di Ivano Zoppi
Segretario generale di Fondazione Carolina
Pare non ci sia più il confine, il limite alle “imprese” cui stiamo assistendo in questi giorni. Milano, a dispetto della calma di Ferragosto, riesce comunque a far parlare di sé: dalla Galleria Vittorio Emanuele imbrattata alla scalata della guglia più alta del Duomo.
Ai molti appaiono incomprensibili le motivazioni che spingono sempre più ragazzi a compiere questi atti estremi. Rischio? Avventura? Fame di adrenalina? Certamente queste “gesta” vanno al di là delle semplici bravate e possono mettere a rischio se stessi e gli altri, per non parlare del patrimonio comune e, in questo caso, artistico.
L’importante è spingersi sempre “oltre“. Oltre il lecito, il buonsenso, il limite. Lo scopo è sempre quello: essere riconosciuti, diventare famosi, soprattutto nella Rete. Cosa sei disposto a fare per un pugno di like?
L’ultima moda è quella di arrampicarsi su edifici storici, piuttosto che ultra moderni, purché siano immediatamente riconoscibili e… “instagrammabili! Gli stessi luoghi turistici, teatro di milioni di selfie, diventano trofei da esibire sui social, anche a costo di rimetterci la pelle o, quantomeno, di rischiare la galera. È il caso dei due giovani francesi che hanno scambiato il simbolo gotico di Milano per una parete da arrampicata. La ricerca spasmodica di “elevarsi” tradisce, però, una carenza di profondità. Una sorta di ansia che spinge molti loro coetanei a vivere tutto di corsa: sentimenti, esperienze, giudizi e relazioni.
Vanno veloci, perché la calma della lentezza li costringerebbe a guardarsi dentro e affrontare domande scomode, che necessitano di risposte vere, ponderate, sulla propria identità. Cosa è mancato nel percorso di costruzione della tua personalità? Che vai cercando in questo modo? A mio modo di vedere, c’è anche un tentativo di anestetizzare la noia, la solitudine della quale si ha paura. Quindi si ricerca quella socialità troppo spesso fittizia dei social, che ti danno visibilità, affermazione. Ma tutto passa, un video dura una manciata di giorni, ore. Allora bisogna sempre andare in cerca della prossima sfida, del prossimo brivido… Pur sapendo che l’effetto sarà terribilmente temporaneo. Poi torna quello che Montale chiamava “Mal di vivere”. Analogico o digitale cambia poco.