Ricchi, colti, di gusti raffinati e dotati di una bella presenza fisica. Secondo gli antichi manuali, così dovevano essere i diplomatici ideali. Nel suo classico “Storia della diplomazia”, Harold Nicholson (diplomatico e scrittore britannico vissuto fra il 1886 e il 1968) aggiunge altre qualità più specifiche e ricorda addirittura che “una buona capacità di sopportare senza conseguenze grandi quantità di liquori fortissimi era considerata un requisito essenziale per qualsiasi diplomatico inviato alle corti d’Olanda o di Germania”.
Ma oggi la diplomazia non è più quella. Certo, il capo di una missione diplomatica deve essere impeccabile quando c’è un ricevimento o un evento ufficiale, ma le fotografie circolate in questi giorni di Luca Attanasio, l’ambasciatore italiano in Repubblica Democratica del Congo ucciso il 22 febbraio, ci hanno mostrato un volto diverso della diplomazia. Abbiamo visto Attanasio sorridente e disinvolto in abiti sportivi con missionari, cooperanti e bambini dei villaggi e delle scuole che andava a visitare. Non erano immagini del suo tempo libero, erano anche quelli momenti della sua professione.
“Che sia in Congo, Afghanistan, Libia o altrove, l’attività dei diplomatici non è assolutamente di sola rappresentanza. Conoscono le realtà spesso molto difficili in cui si trovano. Lo stereotipo delle tartine è francamente fuori luogo”, ha detto Emma Bonino, ministra degli esteri fra il 2013 e il 2014.
Sul quotidiano Avvenire il diplomatico Pasquale Ferrara, docente di diplomazia e negoziato alla Luiss, ha scritto: “Gli ambasciatori, si crede comunemente, vivono in una specie di bolla, in un universo ovattato, separati dal mondo reale e dalle fatiche del vivere. Luca Attanasio è stato un Ambasciatore d’Italia ineccepibile, ma la sua 'missione' non si arrestava alle porte della sede diplomatica. È uscito, ha oltrepassato i recinti, per incontrare l’umanità in difficoltà, per capire il 'Paese reale' in cui si trovava, non solo quello ufficiale. Questa diplomazia della porta aperta e dell’ascolto è quella di cui abbiamo bisogno: supera gli steccati pubblico-privato, governativo- non governativo, laico-religioso”.
Oggi la diplomazia mantiene la sua funzione di rappresentanza, ma si è progressivamente trasformata in diplomazia di servizio, trovando anche sinergie con la società civile. Questo aspetto è particolarmente seguito nella formazione dei nuovi diplomatici, che attraverso un concorso, entrano a far parte della rete diplomatico-consolare italiana. Oggi questa rete si compone di 301 uffici all’estero, di cui 128 Ambasciate, 80 Uffici consolari, 8 Rappresentanze Permanenti, 84 Istituti Italiani di Cultura e 1 Delegazione Diplomatica Speciale.
Nelle pagine del sito del Ministero degli Esteri dedicate alla carriera diplomatica si legge che “Il diplomatico di oggi deve saper leggere il mondo che lo circonda, in continua, rapida evoluzione, e cogliere il senso degli avvenimenti. Deve saper affrontare con uguale perizia i temi della politica e dell’economia, i fenomeni socio-culturali, le priorità strategiche, in un continuo esercizio di riflessione, di osservazione attenta e consapevole e d’interpretazione della realtà. Deve essere un eccellente negoziatore, ma anche un promotore di pace e comprensione tra i popoli”.
Luca Attanasio ha interpretato al meglio questo ruolo, come gli ha riconosciuto l’ambasciatore Elisabetta Belloni, Segretario Generale della Farnesina. “Luca ha interpretato la sua professione nella convinzione di potere contribuire alla costruzione di un mondo migliore, dove lealtà e merito vengono messi al servizio di valori e principi non negoziabili, in primo luogo la dignità della persona. Credeva che l'Italia — agendo insieme all'Unione Europea e alle Nazioni Unite — potesse svolgere un ruolo importante per promuovere sviluppo e pace. E a questo si è dedicato con umiltà ma anche con assoluto impegno e preparazione, lavorando in silenzio e con sobrietà”.