Ancora scontri. A Firenze, questa volta. Dopo Napoli, Roma, Torino, Milano è adesso il capoluogo toscano che porta in piazza contestazioni e violenze. «Le proteste sono legate a sofferenze che realmente esistono nell’ambito degli imprenditori, dei ristoratori, di coloro che gestiscono dei servizi che finiscono per restare fermi», dice subito il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho, «e rientra nel legittimo ambito di manifestazione del proprio pensiero. Diverso, però, è l’inserimento, l’infiltrazione di violenza nell’ambito dei cortei. Inserimento che certo non deriva da coloro che vogliono protestare. Ci sono, però, soggetti che utilizzano, strumentalizzano i cortei per conseguire obiettivi diversi».
Quali sono questi obiettivi?
«Sono diversi. Pensiamo per esempio a Napoli dove c’è stata l’incursione di gruppi violenti che si erano posti all’attacco delle forze dell’ordine anche armati di bastoni ferrati. È evidente che questo tipo di manifestazione non appartiene a chi gestisce quotidianamente un lavoro, a chi porta avanti un’azienda, una attività economica, ma a chi si muove su altri livelli. Piccoli indizi, ma importanti quali la presenza di centinaia di motorini che seguono il corteo (espressione tipica di una camorra che controlla il territorio muovendosi nei quartieri per fungere da sentinelle), o, a Napoli e in altre città, l’attacco così violento di ultrà delle tifoserie, anche questi solitamente sono sostenuti o dalle mafie che hanno interesse a condizionare il mondo del calcio, ci dicono che l’obiettivo non è quello dei commercianti che vogliono difendere le proprie attività. Ci sono gruppi estremisti, in questo momento sono particolarmente attive le formazioni estremiste di destra, che vorrebbero conseguire obiettivi sovversivi. Entrano nei cortei per mimetizzarsi, ma poi attaccano le forze dell’ordine e viene fuori il loro progetto di violenza e di contrasto allo Stato».
Sono obiettivi che stanno venendo fuori adesso?
«In realtà no. Le formazioni e i gruppi anarchico insurrezionalisti che hanno un progetto sovversivo, anche nell’ambito della messagistica, del web anche quello scoperto, hanno aperto fin da marzo un dibattito sull’esigenza di sobillare o intervenire per muovere le masse anche con attacchi ai supermercati, con partecipazione a manifestazioni violente diverse. Non solo a Napoli, ma anche altrove sono in tanti che in questo momento possono avere interesse a strumentalizzare i cortei e intervenire per conseguire un loro interesse».
E le mafie cosa ci guadagnano?
«Le mafie sono sempre alla ricerca del cosiddetto consenso sociale perché su di esso si basa la loro forza. Hanno comportamenti diversi: da un alto, laddove c’è povertà, intervengono con un aiuto economico. Già questo li pone in una situazione di vicinanza nei quartieri o nei settori più disagiati della nostra società. Nelle manifestazioni di questi giorni, invece, vogliono mostrare anche a settori diversi, in questo caso dell’economia, che sono in grado di sostenere una manifestazione e che, attraverso la violenza, riescono a condizionare ulteriormente le forze dello Stato. Vogliono porsi come interlocutori del disagio e della sofferenza, quasi come paladini che intervengono per aiutare, per sostenere. Apparentemente hanno un interesse solidaristico, quello di aiutare le parti sociali più deboli laddove c’è esigenza, per esempio del famoso pacco di viveri, dall’altro, in casi come questo, intervengono nei cortei per trasformarli quasi in una guerra civile. E questo diventa particolarmente pericoloso nello Stato di diritto. Il loro ritorno è che, così facendo, nel momento in cui chiedono qualcosa a quei settori che hanno sostenuto, si è pronti a dare. Spesso, per esempio, ci chiediamo com’è possibile che in certi quartieri, quando la polizia o i carabinieri inseguono un rapinatore, vengono gettati oggetti contundenti da varie palazzine per fermare l’inseguimento. Evidentemente non sono tutti camorristi. Però nel momento in cui si è creata una solidarietà di questo tipo, e si è avuto quel consenso sociale di cui hanno bisogno la camorra, la mafia, la ndrangheta, anche chi è estraneo alle organizzazioni ma condivide una sorta di percorso perché in alcuni momenti ha trovato un aiuto, interviene contro le forze dell’ordine».
Quindi riescono a spostare anche cittadini onesti dalla loro parte?
«Tendono a questo. Cercano di manifestarsi alle categorie sociali che di volta in volta hanno bisogno come coloro che si prendono cura di quegli interessi intervenendo con la violenza. E poi così allargano il reclutamento. Capita per esempio con quella parte della società che ha un disagio economico ed è in difficoltà perché non riesce a svolgere quei lavori marginali come il parcheggiatore abusivo o altri al di fuori delle regole, che pure davano sostentamento alle famiglie. Tutti coloro che vivono di lavoretti sono in difficoltà quando c’è un fermo e le mafie ne approfittano. Si avvicinano a queste persone aprendo un ponte e ottenendone poi la disponibilità a certi inviti. A volte, ad esempio, si è trovata una certa quantità di droga nelle case di persone totalmente estranee a qualunque circuito camorristico, mafioso, ndranghetista, o anche di gente di una certa età. Questa è una delle forme con le quali alcune persone rispondono. Il cosiddetto “piacere” che viene chiesto: mi puoi tenere il pacco? E naturalmente costoro non si rifiutano avendo avuto in passato un sostegno solidaristico. Sono tante le forme di sostegno che le mafie possono dare e tanti poi i ritorni».