Al Pacino con la fidanzata Lucila Solà
Ha un bel dire Alberto Barbera, il direttore della Mostra del cinema, che contano soprattutto le pellicole. Per richiamare migliaia di curiosi e di fans ci vogliono le star. Meglio se americane. Dopo il bagno di folla garantito nel giorno di apertura da Michael Keaton, Edward Norton ed Emma Stone, il glamour al Lido ha languito fin quando dal motoscafo attraccato all'Excelsior non ha fatto capolino uno degli ultimi mostri sacri di Hollywood: Al Pacino. Minuto (arriverà si e no al metro e 65) ma ingombrante come solo una vera star sa essere, Alfredo Pacino detto Al ha stravolto i rituali della Mostra, ha calcato con stratosferico ritardo il red carpet per colpa della sua ultima fiamma (la bella argentina Lucila Solà, che ha esattamente la metà dei suoi anni), ha firmato centinaia di autografi senza negarsi all'immancabile rituale dei selfie, ha dato spago ai fotoreporter che si accalcavano. Insomma, ha fatto tutto quello che ci si aspettava da lui, dando perfino l'idea di divertirsi. Una vecchia volpe che inganna i 74 anni tingendosi i capelli, tenuti su dal gel, indossando occhiali a specchio, braccialetti ai polsi, anelloni d'argento e pietre dure come un tempo dovevano fare i gangster. Eppure, quest'uomo maturo, che gioca fino in fondo a fare la star, quando parla sa affascinare. Riuscendo a rendere anche accettabili i due film per cui è venuto alla Mostra altrimenti, certo, non memorabili. Sia Manglehorn, in gara per il Leone d'oro, sia The Humbling, presentato fuori concorso dal regista Barry Levinson, sono centrati sulla figura di un protagonista frustrato e perdente. Nel primo caso si tratta di un solitario e inasprito fabbro di provincia, nel secondo di un attore un dì famoso ma ora confuso e in declino. Due ruoli in cui Al Pacino eccelle.
"E' vero, forse i due personaggi sono simili anche se immersi in contesti diversi. Ma è perché le loro solitudini sono uguali a quelle di molti di noi: la vecchiaia, i sentimenti dolorosi. Ci si deprime e si può scivolare nel panico”, spiega con voce profonda, intervallando pause a lunghi monologhi. “Per noi attori il peso della fama è forte. Chi fa il mio mestiere deve essere sempre brillante, avere glamour”.
L'attore in una scena del film The Humbling
Dopo cinquant'anni, non le viene mai voglia di smettere?
“Certo
che si, l'ultima volta proprio stamattina. Ma poi esco, vedo tanta gente
che mi fa festa, sento gli applausi e allora cambio idea. Anzi, non so
nemmeno se mi sia mai venuta. So di essere fortunato. La voglia di
anonimato cresce con la fama. Ma ancora mi piace quel che faccio”.
E'
mai stato vittima della depressione come i suoi personaggi?
“Se
perfino don Vito Corleone era depresso, forse lo sarò stato anch'io...
Ma ho fatto in modo di non accorgermene. Non mi piace il suono sinistro
di quella parola. Il mondo è quello che è e se ti guardi attorno
l'angoscia può sembrare inevitabile. Però, dipende da noi”.
Lei come
reagisce?
“Grazie ai miei tre figli, che sono una fonte di
illuminazione, mi stimolano ad andare sempre avanti. Amo la vita,
perfino nei momenti che possono apparire più bui. Che, vi assicuro, ci
sono stati”.
Che cos'è per lei la recitazione, una ragione di vita?
“Recitare mi ha salvato la vita, non scherzo. Ero un poveraccio
del Bronx, da ragazzo ho fatto tanti errori. Finché mi sono imbattuto
nell' Actor's Studio, quello vero con Elia Kazan e Lee Strasberg. Un
posto straordinario dove potevi dar prova del tuo talento anche se eri
povero. Se ti prendevano, era tutto gratis. A 25 anni non avevo il becco
di un quattrino e non potevo pagare neanche un misero affitto. Fu la
James Dean Foundation a trovarmi una casa. Oltre ai migliori insegnanti
del mondo, l'Actor's Studio mi diede un tetto, pasti caldi e perfino le
scarpe”.
Nella Hollywood di oggi non ci sono insegnanti validi?
“Posso soltanto dire che Hollywood è cambiata. Non è più quel luogo
aperto al mondo come ai tempi di Orson Welles. Non esiste più quello
spirito. Per carità, si fanno ancora buoni film ma oggi si banda alla
finanza, all'andamento dell'economia. Adesso si fanno film che devono
incassare. Non ho nulla contro il cinema commerciale. Giorni fa sono
andato coi miei figli a vedere I guardiani della galassia: un bel
blockbuster, divertente. Ma fare cinema, per me, significa un'altra
cosa”.