Alessandro Cipriani frequenta il
liceo scientifico. Nato nel 2001
a Roma, qui vive con mamma,
papà e fratello minore. Una famiglia
che è stata a Singapore, nel Grand
Canyon, a New York, in Canada e per l’Europa,
sfidando le barriere architettoniche
che si trovano quando ci si muove in carrozzina.
Alessandro, infatti, ha l’atrofia muscolare
spinale di tipo due e non cammina
se non sul suo mezzo elettrico. Anche grazie
a Telethon, ha seguito varie sperimentazioni
cliniche dando esempio di quanto
la ricerca possa dare buoni frutti. E che l’ostinazione
può portare lontano.
- Mamma Maria, partiamo dagli albori:
come vi siete accorti che c’era
qualcosa che non funzionava bene
in Alessandro e che cosa avete fatto?
«Alessandro non riusciva a mettersi in piedi.
Si sollevava in ginocchio e basta. Il pediatra
minimizzava, ma noi ci rivolgemmo
altrove e, passando dal Bambin Gesù di
Palidoro (RM), arrivammo al Gemelli. Nel
2002, giunse la diagnosi: era una forma di
Sma, una malattia genetica rara allora pressoché
sconosciuta».
- Poi le cose sono migliorate...
«In quegli anni non esisteva neppure il codice
sanitario della malattia per apporlo sui
documenti. Non c’era nulla. Ma c’era Internet,
quindi ci mettemmo a cercare informazioni.
E, fra queste, scoprimmo l’associazione
“Famiglie Sma”».
- Al Gemelli, non vi diedero molte
speranze, mi pare…
«Ci dissero di portare il bambino a casa attendendo
l’inevitabile. È stato molto brutto
ma non ci siamo arresi. Volevamo trovare il
modo per avere la meglio sulla malattia».
- Con molta forza e con molto amore,
possiamo dire?
«Noi questa malattia l’abbiamo subito odiata.
Ma c’era molta forza. Ed è strano concepire
d’odiare un qualcosa che comunque
fa parte di tuo figlio. Insomma, è tutto molto
complicato ma si semplifica a una lotta
continua fra noi e lei».
- Mamma Maria, sei stata vicepresidente
dell’associazione “Famiglie
Sma”, ma come siete arrivati a Telethon?
«Ci hanno visto in televisione. E ci siamo
messi in contatto attraverso l’associazione
“Famiglie Sma” e medici in comune. Insomma,
si è stabilita una grande rete».
- Cambiamo discorso: da dove nasce
la passione per i viaggi?
«Mio marito viaggia per lavoro e, una volta
che si trovava a Singapore, abbiamo pensato
di andarlo a trovare. Era il 2008, Alessandro
aveva sette anni e all’idea di affrontare
tredici ore di volo molti ci davano per
pazzi. C’era anche il fratellino da accudire,
naturalmente. Ma Singapore è una città accessibilissima,
così siamo partiti ed è andato
tutto meravigliosamente, tanto che ci
siamo tornati nei due anni successivi».
- D’accordo, però Alessandro si muove
in carrozzina elettrica, come si
prepara un viaggio tale?
«Controllando tutto a distanza. Verificando
più volte e fidandosi di chi ti sta offrendo il
servizio. E poi consapevoli che l’imprevisto
è dietro l’angolo. L’anno scorso, per esempio,
siamo stati in Trentino. Tutto appurato
nei minimi particolari, ma una volta arrivati…
Alessandro in carrozzina non poteva
entrare in bagno! Così quando serviva andavamo
alle terme lì vicino».
- Alessandro, ma tu non hai mai paura
di affrontare viaggi così difficili?
«Riguardo ai viaggi, nessuna paura. E per il
resto… Neppure»!
- Eppure qualche difficoltà l’avrai incontrata…
«Beh, le barriere architettoniche. Qui a Roma,
per esempio, mi muovo bene anche
sui sampietrini, ma poi trovo i marciapiedi
senza scivoli o gli autobus non accessibili.
New York noi l’abbiamo girata in metropolitana».
- Quindi all’estero tutto bene?
«Dove siamo andati sì. Formidabile passeggiare
sulla pedana trasparente con lo strapiombo
del Grand Canyon sotto. E Boston,
dove è nata la rivoluzione americana, con
le casse di tè rovesciate in mare? O Montréal,
per vedere l’azienda dove nascono i
migliori videogiochi».
- Ho capito, viaggiare ti piace… e poi?
«Sono appassionato di videogiochi»!
- E le relazioni? I compagni a scuola,
per esempio?
«Mi trovo benissimo. Non sono considerato
un leader, né uno “sfigato”. Faccio parte
del gruppo».
- Come va con tuo fratello, che so che
hai fortemente voluto?
«Ottimi rapporti. Lo prendo anche in giro e
a volte ne combiniamo qualcuna assieme».
- Come si superano le difficoltà, secondo
la tua giovane esperienza?
«È una cosa spontanea. Devi sempre essere
quello che sei. E non solo aspettare che
la società ci venga incontro, ma anche essere
noi ad andare incontro a lei».