di don Vito Spagnolo
Il Giubileo 2025, iniziato con l’apertura della Porta santa della Basilica di San Pietro la sera del 24 dicembre 2024, è all’insegna della virtù teologale della “speranza”, quella “speranza” – scrive Papa Francesco nella Bolla di indizione del Giubileo – “che non delude”(Rm 5,5). In tempi di tensioni e guerre a livello internazionale, la speranza è la fiaccola da tenere accesa per superare, senza scoraggiarci mai, le difficoltà che man mano si presentano sui sentieri dell’umanità in cammino.
“Dove cammina, come cammina l'umanità, verso quale meta cammina questa umanità che si rinnova sempre sulla faccia della terra? L’umanità è come un grande fiume che va a gettarsi nell’eternità. Sarà salva? Sarà perduta per sempre?”. Così il Beato Alberione, fondatore della Famiglia Paolina, si esprimeva riflettendo sul senso della vita e della storia, proponendo Gesù, Via, Verità e Vita come la stella che illumina e guida la vita di ogni uomo, riempiendola di luce e di speranza. È questo il senso di questo Giubileo 2025, come anche di tutti i Giubilei del passato: un’occasione per un “incontro vivo e personale con il Signore Gesù”, come ci ricorda il Papa nella Bolla “Spes non confundit”.
Il Beato Alberione ha vissuto vari Giubilei, tra cui quello del 1950, in cui invitava i suoi figli, e il popolo cristiano tutto, a un cambiamento radicale di vita. Così scrive in un documento del tempo: “Per il giubileo occorre la vera conversione del cuore, la quale non consiste semplicemente nello stato di grazia o nell’assenza di ogni peccato grave. Implica un movimento positivo, un atteggiamento cosciente e voluto di opposizione e lotta ad ogni colpa. Occorre combattere e vincere”. Si tratta, cioè, di un vero e proprio cammino, in cui Dio fa la parte più importante, quello di mettere a disposizione e donare la sua grazia – senza la quale non si fa niente – ma poi l’uomo è chiamato a collaborare a questa “rinascita”, questa trasformazione e rinnovamento della mente, del cuore e dello stile di vita. L’uomo si trova in un cammino che richiede la collaborazione di entrambi grazia e libertà, Dio e l’uomo che camminino fianco a fianco, dove in tutte le fragilità e cadute umane interviene Dio che come una mamma rialza continuamente e con amore il suo bimbo. “Chi ti ha creato senza di te non ti salverà senza di te”, ci ricorda sant’Agostino.
Nello stesso documento il Beato accenna anche a uno sguardo verso il passato, in vista di vivere una vita nuova nel presente e camminare verso il futuro: “Riguardo al passato: spirito di penitenza e riparazione, per ogni vizio capitale. Riguardo al futuro: l’anima, nel sentimento della propria debolezza e nella previsione di tentazioni, prega, evita le occasioni, è decisa a tutto fare e tutto soffrire, per non offendere mai il Signore volontariamente: né in cose gravi, né in cose lievi”. Don Alberione, con il suo stile di abbracciare “il tutto” – tipico è il suo modo di parlare di Gesù come Via, Verità e Vita proprio per comprendere “tutto il Cristo”, come parla pure dell’uomo come mente, volontà e cuore proprio per comprendere “tutto l’uomo”, e proporre infine il cammino affinché tutto il Cristo sia in tutto l’uomo – propone ai pellegrini del Giubileo di allora come anche a noi oggi, di cogliere questa occasione per fare sintesi della nostra vita, dare uno sguardo al passato per riconoscerne le fragilità e debolezze e pentirsene con tutto cuore, ma soprattutto poi orientarsi decisamente verso il presente e futuro con il desiderio e il proposito di fare il possibile per camminare sulla via del bene, sempre e ovunque, pronti anche ad affrontare con coraggio eventuali difficoltà e sofferenze, sempre appoggiandosi alla “preghiera”, attingendo forza da Dio, verso cui si vuole sempre più crescere in intimità e amicizia, evitando in ogni cosa di seguire strade che non siano secondo la sua volontà, che – come ci direbbe il Beato Alberione – è sempre il “massimo bene” per l’uomo: non si può infatti immaginare un bene maggiore per l’uomo che il desiderio e il progetto che Dio per lui, il quale è Padre buono oltre ogni possibilità di comprensione.
Il Papa ha scelto come motto per questo Giubileo il termine “Pellegrini di speranza”. E questo è l’anno dedicato alla speranza, questa virtù che a volte sembra la più piccola di fronte alle altre due colonne del trio delle virtù teologali: la Fede e la Carità. Charles Peguy ci ricorda però, che “la speranza, dice Dio, ecco quello che mi stupisce… Questo è stupefacente. Che quei poveri figli vedano come vanno le cose e che credano che andrà meglio domattina…”. E parlando delle virtù teologali continua: “La Fede è una Sposa fedele. La Carità è una Madre. La Speranza è una bambina da nulla… Eppure è questa bambina che traverserà i mondi… La piccola speranza avanza tra le sue due sorelle grandi e non si nota neanche… il popolo cristiano non fa attenzione che alle due sorelle grandi… E crede volentieri che siano le due grandi che tirino la piccola per la mano. In mezzo. Tra loro due… Ciechi che sono che non vedono invece che è lei nel mezzo che si tira dietro le sue sorelle grandi. E che senza di lei loro non sarebbero nulla. Se non due donne già anziane. Due donne di una certa età. Sciupate dalla vita. È lei, quella piccina, che trascina tutto. Perché la Fede non vede che quello che è. E lei vede quello che sarà. La Carità non ama che quello che è. E lei, lei ama quello che sarà”. Veramente la speranza è la virtù che sollecita e trascina, è “un’àncora sicura e salda per la nostra vita” (Ebrei 6,19) posta in cielo, perché è lì che apparteniamo, ed è verso quella direzione che la speranza ci spinge a camminare, affinchè possiamo trovare la pace che il nostro cuore inquieto continuamente cerca.
Antonio Rosmini parla della speranza cristiana come un forza guaritrice “perché sapendo che vi è una sapientissima e ottima provvidenza, possiamo aspettare con certezza che anche gli avvenimenti che ci sembrano tristi, finiranno a maggior nostro bene e a gloria di Dio”. Dio fa concorre tutti avvenimenti al bene di chi lo ama e spera in lui. Il nostro Beato definisce in modo chiaro questa virtù teologale: “La speranza è quella virtù soprannaturale per cui noi confidiamo in Dio e da Lui aspettiamo la vita eterna e le grazie necessarie per meritarla quaggiù con le buone opere. È la virtù che ci dà forza nelle varie difficoltà della vita. È il balsamo salutare che calma il nostro cuore travagliato dalle passioni e dà forza alla nostra volontà nella lotta contro tutti i nostri nemici spirituali”.
Siamo invitati ad avere occhi e cuore pieni di speranza in questo anno del Giubileo e poi per il resto della nostra vita. Solo così possiamo trasformare il deserto che è spesso l’esperienza della nostra vita personale e sociale, in un giardino stupendo dove si sperimenta Dio veramente presente, veramente vicino, veramente Padre buono, sempre e ovunque disponibile per rallegrare, benedire e rinnovare i suoi figli.
Il 7 dicembre 1965, giorno di chiusura del Vaticano II, Paolo VI, con la costituzione apostolica Mirificus eventus, indiceva un giubileo straordinario (dal 1° gennaio al 29 maggio 1966) come risposta allo «straordinario evento» del Concilio e come occasione perché le Chiese locali potessero cominciare a farlo proprio: “Sappiamo che vi è il Giubileo straordinario concesso dal papa Paolo VI1. E perché noi possiamo ricevere questo grande dono, questo dono: perché possiamo purificare tutto quel che ci sia stato dell'anno e degli anni passati, sì, con una grande indulgenza plenaria, e che, quindi, con una buona volontà di incominciare una vita sempre più fervorosa secondo i vostri impegni, i vostri apostolati: apostolato che riguarda la liturgia, il servizio sacerdotale e il servizio eucaristico, sì. Perché siamo tutti servitori di Dio, umili servitori, sì”.