«Ottant’anni? Non me li sento per niente. Grazie a Dio». L’hanno definito un «punto fermo della cultura pop» (Aldo Grasso), «una garanzia del made in Italy. Come il culatello o il parmigiano ha il valore di un marchio” (Il Giornale). Descritto la Tenuta Carrisi, a Cellino San Marco, la Strawberry Fields del Salento dove «come succede a Central Park, dove c’è sempre qualcuno che schitarra canzoni di John Lennon, qui i fan glorificano il loro mito intonando Felicità». Per festeggiare i suoi 80 anni ha radunato all’Arena di Verona tutti i figli: Yari, Cristél, Romina, Jasmine e Albano Jr. e, ovviamente, Romina Power con cui ha condiviso un pezzo importante della vita e della carriera. E ha duettato, nello show 4 volte 20, in onda in prima serata su Canale 5 martedì 23, con i suoi amici e colleghi, tutti grandi nomi della musica italiana: Gianni Morandi, Umberto Tozzi, I Ricchi e Poveri, Arisa, Iva Zanicchi e Renato Zero.
Al Bano, il bilancio di questi 80 anni?
«Positivo, anche se non sono mancate le pagine negative. La vita è un continuo apprendistato, le notti burrascose mi hanno insegnato molto».
Delle sue canzoni la Treccani ha scritto “molti successi di facile cantabilità e totale disimpegno”. A quale è più affezionato?
«Le amo tutte allo stesso modo. Ne ho incise più di mille e ognuna è stata una pagina di musica con la quale mi è piaciuto cimentarmi. Ora fanno parte della mia carriera. Alcune hanno avuto un grandissimo successo, altre ne avrebbero meritato molto di più».
Quali?
«Un pugno nell’anima, In controluce, Di rose e di spine. Soprattutto È la mia vita».
Sanremo 1996, Al Bano che ricomincia a cantare da solista dopo la catastrofe familiare, la scomparsa di Ylenia e il divorzio da Romina.
«Quando Maurizio Fabrizio me la fece ascoltare rabbrividii e a stento trattenni le lacrime. Poi mi ricordai della lezione di mio padre Carmelo».
Quale?
«Piangere è un atto di debolezza. Per affrontare la vita, diceva, servono grinta e coraggio».

Un momento del matrimonio di Al Bano e Romina Power, il 26 luglio 1970 a Cellino San Marco (Ansa)
Lei non ha mai pianto?
«Qualche volta sì, per Ylenia, quando ho perso i miei genitori. A loro devo tutto quello che sono».
È vero che i primi soldi che guadagnava a Milano agli inizi della carriera glieli mandò per comprare il trattore nuovo?
«Sì. Prima ancora guadagnavo 25mila lire al mese e 15 li mandavo a Cellino. Il resto pagavo la pensione in cui alloggiavo. Quando sono partito per Milano, i miei genitori non erano d’accordo. Papà voleva che facessi il contadino, mamma insegnante. Io però ho fatto tesoro di un’altra lezione di mio padre: quando vuoi qualcosa devi affrontare le difficoltà e resistere fino a quando non vedi la luce».
C’è riuscito.
«Sì. Mio padre è stato il mio Omero, mi ha educato raccontandomi la sua odissea. Quando lo spedirono in Albania per combattere vide morire molti suoi commilitoni. Poi si metteva qualcosa di bollente sotto l’ascella e quando passava l’infermiere gli trovava la febbre a 40. Riusciva a sputare sangue e non mi hai mai detto come faceva. Essendo malato, lo mandarono nelle retrovie e poi a Cellino in licenza. Mi diceva: “Perché dovevo sparare a una persona che non mi aveva fatto niente? Mi hanno mandato in guerra ma non ho mai ammazzato nessuno”. Era orgoglioso di questo. Poi per non schierarsi con Hitler, come altri seicentomila soldati italiani, fu deportato a Wletzar, in Germania, e rinchiuso in un lager».
Quando tornò definitivamente a casa?
«Il 29 luglio 1945, festa grande di san Marco a Cellino. Era uno scheletro. Ricominciò la sua vita di lavoro in campagna che allora, più di oggi, era durissima. Fu la sua salvezza».
Sua madre Jolanda che donna era?
«Straordinaria. D'inverno dormiva senza coperte per provare il freddo che pativa il marito al fronte. Quando ha concepito me aveva 18 anni. Non aveva latte e mi dava quello d’asina. Da grande, per prendermi in giro, mi diceva, in dialetto: “Hai la testa più dura dell’asina che ti ha nutrito”».

Al Bano e Romina Power al Festival di Sanremo del 1984 presentato da Pippo Baudo (Ansa)
Sulla vicenda di sua figlia Ylenia ha detto: “Io credo che ognuno sia fabbro del proprio destino. In questo caso ho avuto un totale senso di impotenza, è stato il destino a vincere”.
«È così. Scomparve la notte di Capodanno del 1994. Nei giorni successivi sentii l’avvicinarsi della disgrazia».
Quando ha capito?
«Quando chiamò la polizia di New Orleans e ci chiese: “Vostra figlia sapeva nuotare a farfalla?”. In quel momento realizzai che il dramma si era concluso».
Perché quel particolare?
«Ho parlato a lungo con l’ultima persona che l’ha vista. Mi disse che era seduta in riva al fiume Mississippi e che lui le disse che non poteva stare lì. Ylenia non se ne andava. Il guardiano insistette, allora lei gli disse “io appartengo alle acque”, e si tuffò nel fiume, nuotando a farfalla. Da quel particolare capii che il guardiano stava raccontando la verità, perché Ylenia diceva quella frase da bambina prima di tuffarsi, e nuotava a farfalla».
Cosa ha provato, dopo?
«Sentivo la voce di Satana che mi suggeriva di farla finita. Insisteva, mi braccava. Altro che il diavolo non esiste! Esiste eccome, io l’ho affrontato sulla mia pelle».
Come?
«Con la preghiera. Quando la sua voce maledetta si faceva più insistente mi facevo il segno della Croce. Poi quella voce svaniva. Come il mare in tempesta che a un certo punto si calma e diventa piatto».
È stata la tragedia di Ylenia a far finire il matrimonio con Romina?
«Sicuramente ha accelerato».
Nell’autobiografia che ha pubblicato nel 2006 a proposito dell’amore con Romina ha scritto: “Lascio la pagina bianca. Riempitela come volete: io non me la sento”.
«Ne ho lasciate due in bianco, una per Romina e l’altra per Loredana (Lecciso, ndr). Era la mia risposta al gossip, alle insinuazioni, alle chiacchiere che ho dovuto subire. Oggi rifarei la stessa cosa».
Come sono adesso i rapporti con Romina?
«Tranquilli, professionali. Se il pubblico vuole che cantiamo insieme, ci presentiamo in coppia. Altrimenti vado da solo».
C’è un altro compleanno a cui tiene molto.
«Sì, quest’anno la mia azienda vinicola compie 50 anni. Le prime bottiglie le ho imbottigliate nel 1973. Adesso ne produco un milione e mezzo l’anno ma voglio arrivare a 4 milioni ed esportarle in Cina. Qualche giorno fa ero a Forlimpopoli a fare il “firma bottiglie”. C’erano tantissimi bambini».
Come mai Madre Teresa di Calcutta fece da madrina al battesimo di sua figlia Romina jr?
«Il mio amico Renzo Allegri chiamò il vescovo di Praga molto vicino a Madre Teresa e organizzò l’incontro. Quando la vidi mi sembrò di rivedere mia madre. Sembrava un ulivo che camminava, aveva la storia della sua vita scritta nelle rughe del volto, emanava un senso di serenità e di pace».
Perché Al Bano da cinquant'anni fa sempre notizia?
«Me lo chiedo spesso anch’io. Non lo so. Sarà perché la mia vita somiglia ad una favola con risvolti drammatici. Forse è questo che intriga. Il figlio di contadini del profondo Sud che sposa la figlia di due grandi attori di Hollywood scommettendo in una fine del matrimonio dopo qualche mese. Non è andata così. Siamo andati avanti per molti anni. Abbiamo provato miele e fiele».
Pensa spesso alla morte?
«La mia rotta finale è la casa di Dio. Credo che ci arriverò. La morte, però, può aspettare (ride, ndr) ma non mi fa paura. Ho capito perché Francesco d’Assisi la chiamava “sorella”, perché assieme alla nascita è l’unica cosa sicura che ci capita».

Al Bano durante lo show "4 volte 20" che si è svolto all'Arena di Verona