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mercoledì 18 settembre 2024
 
il dramma
 

Alfie, il miracolo della vita fino all'ultimo respiro

26/04/2018  Gli hanno staccato il respiratore il 23 aprile alle 22.17, ma non è morto. La sua stupefacente vitalità ha costretto i giudici ad un’ulteriore udienza dove, ancora una volta, hanno impedito ai genitori di portare il figlio in Italia

Alfie Evans deve morire. Non sono bastate le lotte dei genitori, indomiti e disperati. Non è bastata la mobilitazione internazionale di tanti cattolici e uomini di buona volontà. Non sono bastati la preghiera e gli appelli insistiti e via via sempre più drammatici di papa Francesco. Non è bastata la disponibilità offerta dall’ospedale pediatrico Bambino Gesù, di proprietà della Santa Sede, di accogliere il bimbo nella sua struttura. Non è bastata la decisione del governo italiano di concedere la cittadinanza italiana ad Alfie per rendere più agevole il suo trasferimento nel nostro Paese.

Alfie doveva morire nell’arco di pochi minuti, una volta staccato il respiratore alle 22.17 di lunedì 23 aprile. Con i “conforti medici” del caso: «Posizionato con cura sui grembi di Mr Evans e Ms James, se lo desiderano. E dopo che la morte sarà stata confermata, la famiglia potrà lavarlo, vestirlo e passare del tempo con lui». Così c'era scritto nel “protocollo” per la morte di Alfie, notificato ai suoi genitori Tom e Kate dall'Alder Hey Children's Hospital di Liverpool.

Ma Alfie non è morto, nei tempi e secondo le modalità preventivate dai medici. Per tutta la notte tra il 23 e il 24 aprile i genitori hanno praticato la respirazione bocca a bocca al bimbo. E Alfie, anche senza il tubicino dell’ossigeno, ha continuato a respirare. Da solo, per ore e ore. Al punto che il giorno dopo i medici dell'ospedale, clamorosamente smentiti dai fatti, hanno dovuto ridargli ossigeno, acqua e cibo.

«Un miracolo della preghiera», lo ha definito monsignor Francesco Cavina, il vescovo di Carpi che il 18 aprile aveva accompagnato il padre di Alfie dal papa, per «un piccolo guerriero che vuole vivere». Lunedì, 23 aprile la presidente dell’ospedale Bambino Gesù, Mariella Enoc, si era recata di persona a Liverpool, mentre un aereo speciale era pronto a decollare da Roma con a bordo una équipe medica.

Lo stesso papa Francesco si era nuovamente espresso a sostegno di Alfie, con un tweet: «Rinnovo il mio appello perché venga ascoltata la sofferenza dei suoi genitori e venga esaudito il loro desiderio di tentare nuove possibilità di trattamento». Il giorno dopo, martedì 24 aprile, la vitalità stupefacente di Alfie ha “costretto” il giudice inglese che fin dall'inizio si è occupato del caso e che la sera prima aveva dato l'ordine di farlo morire, a riconvocare le parti in udienza, a Manchester, nel pomeriggio.

Mariella Enoc: «Una battaglia ideologica sulla pelle di Alfie»

Anthony Hayden, questo il nome del giudice, ha sempre sostenuto che ad Alfie doveva essere procurata la morte, in quanto essa coincideva con “his best interest”, con il suo migliore interesse. E questa era anche la tesi dall'Alder Hey Children's Hospital di Liverpool in cui il bambino era ricoverato. Contro il parere opposto dei genitori che volevano e vogliono sperare ancora e tentare di portarlo in Italia dove, oltre al Bambino Gesù, anche l'ospedale Gaslini di Genova ha offerto la sua disponibilità.

Al termine dell'udienza il giudice ha respinto la richiesta degli avvocati di Tom Evans di autorizzare la partenza immediata di Alfie per Roma. Ma ha dato mandato all'Alder Hey Children’s Hospital di decidere se e come dimettere il bambino – ora cittadino sia inglese che italiano –, con la conseguente, ipotetica, facoltà per i genitori di portarlo dove ritenessero opportuno. Respinta sia l'argomentazione dell'avvocato di papà Tom Evans, che contestava un giudizio precedente errato, sia quello del legale di mamma Kate, che puntava sulla sopravvivenza inaspettata del bambino nonché sulla cittadinanza italiana concessa ad Alfie per invocare la libertà di circolazione interna all'Ue, di cui il Regno Unito fa ancora parte.

Un rifiuto che Mariella Enoc si aspettava, dopo che i dirigenti dell'Alder Hey Children’s Hospital nemmeno avevano voluto incontrarla, quando si era recata a Liverpool, e dopo aver visto compiere, durante la sua visita a quell’ospedale, «troppi movimenti non utili al bambino. Hanno ingannato la famiglia», è oggi il suo giudizio. «Si sono messi contro. E credo che ciò sia il risultato di una battaglia ideologica».

In una drammatica corsa contro il tempo, i genitori di Alfie continuano a lottare e discutono con i medici per portarlo a casa. «Siamo stati respinti ieri per andare in Italia, purtroppo», ha detto Tom Evans. «Potremmo spingerci oltre, ma sarebbe la cosa giusta da fare, ci sarebbero più critiche? Quindi quello che facciamo oggi è un incontro con i medici di Alder Hey e ora iniziamo a chiedere di andare a casa». Tom Evans ha aggiunto: «Alfie non ha più bisogno di cure intensive. Alfie è sdraiato sul letto con un litro di ossigeno. Alcuni dicono che è un miracolo, non è un miracolo, è una diagnosi errata».

Il 18 aprile era intervenuta la conferenza episcopale dell'Inghilterra e del Galles, presieduta dal cardinale Vincent Nichols, con una dichiarazione salomonica: «Noi affermiamo la nostra convinzione che tutti coloro che stanno prendendo decisioni angosciose riguardanti la cura di Alfie Evans agiscono con integrità e per il bene di Alfie, secondo come lo vedono».

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«Alfie è parte della famiglia italiana»
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