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lunedì 12 maggio 2025
 
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Alessandro D’Avenia parla della sua Bianca come il latte, rossa come il sangue: vediamo il film

05/09/2019  Il suo romanzo è stato un caso editoriale: parla della complessità della giovinezza, delle passioni, del dolore, del senso della vita, di Dio. Ed è diventato un un cult tra gli adolescenti. Nella tarda serata di giovedì 5 settembre su Rai 2 è andato in onda il film tratto dal libro, diretto da Giacomo Campiotti. Riproproniamo un'intervista all'autore

Lo hanno accostato a Federico Moccia e a Paolo Giordano, perché scrive di giovani ed è letto da giovani. Bianca come il latte rossa come il sangue (Mondadori) ha già venduto oltre 100 mila copie, ha un buon successo all’estero e diventerà un film prodotto da Rai Cinema. Ma Alessandro D’Avenia schiva i confronti e preferisce parlare di amore, dolore e grandi domande attraverso gli occhi del suo protagonista sedicenne, Leo. Così unico e così simile agli adolescenti ai quali il professor D’Avenia insegna Lettere da 10 anni, e dai quali si fa fatica a distinguerlo per l’apparenza giovanissima dei suoi pur giovani 33 anni. Il nucleo di Bianca come il latte rossa come il sangue è quell’intreccio di giovinezza, amore e morte che da sempre appassiona i ragazzi, anche nei nostri tempi ordinari. Infatti, il protagonista Leo, voce narrante, è un sedicenne qualunque, per quanto sensibile. Che scopre il rosso dell’amore nella bellezza della “magica” Beatrice, e affronta il bianco, che per lui è il dolore nella malattia di lei. Ma sarà l’esperienza del dolore a renderlo più adulto.

D’Avenia, oltre a raccontare una storia, ha voluto affrontare un tema più generale?

«La mia sfida era riuscire ad andare oltre le superfici dell’adolescenza, eliminare le maschere tipiche di quell’età e vedere cosa c’è sotto. Perché questo cuore profondo dell’adolescenza da 10 anni a questa parte lo tocco, in contesti molto diversi: ora al Collegio San Carlo di Milano, ma in passato durante i doposcuola nei quartieri disagiati di Palermo. Mi interessava capire cosa c’è in comune tra tutti gli adolescenti italiani, quali sono le domande che caratterizzano ognuno di loro».

Le domande di Leo riguardano gli eterni grandi temi della giovinezza. L’adolescenza è sempre la stessa?

«Oggi c’è l’idea che gli adolescenti siano diventati più complessi. Secondo me, è diventato tutto semplicemente più veloce. La generazione precedente non sta al passo, e la frustrazione di non poter controllare tutto crea toni molto più alti. Si tratta, da parte degli adulti, di avere un po’ più pazienza, sopportare di non capire, perché gratta gratta trovi che è ancora più forte la sete di risposte sul senso della vita, sull’orizzonte in cui collocare le proprie scelte, la propria identità. Il fatto di entrare in contatto a 15 anni con molte più cose, paradossalmente ti rende più superficiale e più disperso nella realtà. Loro poi cercano la trascendenza attraverso relazioni fittizie, virtuali, che possono essere Facebook, l’iPod, l’iPhone, l’ultimo ritrovato della tecnica. È soltanto un rimandare la risposta alla domanda “cosa ci sto a fare io su questa Terra?”, perché tanto nessuno dà la risposta. Ma se la risposta è l’iPod, un oggetto, è chiaro che si tratta di un rimandare, attraverso una serie di oggetti, questa identità. Io ricevo tante lettere di ragazzi che hanno letto il mio libro e ringraziano che finalmente qualcuno dia risposta a temi come il dolore, che qualcuno parli di Dio, non perché è il Dio dei cattolici, ma come orizzonte di senso».

Cosa chiedono i ragazzi agli adulti?

«Chiedono dei modelli. Mi ha scritto una ragazza di 17 anni: “Io ho bisogno di qualcuno che creda ancora nel bene, perché è triste a 17 anni non credere più nel bene”. In tante lettere che mi arrivano vedo la sete di un pensiero forte, di risposte a domande che hanno adesso. Perché la vita è semplice, anche se questo non significa che sia facile viverla. Semplice perché sono tre le cose di cui abbiamo bisogno: la bellezza, la verità e il bene. Quando un ragazzo le tocca, non torna più indietro. L’uomo ha bisogno di maestri, e i maestri cosa fanno? Hanno compassione di te, e poi ti spiegano come fare. Il punto è se noi adulti, che abbiamo il compito di essere le guide di questi ragazzi, abbiamo questa doppia caratteristica. Se oggi le adolescenze non finiscono, è perché i ragazzi non vengono introdotti alla realtà. Io a Palermo ho avuto come professore di liceo padre Pino Puglisi: per le cose che diceva in classe, quest’uomo viveva, e ci viveva a tal punto che ci è morto (ucciso dalla mafia nel 1993, ndr). Quell’uomo, col suo esempio, ha cambiato la vita di un’intera scuola».

Per Leo, Beatrice è l’amore romantico, e Silvia la possibilità dell’amore reale...

«Intanto, volevo provare a raccontare l’amore tutto intero. Vedo che i ragazzi percepiscono dell’amore solo l’aspetto romantico, da pelle d’oca. Credono per questo di essere innamorati e al primo momento di crisi pensano che l’amore sia finito, mentre è il momento in cui l’amore vuole cominciare a crescere sul serio. Invece, quello romantico è pura promessa, l’amore tutto intero, con le sue fatiche, ti riempie la vita. Volevo raccontare l’amore nella sua quotidianità, quello che mi hanno insegnato i miei genitori: che “per sempre” è sinonimo di “per le 24 ore”. A me piace moltissimo che nel Vangelo Gesù usi come unità di misura le 24 ore. Questo è un po’ quello che bisogna insegnare a questi ragazzi, che il tutto, la pienezza, la puoi declinare nelle 24 ore. Anche il grande amore».

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Bianca come il latte, rossa come il sangue, il libro

€ Leo è un sedicenne come tanti: ama le chiacchiere con gli amici, il calcetto, le scorribande in motorino e vive in perfetta simbiosi con il suo iPod...

Bianca come il Latte, Rossa come il Sangue, il film

L'amore tra Leo e Beatrice nel film tratto dal romanzo di Alessandro D'Avenia.

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