Uno dei fronti più interessanti
e carichi di promesse delle
scienze contemporanee è quello
che indaga il funzionamento
del cervello, l’organo di gran lunga più
complesso e affascinante dell’uomo. Capire
quali leggi lo governano apre la via, da
un lato, a una conoscenza più approfondita
della persona, e dall’altro alla messa a
punto di nuove terapie.
Nell’ultimo quarto
di secolo nessuna scoperta ha avuto tanta
rilevanza in questo ambito quanto quella
dei neuroni specchio. A realizzarla, all’inizio
degli anni Novanta, fu un’équipe guidata
da Giacomo Rizzolatti, docente di Fisiologia
umana all’Università di Parma, un
signore di 77 anni ancora in perfetta forma
ed entusiasta del proprio lavoro.
È lui stesso
a raccontarci la storia di questa scoperta
e a spiegarci quali straordinarie potenzialità
dischiuda per la medicina e la psicologia.
- Facciamo un salto temporale al
1992, l’anno della scoperta dei neuroni
specchio.
«La nostra scoperta fu preceduta da un
lungo lavoro sulle proprietà funzionali
della corteccia motoria della scimmia. Abbiamo usato un approccio etologico.
Anziché limitarci, cioè allo studio del sistema
motorio come “produttore” di
movimenti – così si usava allora in fisiologia
– ci chiedemmo come si comportano
i neuroni motori nella vita di tutti
i giorni. Come si passa, per esempio,
dalla vista dell’oggetto all’azione? Trovammo
che, di fronte al cibo, una certa
percentuale di neuroni motori si attivava.
La scimmia era immobile, ma il programma
motorio era pronto per prendere
il cibo. Poi notammo, con nostra
grande sorpresa, che alcuni neuroni si
attivavano non alla vista del cibo, ma in
seguito al movimento che faceva lo sperimentatore
per afferrarlo. Chiamammo
questo straordinario tipo di neuroni
“neuroni specchio”. Negli anni successivi
abbiamo verificato questa osservazione
con molti controlli. Il lavoro fondamentale
sui neuroni specchio è stato
pubblicato nel 1996 sulla rivista Brain».
- Perché questa ricerca è considerata
così importante?
«I neuroni specchio indicano che noi riconosciamo
gli altri in base a un meccanismo
empatico, “tu sei come me”, e
non in base a ragionamenti. Nell’uomo,
accanto a un sistema logico induttivo,
esiste un sistema di comprensione degli
altri fondato sulle esperienze che abbiamo
avuto».
- Si può dire che la scoperta ha portato
a una visione più completa della
persona?
«Certamente. Ha dimostrato che possiamo
capire gli altri non solo come “oggetti”
mediante un processo logico induttivo,
ma anche come “persone”, partendo
da noi stessi. Questa è una dicotomia importante.
La natura ci ha dotato di un
meccanismo grazie al quale tu e io siamo
in qualche maniera la stessa cosa, l’io e
gli altri in certi momenti coincidono».
- I neuroni specchio vengono associati
all’empatia…
«È un’associazione giusta. Poco dopo la
scoperta dei neuroni specchio nel sistema
motorio abbiamo voluto vedere se i
meccanismi valessero anche per le emozioni.
I risultati hanno mostrato che era
proprio così. Io capisco il dolore di un
altro non solo mediante un’inferenza logica, ma anche perché ho un meccanismo
che me lo fa sentire dentro di me.
Se assisto a un incidente stradale, si attivano
nel mio cevello delle aree corticali
che mi fanno percepire quell’incidente
come se fosse capitato a me. Il comandamento
“ama il prossimo tuo” rinforza
un meccanismo naturale, insito in
noi stessi: è la sottolineatura di qualcosa
che è già dentro di noi e che spesso
viene dimenticato dalla società. Il messaggio
cristiano rafforza una verità naturale
che può essere compromessa dalla
società».
- Sembra che i neuroni specchio abbiano
fatto luce anche sull’autismo.
«Su questo punto si è forse semplificato
troppo. La questione dell’autismo è
molto complessa. Innanzitutto i bambini
con autismo sono di due categorie
molto diverse: quelli che hanno un’intelligenza
normale e quelli con gravi
deficit cognitivi. Quei ultimi, non solo
hanno neuroni specchio “rovinati”, ma
anche altri problemi gravi legati un basso
livello intellettivo. Dare ai loro genitori
il messaggio che abbiamo trovato
la soluzione alla malattia, significa ingannarli.
Le prospettive aperte dai neuroni
specchio riguardano, invece, quei
bambini autistici che hanno abilità intellettive
normali, ma hanno problemi
nei rapporti sociali. I nostri dati indicano
che l’autismo non è una malattia psichiatrica
ma neurologica, su base genetica,
e come tale va curata. Il bambino
autistico presenta spesso dei lievi deficit
motori. Ora stiamo analizzando queste
alterazioni motorie per verificare se,
migliorando la motricità, migliorano anche
i deficit cognitivi».
- Lei studia la mente umana da 50 anni.
Qual è l’elemento del nostro cervello
che l’ha affascinata di più?
«L’empatia. Il nostro cervello non è una macchina che elabora dati come
un computer, è una macchina con un
corpo che instaura relazioni con gli altri.
Ciò che siamo ben lontani dal comprendere
è l’autocoscienza: come è possibile
che la materia sia cosciente di se stessa?
Un mistero assoluto. Una cosa, per
esempio, è la percezione, di cui sappiamo
molto, un’altra cosa l’autocoscienza.
Forse dovremmo invertire il rapporto fra
noi e gli altri: vedendo un altro compiere
un’azione che sono in grado di compiere
anch’io, nasce l’idea dell’io. L’autocoscienza
potrebbe nascere, cioè, dalla relazione…
Ma è tutto da verifi care».
- È vero che utilizziamo solo una parte
del nostro cervello?
«Non credo proprio. Se non vi sono lesioni
che lo impediscano, utilizziamo
tutto il cervello. Abbiamo però la possibilità
di migliorarlo. Come per il corpo,
anche la mente migliora con l’allenamento.
Se una persona ha un talento per
la musica e la studia seriamente, perfeziona
la sua capacità e potrà diventare
un compositore o un direttore d’orchestra.
Se invece vive in un ambiente povero
di stimoli, al massimo suonerà nella
banda del suo paese. Il concetto dello
sviluppo delle potenzialità è fondamentale
anche per gli anziani: stiamo scoprendo
che chi coltiva interessi e relazioni
invecchia più lentamente di chi sta
solo a casa a guardare la Tv».
- Nell’evoluzione della persona conta
di più la biologia o l’educazione?
«Entrambe. Nasciamo con determinate
attitudini che, inserite in un contesto sociale
e culturale, si sviluppano in una certa
direzione. Per questo “ama il prossimo
tuo” non impone all’uomo nulla che non
sia già nella sua natura, ma esorta a rafforzare
ciò che è già in noi, mentre il messaggio
“fregatene degli altri” tende a distruggere
un meccanismo naturale, fi no
a degenerare nel narcisismo che porta
l’individuo a considerare gli altri solo come
concorrenti e nemici».
- Dopo tanti anni che studia il cervello,
si stupisce ancora?
«Certo, altrimenti smetterei. E poi oggi
le neuroscienze, rispetto a quando ho
cominciato io, usufruiscono di tecnologie
straordinarie».
- Una corrente di pensiero sostiene
che l’uomo non è libero, in quanto
sarebbe il mero frutto di una serie di
funzioni naturali…
«Nasciamo dotati di certi meccanismi
e chi ne è privo soff re di forme di patologie.
Poi, però, subentrano infi nite varianti
e fattori di cambiamento, dovuti
all’ambiente in cui cresce... Quindi non
siamo predeterminati. Che cosa signifi -
ca scegliere? Si parla, per esempio di liberalizzare
le droghe, ma sarebbe una
follia. Il tossicodipendente ha la possibilità
di smettere di drogarsi, soprattutto
se c’è il sostegno dei genitori, ma non
tutti sono in grado di farlo. Allora in questo
caso la libertà è cancellata. È strano:
combattiamo il fumo, ma vorremmo introdurre
un altro tipo di veleno».
- Non siamo né totalmente liberi né
totalmente predeterminati?
«Possiamo dire così. Tutti nasciamo con
una propensione al bene, poi il nostro
destino cambia se veniamo cresciuti in
una famiglia o in un ambiente che educa
a certi valori o insegna a rubare. Dopo il
1968, c’è stata una forte spinta all’individualismo,
l’esaltazione di una libertà assoluta,
fi no al liberalismo estremo. Ora,
è chiaro che un individuo non fa il pane
perché è una brava persona, ma per un
interesse, ma è altrettanto evidente che
quell’interesse non è tutto. Ora, per fortuna,
stiamo riscoprendo il valore della
condivisione…».
- Forse spinti anche dalla crisi…
«Sì, però i ragazzi di oggi si sono accorti
che l’atteggiamento egoistico non rende.
Subito sembra accattivante, ti libera
da ogni legame, poi ti rendi conto che
una relazione profonda è un vantaggio,
che avere una fi danzata e una famiglia ti
dà qualcosa in più».
- Per concludere, scienza e fede sono
inconciliabili?
«No: lo scienziato, per quanto bravo,
non ha elementi per criticare o sostenere
le verità religiose. Chi lo fa, commette
un peccato di arroganza».