Caro don Antonio, la frase “Ama il prossimo tuo” viene spesso ripetuta nelle omelie. Ne riconosco il valore fondamentale, ma nello stesso tempo mi mette in crisi, perché non sempre la metto in pratica. Addirittura poco tempo fa è balzata agli onori della cronaca televisiva: durante un comizio elettorale a Cremona dell’on. Salvini un giovane ha esposto un cartello con questa scritta e subito un gruppo di persone lo ha circondato, ha rotto il cartello, lo ha picchiato e insultato. Salvini dal palco ha detto più o meno così: «Lasciate perdere quel comunista. Se non c’è un comunista ai nostri comizi non ci divertiamo». Vorrei garbatamente ricordare all’onorevole che la frase incriminata non è di Marx, di Stalin, di Mao, ma è un vibrante invito rivolto da Gesù Cristo a tutti coloro che lo vogliono seguire, in particolare a noi cristiani.
Non ho mai condiviso l’ideologia comunista, ma ho conosciuto tanti comunisti – uomini e donne – galantuomini e penso che “comunista” non equivalga automaticamente a “delinquente”. Comunque, voglio pensare che il giovane di Cremona era solo un cristiano, peccatore come me, ma coraggioso più di me! Ricordo un episodio di molti anni fa: durante la nomina a ufficiale di un gruppo di giovani militari, il colonnello comandante, alla fine del discorso, ci disse: «Ricordate soprattutto che non è il grado che dà valore all’uomo, ma è il comportamento della persona che lo porta che dà importanza al grado». Penso che noi cristiani, seguaci di Cristo e dei suoi insegnamenti, dobbiamo condividere quello che i potenti del momento dicono e fanno quando ciò è conforme alla parola di Gesù e contestarli quando sono contro il Vangelo. Possiamo ancora vantare le nostre origini, la nostra appartenenza alla civiltà cristiana se non cerchiamo più di seguire gli insegnamenti del Cristo, se eleviamo a idolo chi ci spinge a fare il contrario, chiunque esso sia?
Mi sembra che oggi prevalga anche fra noi cristiani l’amara espressione del pensatore francese Sartre: «L’inferno sono gli altri». Gli “altri” ci vengono indicati come pericolosi nemici; a seconda del momento possono essere i migranti, i rom, gli ebrei, i musulmani, i comunisti, i fascisti, chi non la pensa come noi. È più facile odiare categorie, dimenticando che sono formate da singole persone, diverse, tutte figlie di Dio e degne di amore, senza pregiudizi: una mela marcia non sta a significare che tutte le mele dell’albero sono marce.
Un importante gerarca nazista ha teorizzato e attuato che, ripetendo una falsità come se fosse la verità, alla fine il popolo l’avrebbe recepita come vera. Ha funzionato per un po’, ma alla fine il popolo ha scoperto – pagandone le conseguenze – il falso e il vero. Non dobbiamo esaltare od odiare qualcuno, ma cercare di vivere da cristiani: amare Dio prima di tutti e amare il prossimo come noi stessi. È difficile e impegnativo, spesso non ci riusciamo – io per primo –, ma dobbiamo riprovarci sempre. Per fortuna Dio è misericordioso e paziente, sempre pronto ad aiutarci e perdonarci. Preghiamo di più. Nel Rosario c’è la preghiera: «Porta in cielo tutte le anime, specialmente le più bisognose della tua misericordia». La dico prima per me, perché ne ho bisogno, poi la offro per tutti.
Mi aiuta a sentirmi indegnamente un po’ più cristiano. Mi sono deciso a scriverle perché volevo esprimere a lei e ai suoi collaboratori il mio sostegno e la mia gratitudine; ringraziarla perché, nonostante le cattive e offensive lettere che riceve, continua a ricordarci cosa significa essere e vivere da cristiani, per poter vivere più sereni e felici già su questa terra. Poi la penna mi ha preso la mano.
GIACOMO ZACCHI
Grazie, caro Giacomo, per le tue parole. Ringrazio ancora una volta tutti i lettori che hanno scritto per esprimere il loro sostegno e incoraggiamento alla nostra rivista. Prendo spunto da questa lettera per alcune brevi riflessioni. La prima riguarda la frase «Ama il prossimo tuo come te stesso». Si trova già nell’Antico Testamento, nel libro del Levitico (19,18). Ed è alla legge antica che Gesù fa riferimento quando ne parla. Per esempio in Matteo 22,37-39, alla domanda sul più grande comandamento della Legge, così risponde: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti». Lo stesso san Paolo spiega che «qualsiasi altro comandamento, si ricapitola in questa parola: Amerai il tuo prossimo come te stesso» (Romani 13,9).
Da questo punto di vista, il Vangelo va ben oltre. Nel Discorso della montagna infatti Gesù afferma: «Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli» (Matteo 5,43-45). È un amore senza limiti e senza confini quello che Gesù propone e di cui lui stesso ha dato l’esempio, offrendo la propria vita fino alla morte in croce. Un amore che non fa distinzioni tra prossimo, cioè vicino, e lontano, tra amici o nemici, buoni o cattivi. Guarda solo al bisogno. Come fece il Samaritano della parabola, immagine di Cristo stesso, che soccorre l’uomo ferito e gli si fa prossimo, senza badare alle leggi di purità legale come il sacerdote e il levita, senza chiedergli nulla in cambio.
Una seconda riessione, più generale, riguarda il nostro popolo italiano. L’ho già scritto in altre occasioni: non siamo più da tempo (e non per colpa di Salvini) un Paese cristiano. C’è rimasta qualche infarinatura, qualche abitudine, qualche pratica. Penso che tutti noi abbiamo bisogno di essere rievangelizzati. Anche se siamo praticanti, diciamo le preghiere e andiamo a Messa. Non voglio generalizzare, ma abbiamo tutti, sempre, bisogno di tornare alla sorgente del Vangelo, che è Cristo stesso, per riprendere il nostro cammino di discepoli del Maestro.
Lo ha capito bene papa Francesco che non a caso ha intitolato la sua esortazione apostolica Evangelii gaudium, la gioia del Vangelo. Ispirandosi al grande documento di san Paolo VI Evangelii nuntiandi, l’annuncio del Vangelo. Rileggiamo questi due importanti testi del Magistero, soprattutto riprendiamo in mano il Vangelo, meditiamolo, chiediamo al Signore di viverlo. Anche la nostra catechesi, la predicazione, dovrebbe riportarci sempre di più all’essenziale per riscoprire come l’amore misericordioso e umile è sorgente di vera gioia e l’unica forza in grado di cambiare il mondo.