Ancora tu? Ma non dovevamo vederci più? I versi immortali di Lucio Battisti ben si adattano alla ricomparsa, improvvisa ma non inspiegabile, di Ibrahim Ahwed Ibrahim Ali al-Badri al-Samarrai, in arte Abu Bakr Al-Baghdadi (Abu Bakr come il califfo che fu il primo successore di Maometto, Al-Baghdadi per dire “originario di Baghdad” anche se lui è nato a Samarra), la guida suprema dell’estinto Califfato islamico, il terrorista più ricercato del mondo (sul suo capo pende una taglia da 25 milioni di dollari), l’uomo che da cinque anni non dava più segno di vita. L’avevano ferito in un bombardamento su Raqqa, si diceva, forse era morto. Una delle sue mogli, con figli, era stata arrestata in Libano. E invece eccolo qui, con un sacco di chili in più rispetto alle foto segnaletiche che gli furono scattate in Iraq quando era un qaedista qualunque, detenuto il quel Camp Bucca che gli americani avevano concepito come un supercarcere e divenne invece un vivaio di tagliagole. Calato in una scenografia fatta apposta per ricordare predecessori per lui illustri: il gilet mille tasche portato sulla jellaba, il kalashikov al fianco, intorno qualche comandante, proprio com’era nello stile di Osama bin-Laden e Ayman al-Zawahiri, il fondatore di Al Qaeda e il suo successore alla guida dell’organizzazione.
Ci si potrebbe chiedere come sia stato possibile, per Al-Baghdadi, sopravvivere a una latitanza così lunga mentre tutto intorno a lui miseramente crollava, a partire proprio dal “suo” Califfato. Sfuggire alla caccia di americani, siriani, iracheni, curdi e chissà chi altro. Sventare spiate e tradimenti, inevitabili quando le cose girano male e le offerte in denaro abbondano. A lume di naso il suo nascondiglio deve trovarsi da qualche parte nel governatorato iracheno di Anbar, feudo sunnita, da sempre la provincia più riottosa ad adeguarsi al governo centrale dominato dagli sciiti. Zone che Al-Baghdadi conosce bene, per avervi condotto il suo apprendistato terroristico.
Più importante però sarebbe capire se la sua latitanza è agevolata da qualche aiuto importante o se la sua organizzazione è ancora così ben strutturata da proteggerlo con tanta efficacia. Nel frattempo possiamo tirare qualche conclusione. Perché Al-Baghdadi ha deciso di mostrarsi, dopo un così lungo silenzio, correndo un rischio così grave? Lui sa benissimo che il suo predecessore Al Zarkawi, leader della guerriglia contro gli americani in Iraq dopo l’invasione del 2003, fu eliminato proprio poche settimane dopo essersi mostrato in video. La risposta è: perché le cose vanno male. La battaglia di Baghouz ha segnato la fine dell’ala militare dell’Isis (il Califfato già non esisteva più), quindi occorreva dare un segnale, rincuorare i residui militanti, far vedere che la guerra non è finita.
E poi le parole di Al-Baghdadi, lungi dal costituire una di quelle che ai tempi del terrorismo italiano venivano in automatico definite “deliranti dichiarazioni”, contengono un messaggio preciso. Il terrorismo di matrice islamista, in una qualunque delle sue versioni (Al Qaeda, Isis…), ogni volta che ha dovuto affrontare una sconfitta o una crisi, ha reagito indicando nuovi fronti di lotta e cercando situazioni di frizione o Paesi fragili da colpire. Infatti Al-Baghdadi rivendica gli attentati nello Sri Lanka (in Occidente si tende a trascurare che sono stati i più sanguinosi dopo quelli delle Torri Gemelle del 2001) e invita i gruppi affiliati all’Isis a colpire la Francia e gli altri “crociati” nell’Africa subsahariana.
È il segnale che l’Isis sta seguendo la parola di Al Qaeda: da movimento autonomo si trasforma in un marchio da affidare in franchising agli altri gruppi del terrorismo islamista, che da esso traggono autorevolezza nei confronti dei militanti e attenzione da parte dei media occidentali. Ora non resta che aspettare. Per vedere se un drone scoverà Al-Baghdadi di colpo imprudente e se qualcuno, da qualche parte, proverà a replicare le tragedie dello Sri Lanka.