Genitori inviperiti e dirigenti scolastici disorientati. È l’effetto di un’ordinanza della Corte di Cassazione dello scorso 23 maggio che sta spingendo alcuni presidi delle medie a impedire l’uscita da scuola degli alunni se non prelevati da un genitore o delegato maggiorenne. Novità che mette in grave disagio le famiglie, poiché in tutt’Italia è da sempre normale il ritorno a casa autonomo dei ragazzi di quell’età in un orario in cui i genitori lavorano. Oggi è intervenuta sull’argomento anche la ministra Valeria Fedeli: «I genitori devono essere consapevoli che questa è la legge», ha detto intervenendo alla trasmissione Tagadà su La 7. Quindi, a breve, addio autonomia dei ragazzi alle soglie dell’adolescenza. E se per i genitori è un problema, mandate i nonni, consiglia la ministra, perché «per loro è un gran piacere andare a prendere i nipotini».
«Ma quali nipotini, stiamo parlando di marcantoni di 13 anni!», commentano i genitori sui social. Nelle chat di Whatsapp e nei capannelli davanti alle scuole si affastellano le consultazioni tra mamme e papà ansiosi di capire se la svolta restrittiva riguarderà anche la scuola dei loro figli, visto che non ci saranno linee guida dall’alto (il Ministero «non ha questa funzione né questa responsabilità», ha detto Fedeli), ma la decisione ultima spetterà ai presidi. Molti dei quali hanno già portato il problema nei Consigli d’Istituto per sondare il parere dei genitori e, in qualche caso, ansiosi di tutelarsi, hanno già provveduto ad attuare il giro di vite pur tra proteste sonore.
«Siamo di fronte a una vera e propria emergenza», dice Cinzia Giacomobono dirigente dell’Istituto Parco degli acquedotti di Roma, la quale ha preannunciato alle famiglie che presto chiederà loro di presentarsi all’uscita di scuola a prendere in consegna i ragazzi, ma nello stesso tempo si è rivolta all’Avvocatura dello Stato e ha sollevato il caso sui mezzi di comunicazione. «Le scuole e le famiglie non possono essere lasciate sole in questo frangente, occorre un rapido intervento legislativo. Questa situazione», avverte però la dirigente, «ha l’aspetto positivo di sollevare l’attenzione sul problema dei tanti ragazzini che per interi pomeriggi sono abbandonati a sé stessi. Da parte mia mi attiverò per progettare un doposcuola, ma devono venire in aiuto anche gli enti locali perché altrimenti i costi ricadrebbero interamente sulle famiglie». Provocatoria invece la scelta della preside Luisa Oprandi, a capo della scuola di Cunardo, nel Varesotto, che ha iniziato ad accompagnare personalmente gli studenti alle fermate dei bus di linea non potendo contare su altre risorse di personale.
Il pronunciamento della suprema corte che ha scatenato il dibattito riguarda in realtà il caso specifico della morte di un ragazzo investito e ucciso da un bus al termine delle lezioni avvenuta nel 2002 in Toscana. Poiché il regolamento d’istituto stabiliva che gli alunni dovessero essere accompagnati fino allo scuolabus, i giudici hanno riconosciuto come legittima l’attribuzione della responsabilità dell’incidente anche alla dirigente scolastica e l’insegnante dell’ultima ora. L’ordinanza, quindi, non ha nessun automatica ricaduta su altri casi ma la sua risonanza mediatica ha contribuito a scoperchiare il vaso di un problema già noto ma di fatto accantonato perché di difficile soluzione.
«La sicurezza a scuola è una materia molto calda e tanti dirigenti in questi giorni chiedono aiuto per capire come comportarsi. Ma una soluzione immediata non c’è», allarga le braccia Paolino Marotta, presidente dell’Associazione nazionale dirigenti scolastici (Andis). «L’orientamento costante della giurisprudenza non lascia grandi spazi di manovra: l’articolo 2048 del Codice civile e soprattutto il 591 del Codice penale attribuiscono al personale della scuola e ai dirigenti la responsabilità di riconsegnare il minore ai genitori o a loro delegato. Né valgono “liberatorie” che autorizzino la scuola a lasciar andare gli studenti da soli. Tuttavia questo nella prassi non avviene e cambiare dall’oggi al domani provocherebbe evidenti disagi alle famiglie. Anche l’ipotesi di chiamare le Forze dell’ordine se i genitori non si presentano fuori da scuola mi pare più che altro una provocazione».
«Vorrebbe dire fermare l’Italia del lavoro nel momento dell’uscita da scuola», conferma Fabio Cannatà, dirigente nazionale dell’Associazione nazionale presidi (Anp). Il problema, fa per altro notare quest’ultimo, riguarderebbe anche alcuni alunni del primo anno delle superiori non ancora quattordicenni. Secondo Cannatà, la situazione deve essere affrontata quasi caso per caso. «Non è una soluzione solo la modifica in senso restrittivo dei regolamenti d’Istituto, perché non si tratta unicamente sgravare i dirigenti da ogni responsabilità. Tuttavia non si può nemmeno andare avanti senza porsi delle domande. In ogni caso occorre tenere presente anche l’istanza educativa». Il dirigente propone che scuola e famiglie analizzino insieme quali fattori di pericolo vi siano all’uscita da scuola ma anche il livello di autonomia dei singoli ragazzi. Solo a quel punto, sostiene Cannatà, si potrà valutare se al termine delle lezioni vi debba essere un «subentro reale o solo potenziale» dei genitori. In pratica non è detto che far tornare a casa da soli i ragazzi sia automaticamente abbandono di minore, «ma solo a patto che scuola e famiglia siano in grado di dimostrare di aver considerato la situazione dei singoli ragazzi e i potenziali pericoli ambientali, arrivando alla conclusione che non si stano esponendo i minori a rischi, salvo quelli non prevedibili». In questo senso, secondo il dirigente di Anp, una soluzione univoca non può arrivare nemmeno da «proposte di legge un po’ fantasiose che stanno circolando in queste settimane».
On line stanno infatti raccogliendo adesioni almeno due petizioni per modifiche legislative. L’una, sottoscritta su www.change.org da 55 mila cittadini, chiede la revisione dell’articolo 591 del Codice penale sull’«abbandono di minore» che escluda dal reato «la normale attività autonoma dei bambini e dei ragazzi come l'andare e tornare a scuola da soli, il giocare nei parchi pubblici o nei cortili senza sorveglianti, lo spostarsi in quartiere o in paese in autonomia».
L’altra petizione, sulla stessa piattaforma on line, chiede invece al Governo di procedere con urgenza all’approvazione del disegno di legge 325/2013 per sollevare il personale da ogni responsabilità penale e civile se il regolamento interno della scuola permette il ritorno a casa non accompagnato dei minori. La petizione, che ha raccolto 15 mila firme in pochi giorni, è stata lanciata da Claudio Donatelli, un papà membro del Consiglio d’istituto della Secondaria di primo grado Diamare di Cassino (Frosinone) dove la dirigente ha stabilito che dal 6 novembre gli alunni dovranno essere affidati a maggiorenni. «Le numerose lacune legislative creano un contrasto tra il diritto all'incolumità del ragazzo, il diritto allo studio ed il diritto al lavoro dei genitori stessi. Qui a Cassino si è mosso anche il Prefetto che ha contattato i dirigenti per capire cosa potrebbe succedere nei prossimi giorni davanti alle scuole», dice Donatelli, secondo il quale «la raccolta delle firme sta andando oltre le aspettative: mi hanno contattato genitori da tutt’Italia a dimostrazione che se le scuole seguiranno la linea più rigida sarà un’emergenza di livello nazionale».