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domenica 06 ottobre 2024
 
 
Benessere

Ama il prossimo tuo come te stesso, lo dice anche la ricerca

18/01/2015  Il fisiologo Giacomo Rizzolatti spiega lo straordinario ruolo dei neuroni specchio: «Il nostro cervello non è un computer, ma un organo empatico».

Uno dei fronti più interessanti e carichi di promesse delle scienze contemporanee è quello che indaga il funzionamento del cervello, l’organo di gran lunga più complesso e affascinante dell’uomo. Capire quali leggi lo governano apre la via, da un lato, a una conoscenza più approfondita della persona, e dall’altro alla messa a punto di nuove terapie.

Nell’ultimo quarto di secolo nessuna scoperta ha avuto tanta rilevanza in questo ambito quanto quella dei neuroni specchio. A realizzarla, all’inizio degli anni Novanta, fu un’équipe guidata da Giacomo Rizzolatti, docente di Fisiologia umana all’Università di Parma, un signore di 77 anni ancora in perfetta forma ed entusiasta del proprio lavoro.
È lui stesso a raccontarci la storia di questa scoperta e a spiegarci quali straordinarie potenzialità dischiuda per la medicina e la psicologia.

- Facciamo un salto temporale al 1992, l’anno della scoperta dei neuroni specchio.
«La nostra scoperta fu preceduta da un lungo lavoro sulle proprietà funzionali della corteccia motoria della scimmia. Abbiamo usato un approccio etologico. Anziché limitarci, cioè allo studio del sistema motorio come “produttore” di movimenti – così si usava allora in fisiologia – ci chiedemmo come si comportano i neuroni motori nella vita di tutti i giorni. Come si passa, per esempio, dalla vista dell’oggetto all’azione? Trovammo che, di fronte al cibo, una certa percentuale di neuroni motori si attivava. La scimmia era immobile, ma il programma motorio era pronto per prendere il cibo. Poi notammo, con nostra grande sorpresa, che alcuni neuroni si attivavano non alla vista del cibo, ma in seguito al movimento che faceva lo sperimentatore per afferrarlo. Chiamammo questo straordinario tipo di neuroni “neuroni specchio”. Negli anni successivi abbiamo verificato questa osservazione con molti controlli. Il lavoro fondamentale sui neuroni specchio è stato pubblicato nel 1996 sulla rivista Brain».

- Perché questa ricerca è considerata così importante?
«I neuroni specchio indicano che noi riconosciamo gli altri in base a un meccanismo empatico, “tu sei come me”, e non in base a ragionamenti. Nell’uomo, accanto a un sistema logico induttivo, esiste un sistema di comprensione degli altri fondato sulle esperienze che abbiamo avuto».

- Si può dire che la scoperta ha portato a una visione più completa della persona?
«Certamente. Ha dimostrato che possiamo capire gli altri non solo come “oggetti” mediante un processo logico induttivo, ma anche come “persone”, partendo da noi stessi. Questa è una dicotomia importante. La natura ci ha dotato di un meccanismo grazie al quale tu e io siamo in qualche maniera la stessa cosa, l’io e gli altri in certi momenti coincidono».

- I neuroni specchio vengono associati all’empatia…
 «È un’associazione giusta. Poco dopo la scoperta dei neuroni specchio nel sistema motorio abbiamo voluto vedere se i meccanismi valessero anche per le emozioni. I risultati hanno mostrato che era proprio così. Io capisco il dolore di un altro non solo mediante un’inferenza logica, ma anche perché ho un meccanismo che me lo fa sentire dentro di me. Se assisto a un incidente stradale, si attivano nel mio cevello delle aree corticali che mi fanno percepire quell’incidente come se fosse capitato a me. Il comandamento “ama il prossimo tuo” rinforza un meccanismo naturale, insito in noi stessi: è la sottolineatura di qualcosa che è già dentro di noi e che spesso viene dimenticato dalla società. Il messaggio cristiano rafforza una verità naturale che può essere compromessa dalla società».

- Sembra che i neuroni specchio abbiano fatto luce anche sull’autismo.

«Su questo punto si è forse semplificato troppo. La questione dell’autismo è molto complessa. Innanzitutto i bambini con autismo sono di due categorie molto diverse: quelli che hanno un’intelligenza normale e quelli con gravi deficit cognitivi. Quei ultimi, non solo hanno neuroni specchio “rovinati”, ma anche altri problemi gravi legati un basso livello intellettivo. Dare ai loro genitori il messaggio che abbiamo trovato la soluzione alla malattia, significa ingannarli. Le prospettive aperte dai neuroni specchio riguardano, invece, quei bambini autistici che hanno abilità intellettive normali, ma hanno problemi nei rapporti sociali. I nostri dati indicano che l’autismo non è una malattia psichiatrica ma neurologica, su base genetica, e come tale va curata. Il bambino autistico presenta spesso dei lievi deficit motori. Ora stiamo analizzando queste alterazioni motorie per verificare se, migliorando la motricità, migliorano anche i deficit cognitivi».

- Lei studia la mente umana da 50 anni. Qual è l’elemento del nostro cervello che l’ha affascinata di più?
«L’empatia. Il nostro cervello non è una macchina che elabora dati come un computer, è una macchina con un corpo che instaura relazioni con gli altri. Ciò che siamo ben lontani dal comprendere è l’autocoscienza: come è possibile che la materia sia cosciente di se stessa? Un mistero assoluto. Una cosa, per esempio, è la percezione, di cui sappiamo molto, un’altra cosa l’autocoscienza. Forse dovremmo invertire il rapporto fra noi e gli altri: vedendo un altro compiere un’azione che sono in grado di compiere anch’io, nasce l’idea dell’io. L’autocoscienza potrebbe nascere, cioè, dalla relazione… Ma è tutto da verifi care».

- È vero che utilizziamo solo una parte del nostro cervello?
«Non credo proprio. Se non vi sono lesioni che lo impediscano, utilizziamo tutto il cervello. Abbiamo però la possibilità di migliorarlo. Come per il corpo, anche la mente migliora con l’allenamento. Se una persona ha un talento per la musica e la studia seriamente, perfeziona la sua capacità e potrà diventare un compositore o un direttore d’orchestra. Se invece vive in un ambiente povero di stimoli, al massimo suonerà nella banda del suo paese. Il concetto dello sviluppo delle potenzialità è fondamentale anche per gli anziani: stiamo scoprendo che chi coltiva interessi e relazioni invecchia più lentamente di chi sta solo a casa a guardare la Tv».

- Nell’evoluzione della persona conta di più la biologia o l’educazione?
«Entrambe. Nasciamo con determinate attitudini che, inserite in un contesto sociale e culturale, si sviluppano in una certa direzione. Per questo “ama il prossimo tuo” non impone all’uomo nulla che non sia già nella sua natura, ma esorta a rafforzare ciò che è già in noi, mentre il messaggio “fregatene degli altri” tende a distruggere un meccanismo naturale, fi no a degenerare nel narcisismo che porta l’individuo a considerare gli altri solo come concorrenti e nemici».

- Dopo tanti anni che studia il cervello, si stupisce ancora?
«Certo, altrimenti smetterei. E poi oggi le neuroscienze, rispetto a quando ho cominciato io, usufruiscono di tecnologie straordinarie».

- Una corrente di pensiero sostiene che l’uomo non è libero, in quanto sarebbe il mero frutto di una serie di funzioni naturali…
«Nasciamo dotati di certi meccanismi e chi ne è privo soff re di forme di patologie. Poi, però, subentrano infi nite varianti e fattori di cambiamento, dovuti all’ambiente in cui cresce... Quindi non siamo predeterminati. Che cosa signifi - ca scegliere? Si parla, per esempio di liberalizzare le droghe, ma sarebbe una follia. Il tossicodipendente ha la possibilità di smettere di drogarsi, soprattutto se c’è il sostegno dei genitori, ma non tutti sono in grado di farlo. Allora in questo caso la libertà è cancellata. È strano: combattiamo il fumo, ma vorremmo introdurre un altro tipo di veleno».

- Non siamo né totalmente liberi né totalmente predeterminati?
«Possiamo dire così. Tutti nasciamo con una propensione al bene, poi il nostro destino cambia se veniamo cresciuti in una famiglia o in un ambiente che educa a certi valori o insegna a rubare. Dopo il 1968, c’è stata una forte spinta all’individualismo, l’esaltazione di una libertà assoluta, fi no al liberalismo estremo. Ora, è chiaro che un individuo non fa il pane perché è una brava persona, ma per un interesse, ma è altrettanto evidente che quell’interesse non è tutto. Ora, per fortuna, stiamo riscoprendo il valore della condivisione…».

- Forse spinti anche dalla crisi…
«Sì, però i ragazzi di oggi si sono accorti che l’atteggiamento egoistico non rende. Subito sembra accattivante, ti libera da ogni legame, poi ti rendi conto che una relazione profonda è un vantaggio, che avere una fi danzata e una famiglia ti dà qualcosa in più».

- Per concludere, scienza e fede sono inconciliabili?
«No: lo scienziato, per quanto bravo, non ha elementi per criticare o sostenere le verità religiose. Chi lo fa, commette un peccato di arroganza».

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