E’ finito il campionato ma sui giornali c’è un derby che impazza. Si gioca tra Susanna Camusso, Cgil, e Matteo Renzi, Pd. In palio è la patente di leader più democratico dell’anno. E’ un duello fatto di affondi verbali e staffilate dialettiche. Si discute di concertazione, per l’una indispensabile, per l’altro un impaccio a decidere in fretta. Lei a dire un giorno che i sindacati non possono essere ignorati (pena “distorsione della democrazia”), lui a ribadire il giorno dopo che tocca al Parlamento fare le leggi (comprese quelle che piacciono poco ai sindacati, come il decreto Poletti). E poi tutto un discettare di trasparenza, innovazione, capacità di svecchiare strutture e leadership. E’ un segno dei tempi: le rappresentanze – siano politiche o sindacali – sono tutte alla ricerca di un santo Graal che eviti il deperimento e riduca la sacca di insoddisfazione che - dicono i sondaggi - terrà lontano dalle elezioni europee più o meno il 40% di elettori.
La discussione ha tenuto banco al congresso della Cgil di Rimini. Tra i più acclamati dal palco, non a caso, Maurizio Landini, leader della Fiom e minoranza interna iper-critica nei confronti del segretario. Che ha detto per strappare applausi e “tituli” nel derby mediatico Camusso-Renzi? Che occorre rendere il sindacato una “stanza di vetro”. Trasparente a partire dai bilanci e dal modo in cui vengono impiegate le risorse. E chiaro nelle procedure di nomina dei dirigenti.
Sul primo punto, Camusso aveva già risposto. A Renzi che chiedeva conto sul tema, il segretario ha già detto nei giorni scorsi che i bilanci della Cgil sono pubblici dagli anni 70, ci aveva già pensato Luciano Lama. Nulla di pervenuto invece sulla scelta del ceto dirigente. Eppure non suona solo come una provocazione l’idea di proporre primarie anche per la scelta del leader della Cgil. Per carità, non sarebbe certo operazione facile. Ma pensate cosa sarebbe stato il Congresso di Rimini - che per lunghezza cronologica, ampiezza di dibattito, numero di interventi è forse l’ultimo grande rito democratico rimasto in piedi dalla politica del secolo scorso - se si concludesse con la nomina e l’insediamento di un leader scelto “democraticamente” dalla base. Se fosse cioè l’atto finale di una consultazione, estesa ovviamente soltanto agli iscritti, sui programmi e i leader migliori per orientare l’azione sindacale del futuro. Sarebbe la risposta giusta e virtuosa in questa gara (molto a beneficio dei media) tra politica e sindacati alla “democrazia diretta”. La prova che anche una organizzazione matura in senso anagrafico sa fare i conti con lo spirito del tempo, e riesce a coniugare la “gestione della complessità” di una società evoluta con processi chiari e lineari di scelta della leadership.
Se la Cgil vuol davvero essere una casa trasparente, se non vuol fare la fine dei minatori inglesi (Sergio Cofferati dixit) e vuol continuare ad avere radici popolari, inizi da qui. Primarie per il suo segretario, proprio come ha fatto il Pd di Renzi. Tutto il resto seguirà.