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Gabriella Salvini Porro: "Dalla cura al prendersi cura"

19/09/2013 

Sensibilizzare l'opinione pubblica, le istituzioni e i media sul problema dell'Alzheimer, fornire gli strumenti necessari per affrontare la malattia e cercare di migliorare la qualità di vita del malato e dei suoi familiari. È questo l'obiettivo dell’ incontro pubblico gratuito "Alzheimer. Informare per conoscere - Cura, Ricerca, Assistenza", organizzato dalla Federazione Alzheimer Italia a Milano sabato 21 settembre, dalle ore 9 alle ore 13, presso la Sala Alessi di Palazzo Marino, sede del Comune di Milano. Fatto in occasione della celebrazione della XX Giornata Mondiale Alzheimer e dei Venti Anni della Federazione Alzheimer Italia, l'incontro è rivolto ai familiari dei malati, agli operatori del settore e a tutti i cittadini che desiderano conoscere, capire e approfondire la malattia di Alzheimer. Alzheimer Café e Rapporto Mondiale 2013"Alzheimer: un viaggio per prendersi cura" sono i temi discussi dai relatori internazionali; contestualmente verrà inaugurato il nuovo Pronto Alzheimer presso la Fondazione Golgi Cenci di Abbiategrasso.

Gabriella Salvini Porro, presidente della Federazione Alzheimer Italia, da anni si occupa della patologia. Da quando, dopo che si ammalò sua madre, scoprì cosa fosse e decise di mettere a servizio di tanti parenti e familiari l’esperienza maturata.

- Presidente, chi è l'Alzheimer?

«E' una malattia talmente complessa che se viene spiegata da un punto di vista medico si rischia di non capire nulla. Bisogna concentrarsi sui bisogni del malato e le conseguenze di una malattia che colpisce oltre 36milioni di persone nel mondo e un milione in Italia. Un numero che in maniera preoccupante si stima raddoppierà ogni vent'anni».

- La persona che soffre di Alzheimer perde lentamente ogni capacità pur rimanendo vivo.

«È un problema enorme: a livello psicologico per il malato perché a lungo è consapevole delle sue incapacità; per la famiglia perché si diventa "madre di tua madre" e per l'assistenza perché serve una supervisone, una care intesa come "prendersi cura" del malato in media per 10 - 15 anni. Da ultimo c'è il problema della vergogna perché chi ne soffre sembra una persona demente, termine che nei paesi di lingua neolatina è dispregiativo. Per questo noi tendiamo a non utilizzarlo.

- La Federazione "compie" vent'anni.

«Quando siamo partiti eravamo in pochi. Ci siamo riuniti e abbiamo deciso di mettere insieme le nostre esperienze perché potessero essere utili anche a altri. Mia madre moriva nel 1986 e quando il medico mi disse la parola Alzheimer io non sapevo cosa fosse. Così nel'93 abbiamo deciso di mettere a frutto le nostre esperienze. Da lì l'idea della Federazione perché tutte le associazioni locali fossero autonome, ma guidate da alcuni principi comuni. Oggi siamo quasi tutti familiari di malati che lo sono stati o che lo sono ancora e da allora le associazioni sono diventate 46. Noi, nel frattempo, ci siamo indirizzati ad aiutare i malati e le loro famiglie perché la prima cosa per le persone è sapere dove andare, cosa fare e a chi rivolgersi. Ma, dall'altra, siccome siamo molto ambiziosi, come già accade in molti paesi anglosassoni o nord europei, anche ad essere noi gli interlocutori delle istituzioni».

- Qual è l'urgenza oggi sul tema?

«Sensibilizzare. Bisogna mettere nella testa della gente le cose insistendo e parlandone. E poi negli ultimi anni ho visto la delusione dei ricercatori che non sono riusciti ad avvicinarsi ad una possibile terapia. Per questo è necessario spostare l’obiettivo dalla "cura" al "prendersi cura" del malato. Il problema della malattia esiste e le terapie farmacologiche che servano non ce ne sono ma in qualche modo bisogna curarli. Bisogna dedicarsi al percorso di cura, a quello che si può fare per loro. L'approccio deve essere non guarire la malattia ma curare la persona. Per dare ai malati un pezzetto di dignità di vita, di qualità».

Clicca qui per scaricare il programma del convegno “Alzheimer. Informare per conoscere - Cura, Ricerca, Assistenza”.

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