I farmaci contro l’ipertensione si classificano
in sei famiglie: diuretici, Ace-inibitori, sartani,
betabloccanti, calcioantagonisti e (molto meno
usati) alfabloccanti. Ogni famiglia ha un modo
tutto suo di arrivare a rendere elastiche vene ed
arterie. Ad esempio, gli Ace-inibitori riducono
la quantità circolante di angiotensina, un
ormone che contribuisce a irrigidire le arterie e
crea vasocostrizione.
Anche i sartani hanno un
meccanismo simile, capace dunque di dilatare i
vasi e ridurre la pressione. «Altra possibilità di
dilatare i vasi è agire sui recettori beta che stanno nel
cuore e nella parete dei vasi e dei bronchi», spiega
Parretti. «Molti betabloccanti sono controindicati
se c’è bronchite ostruttiva ma ci sono betabloccanti
selettivi che funzionano senza toccare i bronchi».
I diuretici, forse la più “antica” delle famiglie,
«agiscono “spremendo” le pareti dei vasi e
richiamandone acqua dalle cellule; questo determina
elasticità di parete. I calcioantagonisti infi ne
impediscono l’ingresso del calcio nella cellula delle
pareti delle arterie, tra le conseguenze c’è la capacità
di migliorare la dilatazione dei vasi». Ogni famiglia
ha un gruppo-bersaglio particolare di beneficiari. «Se
do un betabloccante a un paziente con tachicardia,
che cioè ha tanti battiti, ne trarrà maggior benefi cio;
se invece ho un diabetico devo rendere fl essibili
i vasi e uso Ace-inibitori, mentre i diuretici sono
indicati per i pazienti con ritenzione idrica». Parretti
avverte: «Non in tutti i pazienti riusciamo a tenere
sotto controllo la pressione nelle 24 ore con una sola
medicina. Qualcuno nello svegliarsi al mattino scopre
di avere la pressione alta e di non essere coperto. In
questo caso, si aggiunge una o mezza dose di pastiglia
di sera per coprire l’intervallo notturno e magari si
cambia tipo di farmaco per alleggerire il rischio di
sovraccaricare l’organismo di una certa sostanza».