Diciamoci la verità: c’è un’unica ragione per cui non assistiamo e non assisteremo alle dimissioni del ministro degli Interni Angelino Alfano e del ministro degli Esteri Emma Bonino, ed è l’estrema debolezza dell’attuale governo, che dovrebbe rappresentare le “larghe intese” e invece non fa che mostrare i propri “ristrettissimi limiti”. Solo la fragilità generale protegge i due ministri e permette loro di non trarre le conseguenze della figuraccia galattica che abbiamo fatto di fronte al mondo con la vicenda di Alma Shalabayeva e della figlia Alua, 6 anni, arrestate con un blitz di 40 uomini e deportate in tutta fretta con un misterioso volo privato verso il Kazakhstan dove il loro marito a padre, Mukhtar Ablyazov, è ricercato per truffa, mentre la Gran Bretagna lo protegge come rifugiato politico e oppositore del padre-padrone del Kazakhstan, Nursultan Nazarbaev.
Chi ha un minimo di esperienza delle Repubbliche ex sovietiche dell’Asia Centrale sa che non bisogna esaltarsi troppo con certi dissidenti. Ablyazov è stato in passato uno dei “protetti” di Nazarbaev e poi anche ministro del Petrolio, cioè il regolatore della risorsa principale di un Paese che vive esportando energia e l’uomo di fiducia di un regime che su gas e petrolio si è arricchito a dismisura. Ma il problema non è il Kazakhstan (con cui peraltro facciamo succosi affari: siamo i quarti investitori dopo Usa, Gran Bretagna e Olanda), il problema è l’Italia.
Che Paese siamo, se il ministro degli Interni viene allegramente ignorato o scavalcato su una questione di questa importanza e di questo valore simbolico? Che Governo abbiamo, se il ministro degli Esteri nulla sa di una vicenda che coinvolge un Kazakhstan dove, per dirne una, l’Eni partecipa al 20% nei diritti di sfruttamento del più grande giacimento di gas naturale del mondo?
Tutto questo, come vedete, senza nemmeno tirare in ballo concetti per nulla secondari come giustizia e umanità, e l’eventuale correttezza di regole e procedure che hanno consentito di espellere dall’Italia una madre e una figlia che vi erano tranquillamente e regolarmente entrate un anno fa, attraverso la frontiera con la Svizzera. Un minimo senso della decenza, politica e non, imporrebbe ai due ministri coinvolti di lasciare subito le poltrone che occupano. Se sapevano, perché sapevano. Se non sapevano, perché in un ruolo così importante non sapere non è una giustificazione ma un’aggravante.
Lo diciamo nella perfetta consapevolezza che non lo faranno. Perché il senso della decenza non esiste più e perché da tempo, come è stato acutamente scritto, i nostri politici preferiscono passare per fessi (non sapevo, non mi hanno detto, non mi ero accorto, non pensavo che…), contando sul fatto che la gente dimentica e un nuovo incarico prima o poi arriva, piuttosto che per responsabili. E’ lo stesso principio per cui il vice-presidente del Senato (vice della seconda carica dello Stato!) Roberto Calderoli prima insulta il ministro Kyenge e poi mugugna giustificazioni insostenibili, si arrampica sui vetri, inventa una sciocchezza dietro l’altra. Pronto naturalmente a ripetersi, sia nell’insulto sia nell’arrampicata, nella migliore tradizione di Umberto Bossi, alla prima occasione favorevole.
Per carità, serve a poco. Ma possiamo almeno dire che, da italiani e da elettori, non ne possiamo proprio più?