la malattia di Alzheimer
Si celebra il 21 settembre in tutto il mondo la XXIII Giornata dell' Alzheimer, malattia neurovegetativa che pregiudica le cellule cerebrali, causando la progressiva perdita della memoria, l’inabilità totale e quindi la morte.
Nel mondo, secondo il Rapporto Alzheimer 2015, le persone che soffrono di questo morbo sono 46,8 milioni (la cifra è in continuo aumento: nel 2010 i casi erano stimati a 35 milioni). Enormi sono pure i costi sanitari e sociali causati da questa forma di demenza senile degenerativa: si è calcolato che si spendono più di 800 miliardi di dollari e nel 2018, a causa del progressivo invecchiamento della popolazione, si potrebbe superare i mille.
Nel nostro Paese il morbo colpisce circa 600mila persone sopra i sessant’anni. Hanno mediamente 78,8 anni e il 72% di loro è pensionato. Secondo l’ultima ricerca realizzata dal Censis con l’Aima (Associazione Italiana Malatia di Alzheimer), i costi diretti per la loro assistenza ammontano a oltre 11 miliardi di euro, di cui il 73% a carico delle famiglie. Il 38 per cento ha il supporto di una badante.
Fu il dottor Alois Alzheimer, psichiatra tedesco, a descrivere per primo in letteratura, nel 1910, i sintomi della malattia che avrebbe preso il suo nome. Il primo caso documentato fu la signora Auguste Deter, paziente del dotto Alzheimer, nel 1901, che all’epoca aveva 51 anni. In seguito il medico tedesco affidò al giovane collega e collaboratore italiano Gaetano Perusini, eccellente neurologo udinese, il compito di cercare pazienti che soffrissero di sintomi analoghi. Gli studi di quest’ultimo furono decisivi per definire la malattia, tant’è che oggi è riconosciuto come co-scopritore dell’Alzheimer.
Uno dei primi sintomi della malattia è la difficoltà a ricordare i fatti accaduti di recente e l’incapacità di acquisire nuove informazioni. Ma non è l’unico campanello d’allarme. Accompagnano questo sintomo lievi problemi d’attenzione e di elaborazione di pensiero astratto. Tra i sintomi premonitori ci sono, poi, difficoltà nelle attività quotidiane, problemi di linguaggio, disorientamento nel tempo o nello spazio, diminuzione nella capacità di giudizio, sbalzi repentini d’umore, episodi di apatia e mancanza d’iniziativa, perdita di inibizione.
Pare che il morbo sia dovuto un accumulo anormale di alcune proteine nel cervello. Allo stato attuale non esiste una terapia in grado di debellare la malattia e la diagnosi di Alzheimer è spesso complicata, confondendosi spesso con altre forme di demenza, di origini diverse, che interessano altre 600 mila persone ultrasessantenni in Italia.
Rispetto alle cause che determinano questa grave malattia, di recente uno studio italiano ha ipotizzato una correlazione diretta tra Alzheimer e alcuni microbi intestinali che causerebbero una serie di alterazioni di tipo infiammatorio. Si riapre il dibattito tra gli studiosi circa l’origine infettiva del morbo, decisamente negata da una parte degli esperti. A scoprire questo legame è stato un gruppo di scienziati dell'Irccs Fatebenefratelli di Brescia, con a capo i ricercatori Giovanni Frisoni e Annamaria Cattaneo, che hanno pubblicato lo studio su Neurobiology of Aging. La ricerca punta l’attenzione su due proteine chiamate Amiloide e Tau, prodotte prodotte normalmente dal cervello. Quando sono in ecceso però portano alla degenerazione dei neuroni, che a sua volta causa la perdita di memoria e di autonomia tipica dell'Alzheimer. I ricercatori hanno scoperto che "le alterazioni infiammatorie sono invariabilmente associate con depositi di amiloide e tau, anche se non è ancora chiaro se l'infiammazione preceda o segua la malattia".
Non è affatto certo, quindi, che questo accumulo di batteri intestinali siano la causa dell’Alzheimer, ma la correlazione tra microbi, cervello e malattia è ipotizzabile e questo “è un percorso di ricerca che merita di essere ulteriormente esplorato", affermano glia autori dello studio.