Barbara Blomberg, si chiama la ragazza di Ratisbona. Siamo al tempo di Carlo V, re di Spagna e imperatore del Sacro romano impero, quello sulle cui terre, si diceva, non tramontava mai il sole. Barbara, che vive a Ratisbona ed è la figlia di un cinturaio, diventa per una breve stagione, durante la Dieta del 1546, l’amante del re, a cui darà un figlio, che il padre farà educare a corte e che diventerà molti anni dopo Giovanni d’Austria, il vincitore della battaglia di Lepanto.
Silvia Di Natale ha affrontato il suo personaggio partendo proprio da Ratisbona, dove vive. È andata in cerca delle esili tracce della bella Barbara; ma prima di tutto ha visualizzato e ricreato davanti ai nostri occhi ogni vicolo, ogni palazzo, e il famoso ponte di pietra sul Danubio, con la meticolosa e assorta precisione di chi insegue i segni del passato, e li sa interpretare. Attraverso la storia di Barbara, il romanzo affronta un periodo tumultuoso: l’affermarsi della Riforma protestante nei Paesi Bassi e in Germania, il fallimento della politica di conciliazione perseguita dall’imperatore, la spietata caccia agli eretici da una parte, il fanatismo ambiguo dei calvinisti dall’altra. Ogni capitolo porta una data progressiva ed è intitolato a uno o più personaggi: ma l’autrice tiene ben saldi i fili complessi del suo arazzo, ne varia i colori e l’intensità, seguendo l’intrecciarsi delle emozioni: amore, dedizione, fanatismo, odio, vendetta…
Così sfilano davanti al lettore Carlo V, visto nella sua prestanza di principe e nella sua spettrale solitudine di uomo, nella sua fede sincera, nel disgusto di vivere che lo porterà ad abdicare e a ritirarsi nelle solitudini dell’Estremadura con i suoi orologi; Barbara, che gli si è data con spontanea sincerità, e il suo grande vero amore, Claude lo studioso, che lei salva dalla morte con l’aiuto di un silenzioso medico ebreo; Madame Frayken, l’astuta cortigiana romana che inventa le “case della gioia”; Quijada, il ciambellano di Carlo che riflette, in una pagina affascinante, sul cerimoniale reale come l’arte di orchestrare le passioni e di far vivere a principi e cortigiani la sensazione di essere attori e spettatori di uno spettacolo colmo del pathos della regalità; e tantissimi altri personaggi, ognuno con la sua verità. E così, come in una fantasmagoria che man mano accelera il suo ritmo, mendicanti e fattucchiere, straccioni e pezzenti, anime pie e predicatori, commercianti e fabbricanti di carta, tutti si affollano in scena con perfetto tempismo teatrale, tutti travolti dalla danza infinita del tempo, simboleggiata dal continuo riapparire di tre misteriosi orologi.