In Italia i malati sono oltre mezzo milione: 520 mila secondo i dati del Ministero della salute. La malattia di Alzheimer rappresenta la metà di tutte le patologie che provocano demenza degenerativa. Colpisce il 40 per cento delle persone ultra ottantenni. E quello dell’Alzheimer è un costo sociale oltre che economico, che intreccia vari problemi anche di carattere etico circa le cure, il consenso informato da parte di una persona che ha sempre maggiori problemi di comprensione, il ruolo dei medici e della ricerca scientifica, oltre a profili che rimandano all’abbandono o all’accanimento terapeutico.
In Italia un malato di Alzheimer costa secondo i più recenti studi circa 60 mila euro all’anno non solo per trattamento medico. Nella cifra sono compresi i costi sociali, che per il 70 per cento sono a carico delle famiglie. Si tratta di tempo, di servizi dedicati e speciali, insomma di quella “assistenza umana” che le tecnologie non potranno mai sostituire. Il Comitato nazionale di Bioetica, presieduto dal professor Francesco Paolo Casavola ha dedicato alla questione un ampio “parere” pubblicato pochi giorni fa nel quale raccomanda che “il malato di demenza sia riconosciuto come persona in ogni fase della sua malattia”. L’analisi si occupa anche della ricerca e della prevenzione, sollecitando il governo a includere l’assistenza al malati di demenza “con un ruolo di rilievo” nelle “politiche sanitarie”.
E’ sicuramente una critica ad un sistema sociale e sanitario che negli ultimi anni ha lasciato spesso troppo sole le famiglie. Circa i trattamenti il Comitato nazionale di bioetica “ritiene che vadano evitate indebite forme di trattamenti sproporzionati o di abbandono terapeutico, tanto più se finalizzato alla riduzione dei costi assistenziali”. Una ulteriore questione è il riconoscimento dei malati di demenza come persona, nonostante le loro condizioni.
Qui il Comitato sottolinea che “la condizione di inconsapevolezza o di
perdita graduale della consapevolezza e la difficoltà relazionale non
devono essere usate come giustificazione per una considerazione etica di
inferiorità e una diminuzione del riconoscimento della dignità”. Il
rischio in questo caso è quello di introdurre “pericolose forme di discriminazione che violano il principio di uguaglianza - cardine dei diritti umani -
che riconosce la pari dignità ad ogni essere umano sulla base del
essere e non del fare o del possesso di determinate capacità”. Il
“parere” denuncia che i pazienti affetti da demenze, a confronto di
altri malati terminali, “ricevono minori cure per il dolore e hanno un
ridotto accesso negli hospice”.
Invece è “ eticamente rilevante che sia garantito un appropriato accesso
alle cure palliative per i malati di demenza” anzi che “sia
incrementata la ricerca” in questo ambito. Infine il Comitato sottolinea
che lo Stato deve prevedere un “adeguato supporto” anche economico a
coloro che si prendono cura di questi malati, cioè alle famiglie. L’uso
delle tecnologie, che va incentivato, non può sostituire, ma deve
aggiungersi “all’assistenza umana” che il Comitato ritiene
“indispensabile”.