“Non è un voto sul Governo”, grida dai palchi di Bologna, Rimini e Ravenna Matteo Renzi nel rush finale della campagna elettorale. Forse il premier-segretario del Pd mette le mani avanti, forse i sondaggisti gli hanno predetto qualcosa di non esaltante, o forse no. Ma è chiaro che anche questa tornata non sfuggirà alla logica del test elettorale. Un test importante, poiché un quarto degli italiani (gli elettori coinvolti sono oltrre 13 milioni in tutto) voteranno per rinnovare giunta e sindaco di 1.342 Comuni, tra cui 7 capoluoghi di regione: Roma, Milano, Napoli, Bologna, Torino, Cagliari e Trieste. Renzi preferisce spostare l’esame più in là: sarà il referendum costituzionale il vero test. E così il segretario-premier continua a caricare di significato politico una consultazione - quella prevista a ottobre - che di per sé dovrebbe dare un giudizio “tecnico” (il referendum), e su cui invece l’Italia si sta schierando (vedasi la recente esternazione per il sì al referendum di Benigni) quasi fosse una sorta di referendum virtuale tra Monarchia e Repubblica.
Nelle città più importanti si profila un ballottaggio (previsto il 19
giugno), come nei testa a testa di Milano (tra Parisi e Sala) e Torino
(tra Fassino e Appendino). Nella Capitale, politicamente un po' smarrita
dopo lo choc delle dimissioni di Marino, non è chiaro invece chi
andrà al ballottaggio tra la candidata dei Cinque Stelle Raggi, quello
del Centrodestra Marchini, la candidata di Fratelli d'Italia Meloni e
del Pd Giachetti. Ma la principale incognita di questo appuntamento elettorale è l’astensionismo. I
sondaggi infatti dicono che quelle del 5 giugno passeranno alla storia
come le elezioni dell’elettorato alla finestra. Non a caso la campagna
elettorale si è svolta all’insegna della conquista dei voti in libera
uscita. Ma il bilancio è quello di una campagna scialba, gridata, con
programmi elettorali fotocopia, basati più sull’immagine e sugli eventi
che sui contenuti.