La foresta amazzonica brasiliana (Reuters).
(Foto Reuters)
Le immagini arrivate dallo spazio attraverso i satelli dell’Agenzia spaziale europea e della Nasa americana immortalano con inquietante chiarezza lo scenario apocalittico delle vaste aree rosse avvolte dalla fiamme. L’Amazzonia brasiliana, e in parte boliviana, brucia. La foresta tropicale più grande del mondo, il polmone verde del pianeta, casa di migliaia di specie animali e vegetali e di 34 milioni di persone, fra cui numerose etnie indigene, sta vivendo una lenta, inesorabile agonia, mangiata da incendi legati a una deforestazione sempre più massiccia e selvaggia. La morte dell’Amazzonia significa la catastrofe per il mondo intero, lo sprofondamento del pianeta in squilibri ecologici sempre più devastanti e irreversibili.
La tragedia delle foresti pluviali in preda al fuoco è approdata con urgenza sul tavolo del summit del G7 che si è aperto a Biarritz, in Francia, come aveva proposto il presidente francese Emmanuel Macron, scatenando una sorta di crisi internazionale a colpi di tweet. L’omologo brasiliano, Jair Bolsonaro, ha infatti criticato su Twitter l’iniziativa di Macron di discutere e prendere eventuali decisioni sull’Amazzonia senza la presenza e il coinvolgimento del capo di Stato del Paese, il Brasile, che è direttamente interessato dal problema e ha accusato l’inquilino dell’Eliseo di “mentalità colonialista”. Intanto, Bolsonaro ha preso la decisione di inviare l’esercito nelle zone gravemente colpite dagli incendi per cercare di fermare le fiamme. Ma solo qualche giorno fa il presidente ha cercato una giustificazione agli incendi a dir poco paradossale puntato il dito contro le organizzazioni non governative ambientaliste, accusandole di aver provocato apposta il fuoco per poter poi addossare la colpa a lui e alla sua gestione politica. Il fumo sprigionato dalla fiamme si è propagato ben oltre le foreste, ha raggiunto e invaso il cielo sopra la lontana città di San Paolo, che si è ritrovata a sprofondare nel buio.
Il Wwf lancia l’allarme: la foresta amazzonica in Brasile sta perdendo una superficie equivalente a oltre tre campi di calcio al minuto e il punto di non ritorno è sempre più vicino. La più grande fonte di biodiversità del pianeta, fondamentale per gli equilibri climatici - afferma l’associazione impegnata a difesa dell’ambiente - rischia il collasso ecologico, portando a un avanzamento della desertificazione e della siccità. I dati dei possibili scenari futuri sono drammatici: senza le foreste pluviali rischiamo di perdere fra il 17 e il 20% delle risorse di acqua per il pianeta e il 20% della produzione di ossigeno globale. Le aree convolte sono più sensibili alle inondazioni e agli effetti del cambiamento climatico. Numerose specie animali e vegetali rischiano di estinguersi defintivamente.
Il presidente del Brasile Jair Bolsonaro (Reuters).
Lo stesso Bolsonaro non ha potuto negare che i responsabili delle devastazioni possono essere i “fazendeiros”, i proprietari agricoli che appiccano il fuoco per guadagnare terre da destinare alle coltivazioni. Come spiega il Wwf, da sempre gli incendi sono connessi alle attività agricole e allo sfruttamento minerario e dipendono dalla deforestazione attuata per lasciare spazio alle attività agricole: appiccare il fuoco, infatti, è il mezzo usato più comunemente per creare destinate a coltivazioni, allevamenti e miniere. Attività che, durante la presidenza di Bolsonaro, hanno conosciuto un forte impulso. In Brasile esiste una legge che vieta ai proprietari terrieri di disboscare più di un quinto delle loro terre, ma una rete di organizzazioni ambientaliste brasiliane ha denunciato che l’attuale Governo, pur non modificando la legge, ha favorito un clima di diffusa impunità e dato una sorta di via libera alle attività della grande industria agraria.
Secondo i dati dell’Istituto nazionale di ricerche spaziali del Brasile (Inpe), da gennaio fino al 19 agosto di quest’anno gli incendi sul territorio brasiliano sono aumentati dell’83% rispetto allo stesso periodo del 2018. Soltanto nel mese di luglio 2019 la deforestazione avrebbe colpito 2.254 chilometri quadrati, un’area estesa quanto la provincia di Latina.
La perdita della foresta amazzonica mette gravemente anche a rischio la sopravvivenza di un altissimo numero di popolazioni indigene che da sempre la abitano e lottano strenuamente per l’affermazione e il riconoscimento dei loro diritti, in primis quello alla terra. Entrato in carica il 1° gennaio del 2019, fin dalla sua campagna elettorale, condotta con toni roboanti e provocatori, Bolsonaro non hai mai nascosto di voler promuovere politiche a favore della grande industria agraria, indebolendo i diritti e le legittime rivendicazioni territoriali degli indigeni. Fortissime critiche ha sollevato una provocatoria esternazione di Bolsonaro prima delle elezioni, quando l’allora candidato ha dichiarato che ai popoli indigeni non avrebbe concesso più nemmeno un millimetro di terra. Una volta eletto, lo scorso gennaio, ha tolto al Funai (il dipartimento governativo che si occupa della protezione degli indios) il compito di demarcare le terre indigene, affidandolo al ministero dell’Agricoltura, tradizionalmente espressione degli interessi della lobby dell’agrobusiness.
Tuttavia, se è vero che durante questi mesi di presidenza il problema del disboscamento e degli incendi si è fortemente acuito, va comunque sottolineato che il dramma del progressivo impoverimento dell’Amazzonia non è recente, ha attraversato la storia del Brasile degli ultimi cinquant’anni. L’azione sistematica di deforestazione è iniziata negli anni Settanta, attività alla quale vanno aggiunte la massiccia opera di costruzione di strade e di dighe che hanno modificato l’ambiente naturale delle foreste. Tanti sono stati, in questi decenni, gli appelli e le campagne di sensibilizzazione per salvare la foresta, a partire dall’emblematico lavoro fotografico del famoso fotoreporter brasiliano Sebastião Salgado.
Secondo i dati di una ricerca di alcuni mesi fa, tra il 1985 e il 2017 il Brasile ha perso l’11% della sua area forestale: di questa, il 61,5% riguarda la foresta amazzonica. Quest’ultima, nel periodo preso in considerazione, ha conosciuto due record di tassi di deforestazione: tra il 1994 e il 1995 durante la presidente di Fernando Henrique Cardoso, e tra il 2004 e il 2005 durante la presidenza di Lula.
In tutto il mondo si sono diffuse campagne social e manifestazioni - portate avanti da numerosi personaggi famosi - per denunciare la tragedia dell’Amazzonia e sensibilizzare il Brasile e la comunità internazionale a prendere urgenti provvedimenti. Il Wwf, in occasione del summit del G7, denuncia che, di fronte alla tragedia dell’Amazzonia, ancora non sia stata dispiegata la cooperazione necessaria a fronteggiare simili emergenze e lancia un appello al premier italiano Giuseppe Conte, chiedendogli di farsi promotore di una presa di posizione della comunità internazionale per fornire il prima possibile al Brasile e agli altri Paesi latinoamercani coinvolti una task force anti-incendio provvista dei mezzi necessari, come si fa normalmente nelle grandi catastrofi naturali, dai terremoti alle alluvioni.