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domenica 13 ottobre 2024
 
Colloqui col Padre
 

Amare se stessi è contro gli insegnamenti del Vangelo?

22/08/2018  Il Vangelo e la ricerca della felicità per sé sono in contraddizione? Ci scrive una lettrice: «La Chiesa ci sta inculcando il senso di colpa da duemila anni. I parroci ci dicono di donarci agli altri e a non pensare a noi. Se dobbiamo sempre ingoiare dal nostro “prossimo” solo sensazioni negative, poi cominciamo a somatizzare... non voglio farmi calpestare, anche se quando c’è da aiutare lo faccio di vero cuore. Sono una cattiva cristiana?» Risponde don Antonio

Caro direttore, le scrivo per avere un suo parere su un argomento per me abbastanza importante. Da diverso tempo tutte le omelie che ascolto durante la Messa (anche in parrocchie diverse) convergono sul discorso dello “stare bene”. Quasi con le stesse parole, i parroci dicono che «il mondo adesso ci vuole convincere che ciò che è importante è che noi stiamo bene, siamo felici, siamo in salute, e tutto questo va contro gli insegnamenti del Vangelo, perché il Signore ci chiama a donarci agli altri e a non pensare a noi». Vorrei proprio capire perché! Uno dei primi comandamenti che ci insegnano a catechismo è: «Ama il prossimo tuo come te stesso». Perché noi non dobbiamo amarci? Perché dobbiamo sentirci in colpa se stiamo bene, se abbiamo un buon lavoro, se abbiamo degli amici e qualche volta ci permettiamo di divagarci? E come facciamo ad amare gli altri, se noi non ci concediamo lo stesso “lusso”?

Quando diciamo “sì” anche se vorremmo gridare “no” perché non ce la facciamo più, quando continuiamo a prestare soccorso a persone negative, che ci tolgono tutte le energie, che ci passano sopra incuranti del nostro malessere, quando permettiamo agli altri di dimenticarsi di noi, perché questo dovrebbe essere una cosa positiva? Poi ci ammaliamo... Perché se dobbiamo sempre ingoiare dal nostro “prossimo” solo sensazioni negative, poi cominciamo a somatizzare, e il corpo si ammala... Il corpo reagisce, ci chiama a essere presenti a noi! Se invece noi iniziamo a capire quali sono i nostri bisogni, le nostre risorse, le nostre necessità, e cominciamo ad ascoltare i messaggi che ci invia il nostro fisico, ecco che la guarigione avviene. Una delle principali cause che scatena (a livello inconscio ovviamente) le malattie è il senso di colpa. Ma la Chiesa ce lo sta inculcando da duemila anni!

Eppure Gesù per 30 anni ha vissuto una vita normale, in famiglia, con gli amici... Poi ha iniziato un percorso che lo avrebbe portato a una morte terribile, per la nostra salvezza, ma Lui era ben conscio del suo destino e lo ha portato avanti fino alla fine. Però era il Figlio di Dio! A me sembra che se noi non teniamo in alcun conto la nostra vita e la nostra salute stiamo commettendo un peccato, perché sprechiamo un dono immenso che Dio ci ha fatto! E se consentiamo agli altri di soffocarci o di calpestarci stiamo permettendo agli altri di peccare verso di noi. Io ho quasi 53 anni, e ne ho passati almeno 45 a cercare di compiacere e di aiutare gli altri, perché altrimenti mi sentivo una pessima cristiana (il vero cristiano si sacrifica per il bene degli altri). Però il disagio, il rancore, la stanchezza, il senso di soffocamento mi stavano distruggendo.

Ho dovuto sperimentare vari percorsi fino ad arrivare alla soluzione: amarmi, curarmi, imparare a dire di no e amettere gli altri di fronte alle proprie responsabilità. È un percorso doloroso perché tocca dei tasti profondi, e – pensi un po’ – è iniziato con il perdono. Innanzitutto il perdono a me, che mi ero lasciata trascinare in situazioni tanto disagiate da avermi fatto ammalare, e poi il perdono verso chi mi aveva (qualcuno anche amandomi) fatto del male volendomi sottomettere alla sua volontà. Adesso che ho scoperto quanto è bello volersi bene, non riesco a tornare indietro e la cosa più bella è che finalmente ho ricominciato ad amare gli altri, e quando faccio qualcosa per qualcuno è con sentimento di amore e altruismo che lo faccio. Altrimenti dico no. Un’altra cosa importante che ho “imparato” in questo rinnovamento è la gratitudine: un “grazie Signore!” mi sale spesso spontaneo alle labbra, perché sono felice, perché sto bene e riesco ad apprezzare tante piccole gioie quotidiane. Non riesco a sentirmi egoista, invece mi sento fortunata perché percepisco tutto l’Amore di Dio per me! So che lui mi vede bellissima e io così cerco di vedermi spieper apprezzare la sua creazione (ci ha creati a sua immagine e somiglianza, o no?!?). Ma non ho più intenzione di farmi calpestare, di sottomettere le mie necessità alle richieste degli altri: preferisco parlare chiaramente e lasciare che ognuno si assuma le sue responsabilità. Poi se c’è da aiutare lo faccio di vero cuore, perché capisco le varie situazioni. Per favore, mi dica: sono diventata una cattiva cristiana? Grazie.

MERI

Cara Meri, non sei diventata una cattiva cristiana, anzi. In qualche modo hai centrato l’essenza dell’amore. San Giovanni, nella sua prima lettera, scrive che «in questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati». Ed ecco la conseguenza che ne deriva: «Carissimi, se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri» (1Gv 4,10-11). L’amore vero viene da Dio, non è un nostro sforzo più o meno grande. È lo Spirito Santo, l’amore che unisce il Padre e il Figlio, che ci dà la possibilità, la forza, la capacità di amare a nostra volta. Quello stesso Spirito che è «l’amore di Dio riversato nei nostro cuori» (cfr Rm 5,5).

Tutto questo lo esprimi in modo semplice e chiaro quando scrivi: «Mi sento fortunata perché percepisco tutto l’Amore di Dio per me!». È il punto di partenza per poter amare davvero: prendere coscienza, percepire nel proprio cuore che il Padre mi ama, che mi ha creato per la gioia della comunione con lui. Che mi vuole bene così come sono, anzi con tutte le qualità e le possibilità belle e positive che lui vede in me (e che io magari non considero nemmeno). Che il suo amore è così grande da aver mandato il suo Figlio per salvarmi, perdonarmi, donarmi la sua misericordia. La fede è prima di tutto ed essenzialmente accogliere questo amore gratuito e immeritato e vivere di conseguenza. In questo modo, come scrive san Paolo «questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato sé stesso per me» (Gal 2,20).

Così si comprende anche il famoso passo del Vangelo in cui Gesù spiega che «il grande comandamento » è amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente (cfr Mt 22,37). Il secondo deriva dal primo: «Amerai il tuo prossimo come te stesso » (Mt 22,38). In altre parole, accogliendo l’amore di Dio scopro che il senso della mia vita è ricambiare questo amore. È proprio perché mi sento amato che posso amare a mia volta il prossimo. Lo posso amare come me stesso, cioè così come io mi sento amato.

Ma allora perché si sente dire talvolta che cercare di stare bene, in salute, ecc. è contro gli insegnamenti del Vangelo? In realtà veniamo semplicemente messi in guardia dal chiuderci in noi stessi, dal pensare solo al nostro benessere, al nostro egoistico interesse, chiudendo gli occhi e il cuore agli altri e alle loro necessità. Dobbiamo operare un attento discernimento e trovare il giusto equilibrio nella concretezza della vita quotidiana. Si tratta sempre di cercare il vero bene dell’altro, che a volte consiste anche nel dirgli un no. Un discernimento autentico è possibile con la luce della parola di Dio, della preghiera, con l’aiuto di un padre spirituale. D’altra parte, il peso del peccato ci trascina verso il male e dunque è necessario anche un impegno per amare gli altri, costa fatica, non è automatico. Per questo amare Dio e il prossimo è un comandamento. Perché solo nell’amore è la nostra vera gioia, la nostra felicità.

 
 
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