Nadeem sognava di essere come Roberto Baggio. Attaccato alla rete di quel campetto di calcio dell’oratorio di una chiesa cattolica a Karachi, guardava i ragazzi correre dietro a un pallone. Lui, cinque anni, orfano, già provato dalla vita, viveva di stenti e di espedienti. Un giorno un uomo in calzoncini e occhiali, dal volto buono, che giocava coi ragazzi in quel campo verde, gli rivolse un sorriso e un invito: «Vieni a giocare con noi!». Da quel giorno la vita del piccolo Nadeem è cambiata.
Padre Emmanuel Parvez, allora giovane sacerdote appassionato di sport, fervente animatore dell’oratorio, lo prese sotto la sua protezione, lo aiutò, gli diede una casa, si prese cura di lui mandandolo a scuola e, soprattutto, divenne suo infaticabile compagno di giochi. Su quel campetto di periferia, nella metropoli del sud del Pakistan, padre Parvez passava interi pomeriggi sotto il sole o la pioggia, accanto a centinaia di bambini che, dopo il catechismo, amavano crossare e dribblare, fino a segnare il goal decisivo nella finale del torneo di quartiere. Il sacerdote, durante gli anni di studi teologici nei collegi pontifici a Roma, aveva approfondito la sua passione per il calcio. E, tornato in patria, l’aveva trasmessa ai ragazzi pakistani.
«Credo profondamente nella missione educativa del gesto sportivo. Nell’opera pastorale, ho sempre coltivato gli sport di squadra come opportunità per promuovere valori come impegno, sacrificio, passione, rispetto, fratellanza, gioia», spiega a Credere padre Emmanuel, oggi parroco nella diocesi di Faisalabad, nel Punjab pakistano.
Studioso di mistica, Parvez ha scritto diversi saggi in lingua urdu sulla vita dei santi. E aggiunge: «San Giovanni Bosco ci insegna come attraverso il gioco si possa donare il Vangelo di Gesù Cristo. In Pakistan, da anni organizziamo tornei sportivi come occasione di crescita individuale, di dialogo interreligioso, di fraternità fra i ragazzi».
Così è nata, 18 anni fa, l’idea di organizzare un torneo di calcio amatoriale intitolato a don Bosco. Don Parvez l’ha avviato a Kushpur, villaggio agricolo del Punjab e suo luogo di nascita, dove ha trovato pieno supporto organizzativo da parte delle istituzioni e della gente. Il piccolo insediamento rurale è un luogo simbolo per il cristianesimo in Pakistan: accoglie infatti, in una nazione a larga maggioranza islamica (oltre il 90% dei 200 milioni di abitanti), tutte famiglie cristiane e solo alcune musulmane. È anche il villaggio natale di Shahbaz Bhatti, il ministro cattolico assassinato da mano terrorista nel 2011, indimenticato difensore delle minoranze religiose e alfiere dei diritti umani. Dopo la sua morte, il torneo, divenuto ormai consolidata tradizione nel villaggio, si gioca nel piccolo stadio intitolato proprio a Bhatti, sepolto a Kushpur e considerato “martire” dai cristiani pakistani.
Seme di un futuro migliore
Iniziata in sordina, negli anni la manifestazione ha raggiunto un livello impensabile per un sport come il calcio, che nel sud dell’Asia non è popolare quanto il cricket, seguito da masse di appassionati. La notizia del torneo si diffonde e ben presto don Emmanuel trova il sostegno di leader civili e religiosi musulmani che ne condividono lo spirito: unire al gesto sportivo un’esperienza di fraternità tra i giovani. Anche perché, per prendere parte al festival sportivo, ragazzi di etnie, culture e religioni diverse lasciano le loro case per un’intera settimana di divertimento, amicizia, confronto, preghiera e vita comune a Kushpur. All’insegna della convinzione che la pace e l’armonia si costruiscono con piccoli gesti quotidiani, a partire dalle nuove generazioni. E così i giovani pashtun scendono dalle impervie cime del Beluchistan, i cristiani convergono dal Punjab, dal Sindh, provincia nel Sud, giungono i team indù. Tutti accomunati da un’unica passione e dalla sana competizione.
La kermesse raduna ogni anno 30 squadre per oltre 500 calciatori ed è una felice iniziativa, in una nazione tuttora toccata dalla piaga del terrorismo e del radicalismo islamico, che spesso abusa della religione per giustificare il massacro di innocenti. Padre Parvez spiega: «Il nostro torneo è un esempio di convivenza tra culture e religioni, una goccia nel mare che alimenta la speranza di un Paese migliore, dove ogni persona possa godere dei diritti inalienabili e vivere con dignità, sicurezza e pace».