Musica e solidarietà, i due binari su cui corre l’intensa vita di Andrea Bocelli, un uomo generoso, di emozioni e di azioni. Nel 2011 con la moglie Veronica Berti ha dato vita alla Fondazione Andrea Bocelli (ABF) che ha avviato progetti di solidarietà ad Haiti, cui è dedicata la serata del 15 settembre al Colosseo, con tanti ospiti internazionali e la collaborazione di Elton John e Sharon Stone.
Perché tra i tanti luoghi poveri del mondo hai scelto di dedicarti proprio ad Haiti?
«Mentre insieme a mia moglie Veronica stavamo progettando di dar vita ad ABF, un terribile terremoto mise in ginocchio Haiti. Ci è dunque sembrato logico concentrare una parte cospicua delle forze su quella terra. Inoltre, in occasione del primo incontro che ebbi con papa Francesco, abbiamo raccolto la particolare preoccupazione del Santo Padre per la condizione del Paese caraibico e abbiamo recepito con gratitudine il suo prezioso consiglio. Ad Haiti, in questi anni, abbiamo realizzato e supportato ospedali, orfanotrofi, scuole. Ogni giorno forniamo istruzione, cibo, supporto sanitario a oltre 2.500 bambini».
Con il coro dei bambini haitiani ti sei di recente esibito di fronte a papa Francesco. Che cosa vi siete detti?
«Al termine dell’udienza generale, nel corso della quale insieme al coro “Voices of Haiti” abbiamo avuto il privilegio di cantare per papa Francesco e per i suoi dodicimila ospiti, le sue prime parole sono state dirette ai nostri bambini: “Siete belli… E cantate benissimo!”, ha detto, con la sua consueta dolcezza e semplicità. Poi, rivolgendosi a me: “Ero a salutare i fedeli, ho sentito cantare e ti ho subito riconosciuto: ecco Andrea, mi son detto!”. Ricordando con commozione quel primo nostro incontro in Vaticano, e la sua esortazione a proseguire a sostenere quella terra così provata, gli ho risposto: “Ha visto, Santo Padre, che i sogni diventano realtà! Pochi anni fa parlavamo insieme della possibilità di fare qualcosa per Haiti, e oggi ecco che i bambini sono qui”. E lui, sorridendo: “È proprio vero!”».
I cittadini italiani rispondono in modo positivo a queste campagne di solidarietà?
«Credo che, qualunque porzione di mondo abiti, l’essere umano nel profondo del suo cuore sappia riconoscere la bellezza della bontà e sia in grado di rispondere affermativamente a simili sollecitazioni. Quello degli italiani è un popolo cresciuto nella cultura della bellezza (del panorama, dell’arte, dell’inventiva, del cibo, dei sentimenti), e la vera bellezza – intesa come tutto ciò che ispira e che non appartiene al male – è intimamente legata alla bontà».
Il 15 settembre si esibirà anche Renato Zero, protagonista di un suggestivo concerto il 29 luglio scorso al Teatro del Silenzio. Tra di voi c’è una speciale comunione di intenti?
«Renato è un caro amico che conosco da molti anni: sono stato felice che abbia voluto proporre il suo grande progetto di “teatro totale” per i suoi cinquant’anni di carriera, proprio su quel palcoscenico e in quel contesto che per me ha una forte valenza affettiva. Renato è un grande artista, è un uomo di fede, è una persona estremamente sensibile, molto attiva nella solidarietà e protagonista di battaglie sociali importanti».
Tu sei molto legato al tuo paese d’origine. Torni spesso “a casa”?
«Più vado lontano, più sento il bisogno di ritornare, lontano dal clamore, nel paese dove sono nato, nella campagna dove sono cresciuto. Mi lega alla Valdera un sentimento profondo. A Lajatico ho parte della mia famiglia (compresa mamma Edi), è il mio angolo di pace nelle colline della mia infanzia. Questo paese mi ha visto bimbo, magro e irrequieto, poi ragazzo curioso e sognatore, poi artista acerbo e innamorato. È un luogo dove ho ancora tanti affetti, tanti amici d’infanzia, e dove tengo i miei amatissimi cavalli».
Vai ancora a cavallo?
«Il cavallo fin da bambino, è stato... la mia bicicletta, e poi, crescendo, la mia motocicletta... Il cavallo è strumento di libertà, è il compagno ideale per un contatto diretto e genuino con la natura. Ho sempre avuto un rapporto intenso e di grande rispetto per questo animale, ne apprezzo l’intelligenza, l’atletismo, la volitività, ma anche la capacità di esprimere affetto, la complicità che si instaura con il fantino. Appena posso, amo cavalcare lungo le spiagge e le campagne della mia regione».
Per che cosa vorresti dire grazie ai tuoi genitori?
«Sono grato ai miei genitori per avermi cresciuto in una famiglia serena e per avermi insegnato, attraverso l’esempio, quei valori che io stesso ho poi cercato di trasmettere ai miei figli e che, mi auguro, in qualche modo io riesca a comunicare attraverso la mia musica. Tra le tante lezioni di vita che ho potuto ricevere, quella capacità di non arrendersi che ebbero i miei genitori, anche quando, in stato di gravidanza, i medici consigliarono a mia madre di abortire, perché suo figlio sarebbe nato con gravi patologie. Lei ignorò tali incaute raccomandazioni e portò avanti la gravidanza, col sostegno di mio padre. Senza quel gesto di coraggio e di fede, non sarei nato».
Come hai scoperto il tuo amore per il canto?
«È una passione scritta nei miei cromosomi: mamma Edi racconta come, quando ero ancora in culla, non appena sentivo un brano operistico, smettessi di piangere... Da bambino cantavo sempre. A sette anni già riconoscevo le voci celebri dell’epoca, da Beniamino Gigli a Mario Del Monaco a Franco Corelli… Ascoltavo le loro voci attraverso il giradischi, imparavo le grandi arie e poi provavo a imitarne le interpretazioni. Amici e parenti mi chiedevano di esibirmi per loro. Ed è stata forse questa loro insistenza che mi ha portato a pensare: “Forse andrà a finire che cantare sarà il mio mestiere!”.»
A breve uscirà nelle sale il film La musica del silenzio tratto dal tuo libro omonimo, in cui ripercorri la tua vita a partire dall’infanzia. Perché hai scelto di raccontarti usando un altro personaggio?
«Scrissi la prima edizione del libro quando avevo quaranta anni e mi venne spontaneo non parlare in prima persona: uno stratagemma che credo mi permise una maggiore lucidità nella narrazione. Scelsi il nome di “Amos” in omaggio a un uomo straordinario, Amos Martellacci, mio compaesano, che aveva ricevuto dal cielo il dono di apprendere e di comprendere, oltre che di trasmettere, il proprio sapere agli altri. Per molti anni venne a casa mia, seguendomi negli studi universitari (Andrea è laureato in Legge, ndr)».
Quando appari in pubblico sei sempre sorridente. Qual è la fonte della luce che sprigiona dal tuo viso?
«Fondamentalmente, sulla tensione (che pure c’è sempre, perché sono per carattere un emotivo) prevale la gioia di poter condividere la musica che amo, prevale la gratitudine verso coloro che mi accordano il privilegio di seguirmi con benevolenza, e in generale la riconoscenza che sento, verso la vita e verso i miei simili. Inoltre, mi sostiene giorno dopo giorno la fede, dono inestimabile che quotidianamente cerco di custodire e incrementare».