La popolazione mondiale invecchia
sempre più e, parallelamente,
cresce il peso delle malattie
invalidanti come l’Alzheimer
e la demenza senile. La
maggior parte dei Paesi non è
pronta ad affrontare un’emergenza
di così ampie proporzioni:
le strutture pubbliche sono carenti e
i malati finiscono per essere accuditi
dalla sola famiglia, spesso provata dalla
fatica. L’ultimo G8 Dementia Summit ha
previsto lo sviluppo di un piano di azione
che miri a individuare nuovi modelli
di assistenza e prevenzione, ed entro il
2025 una terapia capace di modificare il
decorso clinico tipico delle malattie.
Ma nel frattempo com’è possibile rispondere
alle necessità dei malati e dei
familiari? «Ogni Stato deve garantire
un sistema di cure continuative, un
mix di servizi domiciliari e residenziali
che dia loro aiuti concreti», spiega Gianbattista
Guerrini, direttore sanitario di
Fondazione Brescia solidale. Quando si
nota la comparsa di sintomi sospetti, il
primo contatto a cui fa accedere il medico
di famiglia è con l’Unità di valutazione
Alzheimer, «un servizio ambulatoriale
gestito da medici specializzati (neurologi,
geriatri, psichiatri) che provvede a
formulare la diagnosi, la valutazione
dei problemi della persona, il piano di
trattamento farmacologico e il controllo
dei sintomi nel tempo».
Il gradino successivo, che aiuta la persona a restare a casa e i suoi familiari a reggere l’impegno assistenziale, coincide con i servizi domiciliari. In
Italia, questi servizi sono garantiti dalle
Asl e dai Comuni: «Nel primo caso vengono
offerte prestazioni mediche, infermieristiche
e riabilitative, nel secondo
aiuti per la cura della persona e la gestione
della casa», prosegue Guerrini. Il
servizio di assistenza comunale può erogare
anche pasti a domicilio, telesoccorso
e teleassistenza, aiuto per i trasporti
e consulenza per le pratiche burocratiche.
Le prestazioni sanitarie sono gratuite,
mentre i servizi socio-assistenziali
prevedono, in genere, un contributo
da parte dell’utente.
IN CASA O FUORI
Il centro diurno, invece,
aiuta la persona affetta da Alzheimer
a mantenere più a lungo la propria
autonomia, ritardando il ricovero in
istituto e garantendo ai familiari momenti
di sollievo. «È un servizio semiresidenziale,
a metà strada tra l’assistenza
domiciliare e gli istituti residenziali
», puntualizza il geriatra, «che offre
agli utenti servizi simili a quelli previsti
dalle strutture (mangiare, muoversi,
utilizzare i servizi igienici), interventi
di socializzazione e stimolazione, prestazioni
sanitarie». Opera dal lunedì al
venerdì (alcuni centri tengono aperto
anche nel fine settimana) più o meno
tra le 8 e le 18. L’accesso è organizzato
dai Comuni con un proprio servizio.
All’aggravarsi della malattia, quando
l’autonomia è compromessa e si affacciano
i disturbi comportamentali, la
famiglia può chiedere il ricovero del
proprio congiunto in una struttura residenziale
o in un Nucleo Alzheimer, dotati
di spazi più ampi, personale preparato
e programmi di assistenza adeguati.
«Si tratta di un passaggio molto delicato
che si associa a vissuti di fallimento e
abbandono». Tuttavia, i posti letto sono
pochi (5 per ogni 100 persone oltre i 65
anni) e concentrati nelle Regioni del
Nord. La strada è molto lunga.
Le alternative non mancano. La carenza
dei servizi è compensata innanzitutto
dalle badanti, donne per lo più
straniere, disponibili «a prendersi cura
della persona 24 ore su 24. A costi contenuti,
si evita di sradicare l’anziano dalla
sua abitazione e si sostiene l’intero nucleo
familiare. Pur essendo un pilastro
dello Stato sociale, resta qualche perplessità
circa la scarsa preparazione».
Ultimamente si sono diffusi sul territorio anche centri di socializzazione, rivolti ad anziani con buoni livelli di autosufficienza. Tra questi spiccano gli Alzheimer Café: «Organizzati da volontari
o da associazioni, questi spazi offrono
alle persone affette da demenza e ai
loro familiari la possibilità di trascorrere
alcune ore in un ambiente sereno e rilassante,
bevendo un caffè in compagnia
e conversando senza impegno. In
alcuni casi si organizzano attività di
gruppo (musicoterapia, arteterapia) che
mirano a stimolare le capacità cognitive,
motorie e relazionali. Nuove anche
le Case famiglia, residenze collettive destinate
a persone anziane in condizioni
di autonomia limitata e prive di un supporto
familiare adeguato.