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sabato 15 marzo 2025
 
Covid e demografia
 

Allarme denatalità, il primo lockdown non ha favorito la procreazione

12/04/2021  Il dato viene dall'ospedale Burlo di Trieste: nove mesi dopo  le nascite sono passate dalle 308, del corrispondente periodo dell’anno precedente, alle attuali 247. Si tratta di un calo del 20%. Un ulteriore segnale per correre ai ripari.

Il confinamento fa male alla natalità. Lo dimostra uno studio condotto dai pediatri e ginecologi dell’Irccs “Burlo Garofolo” sui concepimenti durante il lockdown Covid correlato del 2020. Secondo le analisi portate avanti dal Burlo, infatti, durante i mesi del 2020 in cui gli italiani sono stati costretti a rimanere chiusi in casa per effetto delle disposizioni normative anti-pandemia, i concepimenti sono diminuiti del 20% con una conseguente calo delle nascite nove mesi dopo che, al Burlo sono passate a 247 dalle 308 del corrispondente periodo dell’anno precedente. 
Seppur limitato all’andamento delle nascite in un solo ospedale e al solo periodo considerato, il dato è talmente impressionante (tanto più se si considera che, invece, le nascite complessive al Burlo sono in aumento dalle 1417 del 2019 alle 1474 del 2020), che la rivista europea di riferimento Acta Paediatrica dello svedese Karolinska Institutet, ha deciso di pubblicare lo studio. 
Secondo gli autori della ricerca, poi, il dato rimane impressionante, anche tenendo conto del trend in discesa delle nascite in Friuli Venezia Giulia del 4% circa. Volendo fare un confronto storico, infatti, il calo di concepimenti è molto maggiore anche di quello che era stato documentato ai tempi della catastrofe di Chernobyl, in cui le nascite in Italia erano calate del 5-7% in funzione della paura delle possibili conseguenze del fall-out sulle gravidanze. 
Va, poi, sottolineato che nello stesso periodo preso in esame dai pediatri e ginecologi dell’Irccs triestino, non si è osservato un aumento delle nascite pretermine, dei parti cesarei né della necessità di ricoveri in terapia intensiva. In sostanza non c’è stato un impatto sugli esiti delle gravidanze sulla qualità delle cure. Si è invece osservato un calo delle interruzioni volontarie di gravidanza sempre nell’ordine del 20% circa.«Si tratta di un risultato purtroppo atteso» afferma Egidio Barbi professore dell’Università di Trieste e direttore della Clinica Pediatrica del Burlo, nonché coautore dello studio «che aggrava il trend di denatalità del nostro Paese e che deve imporre un cambio di passo. Si tratta chiaramente di un fenomeno complesso e multifattoriale, ma almeno, in concreto, vi è una necessità urgente di politiche di supporto dedicate, a partire dalla realizzazione di asili nido accessibili per tutti, alla facilitazione al lavoro dei genitori con figli, alle politiche di riduzione dei costi indiretti e a un ulteriore incremento della offerta educativa». 
Gli autori principali dello studio, dottor Giampaolo Maso responsabile dell’Ostetricia e dottor Francesco Risso responsabile della Neonatologia che sono stati coadiuvati dagli specialisti in formazione Andrea Trombetta e Melania Canton, sottolineano come «tra le possibili cause di questo calo dei concepimenti ci possano essere la crisi economica, la preoccupazione per il futuro occupazionale, gli aspetti psicologici e sociali correlati alla pandemia e al lockdown». 
Lo studio, pur avendo investigato un solo centro, secondo Barbi «fotografa una realtà ben definita e vuole essere uno stimolo per ricerche più allargate e riflessioni urgenti, anche alla luce della persistente incertezza generata dal perdurare della pandemia e della crisi correlata. Parafrasando Shakespeare» conclude il direttore della Clinica Pediatrica del Burlo «questo è “l’inverno del nostro scontento” demografico, ma parlarne non basta, è ora di cercare rimedi».
 

Un rapporto dell’Istat di febbraio. tuttavia. mostra come il numero di bambini nati in Italia tra gennaio e agosto (quindi concepiti prima del coronavirus, nel periodo che va da aprile a novembre 2019) fosse già in calo del 2,3% rispetto allo stesso periodo del 2019. Non si hanno ancora i dati definitivi sulle nascite di novembre e di dicembre del 2020, ma l’Istat li dispone per 15 città italiane in cui vivono 6 milioni di persone, che nel 2019 erano state responsabili del 10,6% di tutti i nuovi nati.In queste città, nel 2020 i nati sono stati in media il 5,2% in meno rispetto al 2019: nei primi dieci mesi sono calati del 3,25%, a novembre dell’8,21%. Ma a dicembre, come si è detto il primo mese in cui sono nati bambini concepiti durante la pandemia, il calo è stato drasticamente maggiore: del 21,6%.Considerando tutti i dodici mesi del 2020, l’unica città tra quelle considerate ad aver registrato un aumento di nati è Foggia (+ 2%), mentre quella con il calo maggiore è Bari ( -16%); Milano si avvicina al -5%, Napoli supera il -6%.

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