Andrea Vitali, 59 anni, nel suo studio (a sinistra) e sull’imbarcadero di Bellano (Lecco), paese dove è nato e vive (foto: Ugo Zamborlini).
Bellano sta ad Andrea Vitali come la Bassa padana a Giovannino Guareschi. Gli oltre cinquanta romanzi del medico-scrittore sono tutti ambientati lì, nel paese sulla sponda orientale del Lago di Como dove è nato e ha sempre vissuto, e si potrebbero benissimo riunire sotto quel titolo, Mondo Piccolo, che Guareschi attribuì alla sua saga di Peppone e don Camillo.
«Il mondo piccolo è fantastico», conferma Vitali. «Un paese è un teatro naturale perché le cose sono più evidenti. Per me Bellano, oltre che il luogo fisico dove vivo, è diventato il luogo della fantasia». Dal primo grande successo nel 2003, Una finestra vistalago, i lettori sempre più numerosi si sono affezionati alle sue storie corali e ironiche, con le quali ci si diverte e commuove; ai personaggi qualunque (solo in apparenza) che rivelano man mano i loro segreti sotto la lente d’ingrandimento dei pettegolezzi; al succedersi rapido e fantasioso dei racconti, proprio dei narratori puri.
Prendiamo Premiata ditta sorelle Ficcadenti, il libro che Famiglia Cristiana propone la prossima settimana nella serie Romanzi di famiglia. Ambientato nel passato come quasi tutti i lavori di Vitali, racconta l’arrivo a Bellano di due sorelle, Giovenca e Zemia, per aprire una nuova merceria negli anni della Prima guerra mondiale. Il fatto sconvolge le acque del paese e soprattutto la vita di Geremia, ragazzone povero e ingenuo che s’innamora perdutamente della bella e formosa Giovenca. Lo scatenarsi di chiacchiere, sospetti, preoccupazioni crea man mano in paese un’atmosfera da giallo che si rivela fondata, perché il giallo c’è.
Nella mente di Vitali tutto è nato dalle chiacchierate con un amico merciaio sulla storia dei bottoni e da un ricordo d’infanzia: «C’era a Bellano una vecchia merceria, che ora non esiste più, nella quale sono entrato una volta da piccolo. Ero per mano a mia mamma o mia nonna e ho avuto l’impressione di varcare un mondo solo femminile. In queste due suggestioni, da una parte l’oggetto bottone e dall’altra quel “profumo di donna”, per citare un grande romanzo, ho trovato i semi per la storia delle sorelle Ficcadenti, che per il resto è pura invenzione».
Fin da bambino Andrea Vitali è stato un lettore appassionato: «Abitavamo a picco sul lago, se volevi fare il bagno ti buttavi dal terrazzo di casa. Ciò che ricordo meglio di quell’infanzia e dell’adolescenza belle, tranquille, sono le giornate con il lago sotto gli occhi, a nuotare, pescare un po’ di alborelle, leggere. Ricordo la lettura di alcuni classici greci proprio sulle rocce della riva sotto casa: mi sembrava di stare tra Scilla e Cariddi e sentire l’eco dei grandissimi dell’antichità».
Ma l’amore per le storie è nato pure ai pranzi della domenica a casa delle zie, ricchi di pietanze e chiacchiere, e dalla frequentazione in età tenerissima di personaggi come lo zio Domenico, agricoltore, unico abbonato al Corriere della Sera nella frazione dove abitava: «Se lo portava da una stalla all’altra e, se non riusciva a finirlo, lo lasciava infilato tra i sassi, per il giorno dopo».
Primogenito di sei fratelli, a 17 anni Andrea dovette scoprire anche il potere salvifico della letteratura: «In giugno nostra madre morì e la terapia vera in quell’estate, che passai chiuso in casa, fu Il Signore degli anelli. In quella fase difficile della vita mia e dei miei fratelli, il libro mi prendeva talmente che dimenticavo la malinconia». La signora Edvige era stata impiegata in Municipio, dove aveva conosciuto il collega Antonio Vitali; si erano innamorati e sposati. «Ma dopo il matrimonio, e soprattutto con questa fila di figli a carico, era diventata casalinga. Non aveva bisogno di andare a trovare lavoro fuori, aveva in casa un asilo infantile», ricorda lo scrittore.
Da figlio maggiore che conserva i ricordi più precisi, Andrea Vitali descrive la madre come «un carattere molto esuberante, molto più aperto alla comunicazione rispetto a mio padre, che invece era quasi il contrario. Lui era una bravissima persona, lavoratore indefesso e uomo dedito alla famiglia. Però, ad esempio, se tornavo da Milano dopo un esame a Medicina e andavo in Comune a comunicargli: “L’esame è andato bene”, lui faceva: “Bravo. E il prossimo?”».
Da ragazzo lo scrittore sognava il giornalismo e una volta lo spiegò al padre; il signor Antonio rispose soltanto: «No». Quando invece buttò lì, pur non avendo idee chiarissime: «Forse mi piacerebbe fare medicina», il giorno dopo era già iscritto alla facoltà. «Mio padre spinse quella mezza decisione in modo sostanziale e devo dire che ha avuto ragione, perché è uno studio che mi ha fatto maturare», riconosce lo scrittore oggi, dopo trent’anni come medico di base a Bellano. Una professione che ha lasciato tre anni fa, per scrivere ma anche perché «non mi piaceva più tanto che il lavoro fosse diventato burocratico. Adesso faccio volontariato in una comunità psichiatrica in Val Seriana ed è un’attività che mi appaga, mi tiene nel campo medico ma senza cartacce». Si sa che Vitali scrive i suoi romanzi a matita e conserva i mozziconi, si sa che nello studio di medico aveva un taccuino, per annotare spunti interessanti che emergevano dagli incontri con i pazienti. Li ha usati soltanto come spunti, perché nessuno dei suoi personaggi riproduce persone e vicende reali in modo riconoscibile. L’ambientazione in un passato remoto serve anche a questo, oltre che a conferire fascino ai racconti.
Per la legge del contrappasso, suo figlio Domenico, 18 anni, non ama leggere e non ha mai aperto un libro del padre. «Quando i compagni di liceo gli parlano di me, non ne vuole sapere», sorride Andrea Vitali. «Ma fa bene. Sono giovani, è meglio che buttino l’occhio sul futuro, al di fuori di quello che vedono nel presente. Il padre scrittore lo scoprirà post mortem, allora dirà: “Avevo il papà che scriveva libri. Proviamo a leggerne uno”». Invece la moglie Manuela «è la mia prima lettrice e la mia prima critica. Io la guardo mentre legge, e se fa un po’ di facce capisco che è il caso di lavorare di nuovo sulla pagina. Perché in genere ha ragione». Andrea e Manuela si conobbero per motivi di lavoro all’ospedale di Bellano (dove, se no?), dopo che lei vi era arrivata come tecnico di laboratorio. Figlia di genitori sardi, cresciuta in provincia di Bergamo, Manuela si definisce «bellanese, lacustre. Non potrei vivere senza il lago». A casa Vitali, il lago è proprio una malattia.