Cari amici lettori, qualche giorno fa è stata pubblicato il Rendiconto 2022 dell’8xmille alla Chiesa cattolica. Per chi volesse, si può consultare sul sito https://rendiconto8xmille.chiesacattolica.it.
Forse ad alcuni sembrerà un argomento “poco spirituale” per un editoriale, ma io credo valga la pena soffermarcisi insieme, perché certamente la Chiesa ha una missione “spirituale” – se per spirituale intendiamo l’annuncio del Vangelo, i sacramenti, la vita ecclesiale ecc. – ma ha anche dei risvolti concreti, economici, con cui deve fare i conti, che non sono separati dalla sua dimensione spirituale.
Parliamo di un’istituzione ancora grande e radicata sul territorio. Perciò è anzitutto una buona notizia la pubblicazione – e la possibilità da parte di tutti – di consultare cifre e numeri, verificando per quali voci vengono spesi i soldi, quali sono le necessità ma anche i progetti della Chiesa italiana, cosa si “finanzia” concretamente con l’8xmille. Si può vedere così che le entrate dell’8xmille vengono ripartite in tre grandi ambiti (esigenze di culto e pastorale, attività caritative, sostentamento del clero).
Le esigenze di culto e pastorale assorbono il 34,6 delle entrate (366 milioni di euro). Ma che cosa sta dietro a questa voce così ampia?
Lo scopriamo leggendo il rendiconto:
«I fondi erogati vengono utilizzati per rispondere alle esigenze delle famiglie, per realizzare strutture educative e ricreative per i ragazzi, oltre che per sostenere iniziative pastorali e di formazione, come ad esempio quelle promosse dalle scuole di formazione teologica per laici, catechisti ed insegnanti di religione».
Gli interventi caritativi assorbono a loro volta il 26,7% delle entrate (283 milioni di euro), andando a sostenere le tante domande di aiuto provenienti da povertà materiali e spirituali, sia nelle diocesi italiane, sia nei Paesi più poveri del Sud del mondo. Come sottolinea la Cei, questi sono anche
«esempi di solidarietà che possono contribuire a educare i membri della comunità cristiana ad amarsi l’un l’altro».
Sì, l’amore ha anche questi risvolti concreti nella concezione cristiana, dove chi ha di più condivide con chi ha di meno. Infine c’è il capitolo relativo al sostentamento del clero, che assorbe 38,7% delle risorse per 410 milioni di euro. Con questa cifra, la Chiesa italiana mantiene 29.407 sacerdoti in attività, oltre che 2.573 non più abili a prestare servizio.
Sorprenderà molti leggere che la remunerazione del clero va da un minimo di 900 euro (un sacerdote appena ordinato) a 1.800 euro di un vescovo prossimo alla pensione. Per ognuno dei tre ambiti vengono anche indicate iniziative specifiche di destinazione, per dare un volto concreto a “cosa ne viene fatto”. Insomma, trasparenza nei resoconti (richiesta anche a livello diocesano), rispetto delle norme civili, correttezza, rigore, criteri chiari, priorità, obiettivi, onestà:
tutto questo «per educare un autentico spirito di famiglia nelle stesse comunità cristiane», come ha affermato il segretario generale della Cei, monsignor Giuseppe Baturi.
Un modello che dovrebbe essere seguito anche nelle nostre parrocchie, educandoci a un uso “evangelico dei beni, che comporta anche precise regole di trasparenza. Se è vero, come affermava papa Francesco all’Angelus nella solennità della Trinità ricorrendo proprio all’immagine della
«famiglia riunita a tavola» per illustrare il mistero trinitario, che Dio è «comunione d’amore», questa comunione deve “filtrare” anche nelle nostre realtà concrete, materiali. Perché, come ha giustamente notato Baturi, «il rapporto con i beni temporali testimonia la sequela di Cristo e la serietà con cui la Chiesa vive il Vangelo».