Il primo ministro libanese Saad Hariri si è clamorosamente dimesso mentre stava in Arabia Saudita e non è più tornato in patria. Si sospetta che sia ostaggio dei sauditi. Le sue dimissioni (è un musulmano sunnita, figlio di Rafik Hariri, politico e magnate libanese, ucciso dai siriani) mostrano l’innalzamento del livello di scontro tra sunniti e sciiti in Libano. Il conflitto tra le due maggiori componenti dell’islam riguarda l’intero Medio Oriente: dallo Yemen, sconvolto dalla guerra, all’Iraq e alla Siria. Il Libano, che ha conosciuto una lunghissima guerra civile tra il 1975 e il 1990 e poi nel 2006, è decisivo per la presenza cristiana nel mondo arabo. Lì vive la grande comunità cattolica maronita, ma hanno anche sede vari patriarcati e istituzioni dei cristiani mediorientali. Soprattutto, c’è libertà d’opinione, a lungo negata nei Paesi arabi. Infatti il Libano fu creato, dopo la Prima guerra mondiale, per realizzare uno Stato dove i cristiani fossero maggioritari, tanto che il presidente della Repubblica è, per accordo non scritto, sempre un cristiano maronita (il primo ministro è invece un musulmano sunnita).
Dal 1932, però, non si fanno censimenti: i cristiani sono stati superati come numero dai musulmani, divenuti – sembra – il 60% della popolazione. Un conflitto in Libano tra sunniti e sciiti metterebbe in crisi questo “baluardo” della presenza cristiana nel mondo arabo, oltre a rappresentare una tragedia per il Paese. Del resto i cristiani stanno abbandonando tutto il Medio Oriente in questi primi due decenni del XXI secolo. In Siria, dentro una terribile guerra che dura dal 2011, la popolazione cristiana si è almeno dimezzata e rappresenta un milione di persone. Ad Aleppo i cristiani sono un terzo di prima dell’assedio. In Iraq la situazione è drammatica: i cristiani erano 1,3 milioni e ora sono meno di 300 mila, in buona parte profughi in Kurdistan. Hanno subìto la violenza di Daesh. Tutti gli appartenenti alle diverse Chiese si chiedono se ci sarà un futuro in quelle terre per loro. Hanno resistito coraggiosamente negli ultimi anni, dopo secoli duri; ma ora sembrano giunti a un punto limite. Ci sono interventi delle organizzazioni della Chiesa in loro aiuto.
Il problema è però drammatico: un mondo di fede e cultura, durato quasi venti secoli nelle terre d’origine del cristianesimo, sta finendo. Non è allora necessario, da parte dei cristiani del mondo, concentrare più attenzione ed energie su questa storia dolorosa? Non riguarda solo i cristiani della regione, ma il cristianesimo universale. Nessuna Chiesa, specie le fragili comunità orientali, può affrontare problemi così grandi da sola. Ci vorrebbero nuovi gesti e nuovi impegni: i primati delle Chiese cristiane potrebbero riunirsi, risvegliare i cristiani del mondo, lanciare un movimento di solidarietà ecumenica.
(Nell'immagine in alto: il cardinale Bechara Rai, patriarca maronita del Libano)