«È impossibile concepire la nostra vita, la vita della Chiesa, senza il Rosario, le feste mariane, i santuari mariani e le immagini della Madonna», scriveva Albino Luciani da patriarca di Venezia dov’era stato mandato da Paolo VI nel 1969. «Guardate che la Madonna si è fatta santa senza visioni, senza estasi... con piccole cose di lavoro quotidiano. Volevo dire: molta devozione alla Madonna. Sì al Rosario, la fiducia in lei, ma anche l’imitazione delle sue virtù...». Così, sempre monsignor Luciani in precedenza, quand’era vescovo di Vittorio Veneto (a consacrarlo era stato Giovanni XXIII alla fine del 1958). Un legame intenso, iniziato già nell’infanzia, prima ancora dell’ingresso in seminario quello del futuro Giovanni Paolo I con Maria.
Sua sorella Antonia Luciani, mancata nel 2009, a colloquio con Stefania Falasca, vicepostulatrice della Causa di canonizzazione del Pontefice, al quale ha dedicato diversi volumi, e vicepresidente della Fondazione Vaticana Giovanni Paolo I eretta pochi mesi fa, nel libro Mio fratello Albino confidava: «La devozione alla Madonna era molto sentita da noi... Se c’è una cosa che l’Albino mi ha poi sempre raccomandato è di restare fedele alla preghiera, in particolare del Rosario...». Una venerazione nel segno della semplicità, come la sua vita. Una semplicità pura, ancora più grande perché in un uomo di studi robusti, che però anche da Pontefice seppe dire parole come queste: «Personalmente, quando parlo da solo a Dio e alla Madonna, più che adulto, preferisco sentirmi fanciullo. La mitria, lo zucchetto, l’anello scompaiono; mando in vacanza l’adulto e anche il vescovo, per abbandonarmi alla tenerezza spontanea, che ha un bambino davanti a papà e mamma... Il Rosario, preghiera semplice e facile, a sua volta, mi aiuta a essere fanciullo».
Una venerazione, la sua, spontanea e riconoscente, pubblica e personale, coltivata attraverso i rimandi alla figura della Vergine nella predicazione e nella preghiera domestica, nelle letture e nelle visite a luoghi mariani. E a questo proposito è noto il suo attaccamento ad alcuni di questi. «Il santuario al quale però Luciani è rimasto fedele tutta la vita, dove si recava sin da bambino è quello della Madonna di Pietralba», spiega Loris Serafini, quarantatreenne, nativo di Canale d’Agordo dove risiede ed è l’anima della locale Fondazione Papa Luciani costituitasi nel paese natale del Papa. «Lì, a Pietralba, è tornato ogni estate anche da vescovo e patriarca. E stava parecchio tempo in confessionale. Ma è tutto il suo rapporto con la Madonna che va considerato: ai suoi occhi proprio la creatura più, appunto, amata sin dall’infanzia».
«Fu lui a cominciare una sua omelia verso la metà degli Anni ’70 con le parole: “Ho iniziato ad amare la Vergine Maria prima ancora di conoscerla... le sere al focolare sulle ginocchia materne...”, parlando subito dopo del cuore materno di Maria già rivelatosi nell’episodio delle nozze di Cana...». Serafini è archivista, ma pure organista. Sin da ragazzo si è dedicato allo studio del suo illustre conterraneo, frequentando sino alla morte Edoardo, il fratello di Giovanni Paolo I, pubblicando diversi libri (fra questi Albino Luciani. Il papa del sorriso per il Messaggero di Padova e Giovanni Paolo I. Un anno con papa Luciani edito dalle Paoline).
Con lui visitiamo Canale d’Agordo, meta di pellegrini che qui vengono a vedere il museo a lui dedicato, il Musal: Museo Albino Luciani; la casa dove nacque il 17 ottobre 1912, aperta al pubblico dall’estate scorsa; la chiesa dove per lui si completò il rito battesimale (ricevuto in casa già alla nascita dalla levatrice perché in imminente pericolo di morte), ma pure dove ricevette la prima Comunione e la Cresima, dove recitava il Rosario davanti alla statua dell’Immacolata da chierico, dove celebrò nel 1935 la prima Messa. Non solo. Ci ricorda Serafini: «Come ogni estate, da quarantadue anni a questa parte Canale propone eventi fra agosto e settembre legati agli anniversari dell’elezione e della morte del Pontefice. E quest’anno oltre ai consueti concerti e incontri si è tenuta dal 12 agosto al 28 settembre una mostra al Musal dal titolo Gli ultimi Papi Europei: itinerari tra i paesi natali»; si tratta di un’esposizione allestita valorizzando fotografie e doni, semplici, ma signifificativi. «Tutti segni delle relazioni createsi fra la comunità di Canale e quelle di origine degli altri Papi: Sotto il Monte (San Giovanni XXIII), Concesio (San Paolo VI), Wadowice (San Giovanni Paolo II), Marktl (Benedetto XVI)», spiega Serafini. Ma torniamo alla devozione mariana di Luciani.
Una copia della statua della Vergine di Pietralba è stata posta a Canale: «a benedirla il 26 agosto di dieci anni fa venne il vescovo di Bolzano-Bressanone Karl Golser, con lui Giuseppe Andrich, già vescovo di Belluno-Feltre, e Bernardo Cazzaro, emerito di Puerto Montt», ricorda la nostra guida Serafini, «è stata collocata in direzione del santuario, lungo il percorso della Via Crucis dedicata a Luciani a significare il loro legame». Ma oltre a Pietralba non vanno dimenticati i pellegrinaggi del piccolo Albino sino al santuario della Madonna di Caravaggio a Piné (nel 1925) e al santuario di Monte Berico nel V centenario dell’apparizione mariana (nel 1928); ma anche quelli successivi, ormai da vescovo, a Pompei, Lourdes, Loreto e Fatima (dove, quand’era cardinale, nel 1977, avvenne l’incontro che ha fatto scrivere fiumi di inchiostro con suor Lucia dos Santos, alla quale, però, senza prove, è stata attribuita la profezia del papato e della morte). Serafini preferisce ricordare un’altra frase poco nota detta da Luciani in un’omelia nella chiesa di Santa Maria delle Grazie a Venezia: «Con mia sorpresa ho scoperto che parte del mio servizio pastorale l’ho svolto presso i santuari».
Il futuro Papa in questi luoghi ricordava ai fedeli di rivolgersi alla Madonna e di parlare di lei con semplicità: «Si scrive e si parla molto sulla Madonna, ma si faccia in modo da farsi capire da tutti e da toccare i cuori...». È ciò che lui ha fatto negli anni di Vittorio Veneto, anche al tempo del Concilio Vaticano II – tra il 1962 e il 1965 – partecipandovi senza prendere mai la parola durante i lavori in aula, ma presentando ai vescovi italiani, fuori dell’aula conciliare, il capitolo VIII della Lumen Gentium: proprio quello sulla figura di Maria nella Chiesa. È ciò che lui ha fatto negli anni sulla laguna pregando in San Marco innanzi alla Nicopeia, l’antica icona protettrice dei veneziani, nelle feste della Madonna della Salute, quando la città si raccoglie attorno alla basilica costruita in onore della Vergine per aver risparmiato la città dalla peste nel 1687, o nelle feste dell’Assunta (ripetendo «assunta in cielo non solo con l’anima, ma anche con il corpo»). O in altri viaggi della sua vita: anche all’estero, da Spalato (dove c’è il più importante santuario mariano croato) al Brasile (dove predicò nella diocesi di Santa Maria). Ed è ciò che ha fatto eletto Papa. Entrò nella Sistina al conclave dopo aver fissato lo sguardo orante il mattino presto innanzi al quadro della Madonna del Buon Consiglio posto nella camera dei padri agostiniani che l’avevano ospitato a Roma. Quella stessa mattina nel refettorio un agostiniano spagnolo, padre Blas Sierra, azzardò: «Eminenza, ho idea che faranno Papa lei». E lui: «No, con questa pasta non si fanno gli gnocchi», aggiungendo: «Comunque c’è sempre tempo di non accettare». Non fu così. E «l’elezione», ci dice Serafini ricordando un altro particolare, «avvenne nel giorno della Madonna di Czestochowa, 26 agosto, data in cui Giovanni Paolo II gli rese omaggio qui da noi nel 1979: per questo a Canale troviamo pure un’icona della Madonna di Czestochowa, dono del patriarca di Venezia Marco Cè, mancato sei anni fa. Sta nella parrocchiale, là dove Luciani era stato visto pregare nella sua ultima visita in paese prima dell’elezione: con la corona in mano, inginocchiato davanti alla statua dell’Immacolata, proprio là, nel posto dove era solita farlo sua madre, Bortola Tancon: la prima a fargli amare Gesù e la Madonna».