Sopra il Sacrario di Redipuglia (Gorizia) il 4 novembre 2017. Foto Ansa. In copertina: Redipuglia alla vigilia della visita di papa Francesco avvenuta il 13 settembre 2014 (foto Ansa). In alto: l'ingresso delle truppe a Vittorio Veneto.
Quest’anno si ricordano i cent’anni della Prima guerra mondiale. Sono voluto andare a Caporetto, oggi Kobarid, in Slovenia. Lì gli italiani furono sconfitti dagli austroungarici e dai tedeschi nel 1917 in una delle più grandi battaglie in territorio montano della storia dell’umanità. In Italia Caporetto è divenuto, nel linguaggio corrente, sinonimo di sconfitta e disastro. I libri di storia sono pieni di narrazioni di quella disfatta. Al contrario, per la Slovenia non è un fatto così ricordato, anche se c’è un museo ben fatto e obbiettivo. Non se ne parla nemmeno nei Paesi che formavano l’allora Austria-Ungheria. Eppure a Caporetto, nel 1917, morirono ben 50.000 tra austriaci, ungheresi, cechi, slovacchi, bosniaci, con i tedeschi venuti loro in aiuto. Da parte italiana ci furono più di 10.000 morti e 30.000 feriti. Un fiume di profughi (circa un milione) lasciò la regione. Più di 250.000 italiani furono fatti prigionieri. Fu una battaglia terribile, su un terreno impervio e in condizioni climatiche dure.
Le bandiere degli Stati membri dell'Unione europea fuori dal Parlamento di Strasburgo. Foto Reuters.,
Questo è il volto della guerra. Mi torna in mente che mio nonno, ufficiale dell’esercito, fu fatto prigioniero a Caporetto e portato in Germania. Poco più di venticinque anni dopo, mio padre fu preso dai tedeschi in Albania e portato in Germania. Diversa è la storia della mia generazione, la prima che ha goduto della pace in Europa occidentale. Dopo due guerre tra europei che hanno incendiato il mondo, i governanti e i popoli del continente hanno capito come i nazionalismi siano una follia. L’unico futuro di pace e prosperità per gli europei sta nella via dell’unità del continente. Questa è la convinzione maturata nella storia del Novecento. Non bisogna dimenticarla, anche avendo il coraggio di mettere da parte quanto può dividerci tra europei. Mai farsi trascinare dagli odi o dalle passioni, che sembrano a prima vista più autentici e capaci di interpretare gli interessi della gente.
Decine di persone sorreggono una bandiera della pace record, lunga 50 metri e larga 30, a Ghent, in Belgio, il 21 settembre 2012. Foto Reuters.
Così avvenne invece nel maggio 1915, quando l’Italia fu trascinata in guerra dalle agitazioni nazionalistiche e populiste degli interventisti, appoggiati da una parte della classe dirigente e da re Vittorio Emanuele III che, pochi anni dopo, avrebbe accettato la marcia su Roma di Mussolini e più tardi - nel 1938 - firmato le leggi razziste antiebraiche. Per annettere le “terre irredente”, Trento, Trieste e la Dalmazia, morirono più di 1.200.000 italiani, tra militari e civili. Una follia. La guerra ebbe un seguito negativo in Italia e in Europa. L’Italia, malgrado la vittoria, non si risollevò dal trauma bellico e scivolò fuori dal sistema liberale con il fascismo e la sua logica di violenza. La guerra rende i popoli peggiori attraverso esperienze disumane. Ricordare oggi, a cent’anni, il dolore e il sacrificio di tanti nella Prima guerra mondiale, impone la responsabilità di una politica pensata, non gridata, ancorata all’Europa, che soprattutto consideri la pace come un valore supremo.