«Come ti chiami»? Chiede
lei. «Tu non ti ricordi di
me, ma io mi ricordo di
te», risponde fra sé e sé il
marito, chino ai suoi piedi a infilarle i calzini.
«Ti piacciono le piante e gli alberi,
porti il 37 di scarpe, prendi facilmente il
raffreddore... ti piace il curry forte, ma odi
i piselli. Ami la natura e ridi facilmente; sei
una persona ordinata, che ama la pulizia.
Sei divertente. Ti piace lamentarti e tenere
il broncio. Hai anche l’Alzheimer».
«Ci siamo sposati il 6 luglio», continua
lui «e io ricordo ancora la promessa che ti
ho fatto quel giorno: prendermi cura di te
per il resto dei miei giorni».
Una storia come mille altre, raccontata
in un video toccante postato su YouTube
VIDEO
E sono tante le storie di un lui e una
lei che a un certo punto si trovano a fare
i conti con la malattia: un morbo che
si mangia inesorabilmente le cellule cerebrali
e trasforma tutto in un universo sconosciuto,
pauroso, incerto, dove è impossibile
muoversi da soli. «C’è qualcosa che
non va in me; non so più chi sono e non
so cosa perderò dopo...», esordisce Alice
Howland, newyorkese di nemmeno 50
anni, brillante docente universitaria di
Linguistica. Lei sullo schermo è Julianne
Moore, premio Oscar come migliore attrice
2015 in Still Alice. Accanto, un marito,
chiamato a fare i conti con una nuova donna,
una prospettiva che lo atterrisce: «Potrebbe
essere l’ultimo anno in cui sono me
stessa», gli dice lei nell’intimità; «non sto
soff rendo, sto lottando per rimanere in
contatto con la vita di prima».
La “nuova” storia di un lui e una lei comincia
qui: uno dei due è chiamato a mutare
radicalmente gesti e attenzioni, perché
ora ha davanti «un’altra persona».
Ed è una strada lunga, molto faticosa
e non senza ostacoli. «L’Alzheimer è una
malattia “di coppia” », spiega la neurologa
Marta Zuffi , presidente dell’Associazione
Alzheimer Multimedica Onlus di Castellanza
(Varese). «È una nuova fase dell’esistenza,
molto lunga, nella quale uno dei
due coniugi è chiamato a tenere in vita il
legame affettivo, in una comunicazione
che cambia radicalmente e che sembra interrompersi
ma che, in una buona relazione,
non viene mai meno. È lo stesso amore,
anche se è di fatto un amore diverso».
Maria Giovanna Sambiase, 42 anni, da
15 fa l’educatrice presso il Nucleo Alzheimer
della Sacra Famiglia di Cesano Boscone (Milano) e nei suoi occhi ci sono tante
storie di amanti che hanno attraversato
questo tunnel. Un bagaglio di esperienze
che nel 2011 è diventato una testi di laurea
in Scienze della formazione all’Università
Cattolica di Milano. «Cosa si può fare,
di che tipo di cura si può parlare, quando
la “cura” non c’è? Va cambiato il modello,
non più orientato a una guarigione-riparazione ,
cui è abituata la medicina, ma al
prendersi cura», spiega l’educatrice.
Ed è ciò che accade nel rapporto di
coppia, che deve trasformarsi, con creatività.
Passati il disorientamento, l’incomprensione,
la rabbia, possono tornare
la tenerezza e la pazienza amorosa che
fanno tentare l’impossibile. «Sorridere,
scherzare, toccare, accarezzare, stare insieme
in silenzio, seguire i loro ritmi, guardarsi,
cantare, tenersi per mano, seguirli
nei loro bisogni, anche se a noi sembrano
incomprensibili. Dove la scienza e la medicina
non possono arrivare, l’unica soluzione
rimane l’amore inteso come rispetto,
responsabilità, dedizione alla persona
umana, che resta sempre tale».
Luca e Michela (due nomi di fantasia) si
sono sposati nel 1974 e dopo la nascita dei
figli lei si è dedicata completamente alla famiglia. Un giorno, 27 anni dopo, i primi
segnali che qualcosa non va: bastano un
copriletto messo al contrario, una cifra improbabile
buttata lì in una chiacchierata fra
amici... Poi la diagnosi: malattia di Alzheimer .
Racconta la Sambiase, che ha seguito la paziente:
«La malattia è senza via di scampo e,
data la giovane età di Michela, si prospetta anche
con un decorso molto rapido. “Si metta il
cuore in pace”, dicono i medici a Luca; e lui
pensa al suicidio.
È confuso, non riesce a capire
quale sia l’approccio più corretto, ha paura
a lasciarla sola e anche a portarla fuori di casa.
Poco per volta lei non sa più fare cose semplici,
come rifare il letto, lavare i piatti, pulire
la casa... non ricorda dove mette le cose, i nomi
delle persone. Dopo la pensione, il marito
si dedica a lei completamente, ma a un certo
punto non ce la fa più e la ricovera in un
Nucleo Alzheimer perché la situazione è totalmente
compromessa. Oggi commenta: “Dal
collo in giù... Michela è perfetta”!».
Un compito enorme attende chi sta accanto
al malato di Alzheimer. «Prendersi cura del
“nuovo” coniuge richiede dei passaggi importanti:
prima di tutto la disponibilità a lasciarsi
aiutare, perché si tratta di una malattia complessa,
che porta disturbi comportamentali
gravi. Bisogna conoscerla e imparare a gestirla,
senza farsi dominare da sensi di colpa,
perché questo conduce alla chiusura. Poi, bisogna
essere attenti ai cambiamenti, di abitudini
e di desideri, senza irrigidirsi su “com’era
prima”.
E quindi lasciar fare, assecondare
il più possibile il malato, senza forzarlo a cambiare
idea, sempre che non si stia facendo del
male. Servono fantasia e creatività, insieme a
tanta pazienza, e magari ci capiterà di vederli
di nuovo sorridere»!
«L’Alzheimer è una vera malattia di famiglia
», ribadisce la dottoressa Zuffi, «che chiede
al coniuge un percorso di elaborazione
di un “lutto anticipato”, che fa sperimentare
una perdita. Ma il legame affettivo che si era
costruito nella vita di prima, se era buono, tiene,
resta per sempre e dura fino alla fine.»