare
le cose che funzionano».
Per esempio?
«Nel cuore della Sicilia ho incontrato
dei giovani ritornati da esperienze
di studio all’estero per creare un’azienda
nella loro terra. Nelle Marche
ho visto persone che hanno deciso di
investire nell’agricoltura, con la ricerca
e l’innovazione, valorizzando borghi
fatiscenti, puntando sulla qualità.
Ci sono italiani che hanno una visione
e sanno tenere lo sguardo lontano».
Lei ha avuto l’onore e l’onere di
gestire due elezioni del presidente
della Repubblica. Come ha vissuto
questi due eventi?
«La prima elezione l’ho vissuta
come una sconfitta del Parlamento, che ha costretto il presidente Napolitano
a sacrificarsi quando ormai aveva
già fatto parte del trasloco. L’opinione
pubblica ha dovuto constatare l’impotenza
del Parlamento e il clima nella
piazza era molto pesante. Con l’elezione
di Sergio Mattarella ci siamo riscattati.
È stato bello vedere un Parlamento
coeso, anche se poi fra le forze politiche
ci sono state polemiche sul metodo».
Che cosa prova quando in aula quando si scatenano scontri verbali e vere e proprie risse tra deputati?
«È uno spettacolo triste, che fa
male all’istituzione, non restituisce
dignità al Parlamento e allontana i cittadini,
che restano esterrefatti e si indignano.
I deputati dovrebbero esprimersi
con la forza delle idee, non con
i muscoli e gli insulti. Io credo che sia
necessario un impegno di tutte le forze
politiche per non arrivare a questi
punti di tensione in aula».
Come sono i suoi rapporti personali
con i parlamentari?
«Li abbiamo costruiti nel tempo, visto
che in questa legislatura la Camera
è composta in gran parte di deputati
esordienti, me inclusa. E sono quasi
sempre buoni rapporti. In particolare
sono molto soddisfatta delle relazioni
con le deputate di tutti i gruppi. Per la
prima volta il 30 per cento dei parlamentari
sono donne e si può lavorare
bene insieme. C’è un dialogo continuo
e trasversale, fatto di periodici incontri
informali, che ritengo molto utile».
In questo nuovo incarico che cosa ha portato della “vecchia” Laura Boldrini, quella impegnata con l’Onu
per i rifugiati?
«Il metodo di lavoro è lo stesso:
ascoltare, mediare, trovare soluzioni.
Senza avere alle spalle 25 anni di lavoro
tosto con le agenzie delle Nazioni
Unite non sarebbe facile svolgere il
mio compito qui alla Camera».