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domenica 08 settembre 2024
 
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Anche Paolo VI voleva dimettersi: ecco le lettere originali

19/05/2018  Il 2 maggio 1965 scrisse due lettere affermando che si sarebbe fatto da parte in caso di malattia invalidante ovvero in caso di altro impedimento grave e prolungato. In un libro edito dalla San Paolo (in libreria da sabato 19 maggio) padre Leonardo Sapienza le pubblica per la prima volta con un commento di papa Francesco. Ampio servizio sul numero 20 di Famiglia Cristiana

Il 2 maggio 1965 era una domenica, non a caso quella del Buon pastore. Meno di sei mesi prima aveva fatto il suo ingresso al Quirinale Giuseppe Saragat. Aldo Moro stava guidando il suo secondo Governo. Alla Casa Bianca c’era Lindon Johnson e al Cremlino (su cui ancora sventolava la bandiera rossa dell’Urss) Leonid Il’ic Brežnev. Paolo VI celebrò Messa nella Basilica vaticana per alcuni gruppi di lavoratori italiani. A mezzogiorno, in occasione della preghiera domenicale del Regina caeli, parlò in termini accorati di una pace sempre più minacciata: dall’8 marzo di quell’anno, gli Usa mandavano in Vietnam reparti combattenti e non solo “consiglieri militari”.

Fu in quel contesto che Giovanni Battista Montini, nato a Concesio, a Nord di Brescia, il 26 settembre 1897, ed eletto Papa il 21 giugno 1963, scrisse di suo pugno due lettere. La prima era indirizzata al cardinale Segretario di Stato, che allora era Amleto Giovanni Cicognani, la seconda al cardinale decano del Collegio cardinalizio, in quel momento il francese Eugène Tisserant. Il contenuto era semplice quanto sconvolgente. Il successore di Pietro metteva nero su bianco che era pronto a farsi da parte.

«Paolo VI aveva pensato concretamente alle dimissioni», spiega monsignor Leonardo Sapienza, pugliese, 65 anni, sacerdote rogazionista, reggente della Casa pontificia, apprezzato studioso di Paolo VI. Nel suo ultimo libro La barca di Paolo (Edizioni San Paolo, in libreria da sabato 19 maggio) Sapienza pubblica per la prima volta gli originali riservati di quelle lettere. «Nel caso di infermità, che si presuma inguaribile, o di lunga durata, e che ci impedisca di esercitare sufficientemente le funzioni del nostro ministero apostolico; ovvero nel caso che altro grave e prolungato impedimento a ciò sia parimenti ostacolo, dichiariamo di rinunciare al nostro sacro e canonico ufficio, sia come Vescovo di Roma, sia come Capo della medesima santa Chiesa cattolica», scrisse Paolo VI che papa Francesco proclamerà santo nel prossimo ottobre.

Monsignor Leonardo Sapienza, pugliese di Cassano delle Murge (Bari), 65 anni, sacerdote rogazionista, reggente della Casa pontificia, con papa Francesco  al termine della sua prima udienza generale, il 27 marzo 2013. Tutte le foto di questo servizio sono dell'agenzia Ansa.
Monsignor Leonardo Sapienza, pugliese di Cassano delle Murge (Bari), 65 anni, sacerdote rogazionista, reggente della Casa pontificia, con papa Francesco al termine della sua prima udienza generale, il 27 marzo 2013. Tutte le foto di questo servizio sono dell'agenzia Ansa.

«Quando il 2 maggio 1965 si mise alla scrivania e prese in mano la penna, Paolo VI godeva buona salute e il concilio Vaticano II era ancora in pieno svolgimento: sarebbe stato lo stesso Paolo VI a chiuderlo l’8 dicembre successivo», osserva monsignor Sapienza.  Che aggiunge: «Montini, dunque, non prese questa decisione sulla spinta di difficoltà, di paure, di incomprensioni, ma soltanto mosso dall’amore alla Chiesa, che deve avere un pastore nel pieno delle sue facoltà». Anche le contestazioni sarebbero venute dopo, precisa monsignor Sapienza. «Il Sessantotto, le critiche per le riforme introdotte sulla base dei documenti conciliari, le incomprensioni per l’Humanae vitae, la crisi delle vocazioni: tutto avvenne in seguito».

Monsignor Sapienza, le risulta che Paolo VI si fosse consultato con qualcuno?

«Non risulta. Sembra che il testo sia stato scritto di getto, personalmente, nel silenzio del suo studio e proprio nella domenica del Buon pastore».

Nello scritto, Montini fa riferimento al «bene superiore della Chiesa»…

«È quanto fa risaltare anche papa Francesco nel suo commento pubblicato nel libro. A Paolo VI stava a cuore non tanto la sua salute, quanto il bene superiore della Chiesa. Di quella Chiesa che lui ha teneramente amato, fino a definirla “il mio chiodo fisso”».

Giovanni Paolo II e Benedetto XVI videro questi documenti?

«Certamente Giovanni Paolo II ha letto queste lettere e, secondo alcuni autorevoli testimoni, ha espresso il desiderio di seguire l’esempio di Paolo VI. Se poi lo abbia fatto realmente, non è dato sapere. Invece Benedetto XVI non ha mai visto queste lettere e non ne conosceva l’esistenza»........

Continua la lettura sul numero 20 di Famiglia Cristiana che pubblica un ampio servizio al riguardo.

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