Ore 3,36 del 24 agosto 2016. Padre Gianfranco Priori e altri quattro frati cappuccini, suoi confratelli, dormono profondamente dopo una giornata densa di impegni pastorali, come succede sempre d’estate al santuario della Madonna dell’Ambro, alle pendici dei Monti Sibillini. Ma nel cuore della notte Montefortino, in provincia di Fermo, viene scosso da un sisma fortissimo, quello che devasterà il Centro Italia radendo al suolo Amatrice (nel Reatino) e molti altri paesi del Lazio e delle Marche.
«Mi sono svegliato all’improvviso, sentendo i calcinacci in testa e su tutto il corpo», ricorda il religioso, dal 2010 rettore della chiesa e superiore della comunità. «A un altro frate è caduta quasi addosso una parte del tetto, grazie a Dio schivando il letto in cui riposava. D’istinto sono andato in chiesa e ho visto cadere i gessi e le strutture portanti; c’era moltissima polvere e stava per crollare la volta, mentre l’abside era quasi staccata. Davanti a questa scena, ho detto: “L’Ambro è finito, è venuto giù”». Un momento di sconforto, mentre assisteva alla devastazione del santuario – uno dei più antichi delle Marche e fra i più visitati, dopo Loreto – che prende il nome dal vicino torrente. Qui nell’anno Mille la Vergine apparve alla pastorella Santina, bambina sorda e muta dalla nascita, che pregava e portava fiori a un’immagine mariana nella cavità di un faggio, forse una quercia; guarita, la piccola raccontò l’accaduto. Da allora il luogo è diventato meta di pellegrinaggi. Che da due anni a questa parte, però, sono notevolmente diminuiti, dato che il santuario è ancora chiuso per i lavori di messa in sicurezza. «Grazie a un milione e 100 mila euro, donati da un privato, potremo riaprire il giorno di Natale», anticipa padre Gianfranco.
FRATI TERREMOTATI
Invece il piccolo convento attiguo alla chiesa resta ancora inagibile, al momento; ci vorranno 200 mila euro per rimetterlo in sesto e il frate cappuccino confida nella generosità dei fedeli. Dal 24 agosto del 2016 lui e i confratelli si sono trasferiti ad Amandola, paese vicino, dove la struttura dei Cappuccini aveva subito lesioni non importanti. «Due anni fa con altri due frati abbiamo condiviso per 20 giorni la vita degli sfollati, dormendo con loro al Palasport, in una tensostruttura, guardandoci negli occhi e sperando», racconta. E poi ha cominciato a visitare i terremotati presso gli alberghi della costa adriatica, offrendo loro «un’ora di letizia francescana» con il suo spettacolo.
Sì, perché indossando sempre il saio padre Priori si trasforma in frate Mago «che cerca nel cilindro qualche colore per far sorridere. Un’esperienza bellissima, quella di annunciare anche nel terremoto il Vangelo della gioia. Abbiamo anche pianto e sofferto insieme. Non ho più detto che era finita, come avevo fatto nel primo momento iniziale: la fede ha fatto ricomprendere la vita. E anche un gioco di prestigio può ridestare la capacità di guardare avanti. Tutto concorre al bene, come scrive san Paolo».
Con un mazzo di carte o cordicelle, cerchi o fazzoletti, il frate Cappuccino sa incantare grandi e piccoli, persone semplici o colte. Un’arte che negli anni lo ha portato in giro per l’Italia e per il mondo, fra piazze e teatri, raccogliendo anche fondi per le missioni. L’avevamo intervistato quasi quattro anni fa per Credere e quelle pagine ora chiudono il volume pubblicato di recente dalle Paoline, scritto dal giornalista Vincenzo Varagona.
Classe 1953 e marchigiano doc, fra Gianfranco ogni domenica d’agosto alle 11 celebra la Messa all’aperto, nel luogo dell’apparizione. Quando il tempo è inclemente, la celebrazione eucaristica si svolge in un salone adibito a cappella, messo a disposizione da un ristorante vicino al santuario che ha retto alle scosse.
LA LUCE DI MARIA
Intanto la preghiera e la devozione non si fermano, nonostante il terremoto: «Dalle macerie Maria è stata un faro di luce che ha rischiarato le tenebre. In tanti sono venuti e vengono a ringraziarla, a dire il Rosario. Una signora ha fatto realizzare a Ortisei una copia in legno della Madonna dell’Ambro, per grazia ricevuta. Ogni giorno alle 11 celebro la Messa e a seguire presiedo una liturgia di benedizione con l’acqua santa: 15 minuti per dire bene di Dio e della nostra vita, in mezzo ai tumulti quotidiani, nonostante i problemi. Lui è innamorato di ciascuno». E, proprio grazie al sisma, aggiunge, «abbiamo fatto esperienza di paura, ansia, preoccupazione, segni negativi che restano indelebili. E, allo stesso tempo, di fragilità accolta, condivisione, del farci più vicini a coloro che soffrono. S’impara a comprendere che si cammina solo insieme e a non essere mai – soprattutto noi sacerdoti – coloro che parlano del castigo di Dio che ha giudicato male la nostra terra e ci ha puniti. Al contrario, occorre evangelizzare la speranza, rimanendo come Maria sotto la croce a tergere le ferite e ad accompagnare le persone in ogni situazione. Perché la Chiesa è pastore ma anche pecora, inserita nella realtà quotidiana non per puntare il dito ma per indicare il Vangelo, la lieta notizia: Dio in ogni situazione non si è dimenticato di te».