Contribuisci a mantenere questo sito gratuito

Riusciamo a fornire informazione gratuita grazie alla pubblicità erogata dai nostri partner.
Accettando i consensi richiesti permetti ad i nostri partner di creare un'esperienza personalizzata ed offrirti un miglior servizio.
Avrai comunque la possibilità di revocare il consenso in qualunque momento.

Selezionando 'Accetta tutto', vedrai più spesso annunci su argomenti che ti interessano.
Selezionando 'Accetta solo cookie necessari', vedrai annunci generici non necessariamente attinenti ai tuoi interessi.

logo san paolo
mercoledì 06 novembre 2024
 
 

Ambiente, nessun passo avanti

11/12/2011  La diciassettesima Conferenza sui cambiamenti climatici sta rischiando il fallimento. Il documento finale è privo di obiettivi quantificabili, di azioni concrete e di tempi vincolanti.

Durban, Sudafrica

La Conferenza sui cambiamenti climatici rischia di chiudersi con un sostanziale nulla di fatto. Ancora una volta, i delegati dei 194 Paesi che per due settimane hanno lavorato ad un accordo per frenare il surriscaldamento della temperatura terrestre e limitare le conseguenze del crescente inquinamento e dello sfruttamento delle risorse naturali non trovano un’intesa sufficiente. A nulla sono valsi i tre giorni finali dei lavori ai quali hanno partecipato i ministri dei Governi partecipanti, né il rinvio della sessione conclusiva imposta per ben tre volte dalla presidenza sudafricana della Conferenza. 

Alla fine, come nel precedente vertice del 2009 a Copenaghen, la dichiarazione finale in via di definizione ha il sapore di un documento formale privo di obiettivi quantificabili, di azioni concrete e di tempi vincolanti. Buone intenzioni, dichiarazioni di principio, ma nulla più. La responsabilità di fare qualcosa per salvare il pianeta dalla catastrofe climatica non ha prevalso sulla intransigenza delle richieste di misure drastiche e immediate avanzate dai Paesi in via di sviluppo e dalle organizzazioni della società civile internazionale e sulle resistenze conservatrici dei Paesi industrializzati.

Così, a Durban si sta decidendo di rinviare ogni decisione alla Conferenza del prossimo anno nella speranza, sempre più dubbia, di trovare in quella sede l’accordo per un nuovo protocollo di intesa che fissi regole, obiettivi e modalità di azione per il periodo successivo a quello contemplato con il Protocollo di Kyoto. In tale quadro desolante, l’unico punto cui appigliarsi dopo questa ennesima inutile Conferenza, è la decisione presa di prorogare sino al 2015 il Protocollo di Kyoto, estendendo di tre anni la sua validità inizialmente fissata nel 2012. Un compromesso di minima che scommette sulla definizione di un nuovo accordo che entri in vigore solo nel 2020, ma che perlomeno mantiene gli obiettivi assunti con questo accordo multilaterale che, seppur insufficiente, impegna gli Stati a contenere le emissioni di CO2.

Il vero problema, tuttavia, è che questa mediazione non vede coinvolti quattro attori determinanti per i loro livelli attuali di inquinamento dell’atmosfera. Oltre agli USA, che tra l’altro non hanno mai aderito al Protocollo di Kyoto, anche Canada, Giappone, Russia non hanno accolto questa proposta, riservandosi la libertà di proseguire con gli standard di emissioni attuali. Neppure l’apertura manifestata negli ultimi giorni dalla Cina, l’altra grande potenza inquinatrice, dichiaratasi “flessibile” rispetto alla stipula oggi di obiettivi più stringenti da perseguire a partire dal 2020, ha potuto smuovere le posizioni intransigenti dei primi quattro. Uno scacchiere internazionale che sembra avviarsi verso posizioni difficilmente negoziabili nel quale, purtroppo, l’Unione europea si è ancora una volta presentata divisa al proprio interno. A fronte delle aperture pronunciate a Durban dal capo delegazione UE e del tentativo di creare unilateralmente una “coalizione di volonterosi” insieme a numerosi Stati africani e alle piccole isole a rischio di scomparsa per l’innalzamento del livello dei mari, il fronte dei reticenti, Polonia in testa, ne ha svilito efficacia ed impatto. Un ulteriore indicatore di quanto spesso constatato rispetto all’inconsistenza dell’unitarietà della politica dell’Europa.


E l’Italia? Il neo ministro per l’Ambiente Corrado Clini, alla sua prima uscita internazionale, si è dimostrato determinato nelle sue convinzioni maturate in lunghi anni di servizio da Direttore generale dello stesso dicastero, distinguendosi per le sue affermazioni notoriamente possibiliste rispetto al ricorso all’energia nucleare quale via energetica “pulita”, e incassando un accordo di cooperazione con la Cina del valore di 3.6 miliardi di Euro per la messa in opera di impianti “low carbon” mediante la realizzazione di circa 250 progetti di sviluppo.

Mentre sta calando il sipario sulla Cop 17 di Durban, resta l’amarezza per l’ennesimo rinvio di ciò di cui il pianeta e l’umanità avrebbero drammaticamente bisogno: decisioni vincolanti prese per il bene delle generazioni future e non solamente orientate alla salvaguardia degli interessi e dei privilegi di oggi.

 
 
Pubblicità
Edicola San Paolo