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mercoledì 16 luglio 2025
 
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Al voto con l'incubo di Boko Haram

28/03/2015  Alle urne in Nigeria, il Paese africano più popoloso ed economicamente potente insieme con il Sudafrica. Sono le consultazioni più incerte dal ritorno alla democrazia. E le violenze dell'organizzazione terrorista islamica che di recente si è affiliata all’Isis hanno infiammato la campagna elettorale degli ultimi mesi.

È l’elezione più incerta e difficile, per la Nigeria, da quando nel 2000 il Paese è tornato alla democrazia. Il voto, per i 68 milioni di aventi diritto (su una popolazione totale di 160 milioni di persone), è oggi, 28 marzo. La federazione nigeriana, una congerie di 400 etnie e lingue, è il Paese più popoloso ed economicamente potente dell’Africa, insieme al Sudafrica. Di Nigeria si parla per il petrolio (è fra i primi 8 produttori di greggio al mondo), per la corruzione (nelle stime degli osservatori internazionali è ai primissimi posti per malversazioni e abusi di potere), soprattutto per Boko Haram, l’organizzazione terrorista islamica che di recente si è affiliata al Califfato dell’Isis, condividendone l’ideologia estremista e antioccidentale.

Ed è soprattutto la “questione Boko Haram” che ha infiammato la propaganda elettorale di questi ultimi mesi. I candidati sono una quindicina, ma la vera sfida è fra due: il Presidente in carica Goodluck Jonathan e Muhammadu Buhari, generale in pensione ed ex dittatore della Nigeria per 20 mesi, tra il 1983 e il 1985. Fino alla vigilia si è continuato a dire che l’esito è quanto mai incerto. Probabilmente si risolverà a favore del’uno o dell’altro per un pugno di voti. Jonathan è cristiano, Buhari musulmano. Il primo, alle passate elezioni nelle quali i due uomini politici si erano già misurati, aveva potuto contare sull’appoggio degli Stati del Sud e del Delta del Niger (area di provenienza di Goodluck), prevalentemente cristiani e animisti; il Nord islamico aveva sostenuto in modo piuttosto compatto l’ex generale Buhari.

Quello che tutti danno per sicuro è che Goodluck ha avuto un’erosione di consenso, rispetto al voto precedente, proprio sui temi della corruzione dilagante (che il suo governo non ha saputo minimamente combattere) e sull’inefficacia della battaglia contro Boko Haram: proprio nel corso di quest’ultimo mandato di Jonathan ha messo a ferro e fuoco le regioni non orientali della Nigeria, riuscendo al assumere anche il controllo di una fetta di territorio, una sorta di secondo Califfato grande come il Belgio. Ovvio che Buhari ‒ di formazione militare, noto come inflessibile uomo d’ordine ‒ sulla lotta alla corruzione e al terrorismo ha fondato la sua campagna elettorale. Gli giocano contro, invece, l’ingombrante passato di ex dittatore e il timore dei non musulmani che il Paese subisca una sorta di islamizzazione forzata, anche nel Centro-sud. Le elezioni dovevano aver luogo il 14 febbraio scorso. Sono state rinviate al 28 marzo per poter garantire – disse il governo federale – le condizioni minime di sicurezza nelle regioni del Nord-est, sotto attacco quotidiano dai terroristi islamici.

Ma più di qualcuno dice che il vero motivo sia stato la paura di perdere di Jonathan, perché mai come in questi ultimi mesi a cavallo fra 2014 e 2015 Boko Haram aveva realizzato attentati, stragi e conquiste di pezzi di territorio. Il Presidente uscente, insomma, aveva bisogno di tempo, per poter mettere a segno qualche vittoria contro le milizie estremiste. E, in qualche modo, c’è riuscito: è di ieri, 27 marzo, la notizia, ripresa su tutti i media nigeriani, che l’esercito nigeriano ha inflitto una dura sconfitta ai ribelli, conquistando la “capitale” islamista Gwoza e costringendo i terroristi a ripiegare. Un successo – ha annunciato il governo – che si aggiunge a quelli riportati dagli eserciti di Ciad e Camerun, nel tentativo di stringere a tenaglia Boko Haram e di spazzarlo via. Una vittoria ottenuta con tempismo perfetto, dopo oltre cinque anni di inerzie e insuccessi. Quanto possa essere determinante alla ripresa di consenso di Goodluck Jonathan lo vedremo allo spoglio dei voti.

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