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domenica 06 ottobre 2024
 
 

Andreatta: con la fiction raccontiamo l'Italia vera

22/03/2014  Ecco l'intervista in cui la presidente di Rai Fiction rivelò a Famiglia Cristiana la volontà di realizzare trasmissioni più ricche di contenuti e attente alle problematiche sociali e anticiò alcuni titoli della stagione successiva.

Racconta un aneddoto bellissimo sul padre, ma subito si pente di averlo fatto: «La prego, non lo scriva. Parlare di lui per me è sempre molto difficile». Lui è Beniamino Andreatta, il grande statista democristiano scomparso nel 2007. Lei è sua figlia Eleonora che dallo scorso settembre è a capo di Rai Fiction, una delle direzioni più strategiche di Viale Mazzini, quasi 200 milioni di euro da gestire. Tutti la chiamano Tinny, il soprannome che le diede il padre dopo aver visto in India con la moglie in viaggio di nozze una commedia in cui la protagonista, una principessa, si chiamava così. «Papà era un uomo molto romantico». Fine delle concessioni sulla sua vita privata.

In compenso, per la prima volta accetta di parlare a tutto campo del suo lavoro. E così ci anticipa le novità più interessanti che vedremo sulla Rai.


Cos’è per lei la fiction?
«Prima di tutto il racconto di ciò che il nostro Paese sta vivendo nella sua complessità. Un racconto, quindi, che eviti gli stereotipi e che sia rivolto al più ampio pubblico possibile».

Le fiction, non solo quelle della Rai, sono spesso oggetto di critiche: oltre al ricorso a facili stereotipi, si rimprovera loro di essere linguisticamente troppo semplici, con l’abuso della voce narrante, una rigida divisione tra “buoni” e “cattivi” e con una regia e delle interpretazioni non di rado approssimative. Come risponde?
«Il raffronto viene fatto quasi sempre con serie che vanno in onda su canali a pagamento, come l’americana Mad Men o, per restare in Italia, Romanzo criminale, trasmessa da Sky. Sono prodotti pensati per un pubblico molto ristretto, mentre le nostre fiction spesso raggiungono il 25-27 per cento dei telespettatori. Però i rilievi sono veri: c’è un gran lavoro da fare che in parte è già iniziato per conciliare la qualità del prodotto all’ampiezza del pubblico a cui noi ci rivolgiamo. Per intenderci, fiction come Tutti pazzi per amore, o La narcotici, vanno in questa direzione. Oppure, la nuova serie di Che Dio ci aiuti: siamo passati dal classico genere giallo-rosa a una struttura che privilegia tematiche sociali. E anche la protagonista, suor Angela, è cambiata. Capita che a volte si tolga il velo e le si vedano i capelli: una scena simbolica per sottolinearne l’umanità e anche le sue fragilità di donna. Gli americani sanno bene che il pubblico si affeziona a un personaggio se si mostrano i suoi difetti. Noi invece, spesso, creiamo dei “santini”. Un altro aspetto che mi interessa molto è ibridare più generi in uno stesso racconto, come abbiamo fatto in Una grande famiglia, dove convivevano la commedia, il dramma, il giallo, più vari spunti legati all’attualità».

"L'assalto" con Diego Abatantuono.
"L'assalto" con Diego Abatantuono.

E per quanto riguarda i prodotti nuovi?
«Abbiamo acquistato il format di una serie spagnola, che da noi si chiamerà Braccialetti rossi. È la storia di un gruppo di bambini e ragazzi, di età compresa tra i 10 e i 17 anni, all’interno di un ospedale pediatrico. Il racconto segue unicamente il loro punto di vista. Grazie alla solidarietà che li unisce, riescono a “evadere” dalla malattia, vivendo i sogni, le speranze, gli amori tipici della loro età. Negli Stati Uniti, questa serie è stata acquistata da Steven Spielberg».

Nessun rischio di superficialità o di sterili patetismi come purtroppo capita in molte serie che parlano di giovani?
«Assolutamente no e ne approfitto per citare un altro titolo che vedremo, Il bambino cattivo: un film Tv, scritto tra gli altri da Pupi Avati, che ha per protagonista un bambino che è allo stesso tempo conteso e rifiutato dai genitori separati. Per difendersi dal dolore, costruisce un mondo tutto suo in cui dialoga con amici tratti dalla Tv o dalle sue letture. Abbiamo fatto leggere la sceneggiatura al Garante per l’infanzia e la reazione è stata di grande apprezzamento, tanto che sarà trasmesso il prossimo 20 novembre, in occasione della Giornata mondiale dell’infanzia».

Lo stesso discorso vale anche per le figure femminili? Siamo davvero destinati a vedere soltanto “bellone” che spesso non sanno recitare?
«La Rai ha già valorizzato attrici bravissime che non corrispondono a questi canoni di bellezza che hanno poca aderenza con la realtà: penso a Lunetta Savino, a Veronica Pivetti, a Luciana Littizzetto. Proprio la voglia di raccontare delle donne “normali”, ci ha spinto a realizzare una striscia quotidiana scritta e diretta da Ivan Cotroneo, coprodotta con il Corriere della Sera, che andrà in onda su Rai 2 in autunno, Una mamma imperfetta: è la storia di una donna e di un gruppo di sue amiche che si barcamenano fra lavoro, famiglia e il tempo da dedicare a sé stesse. La protagonista è Lucia Mascino, un’attrice con tanto teatro alle spalle. Abbiamo infine un progetto di una fiction sulla storia di un sindaco donna nella Locride».

Altri progetti che riguardano la lotta alla criminalità?
«L’assalto, con Diego Abatantuono su un imprenditore al Nord costretto per sopravvivere a scendere a patti con la ’ndrangheta; L’oro di Scampia con Beppe Fiorello, che racconterà la storia di Gianni Maddaloni che, insegnando le arti marziali, ha salvato molti giovani dalla camorra e ha portato suo figlio Pino a diventare campione olimpico a Sydney; Per amore del mio popolo, non tacerò, una miniserie su don Peppino Diana, il sacerdote ucciso dalla camorra nel ’94. E, infine, una miniserie su Giorgio Ambrosoli, che avrà come protagonista Pierfrancesco Favino e sarà girata nei luoghi veri dove operò, dalla Banca d’Italia al Tribunale di Milano. Ci tengo a dirlo perché è un altro punto centrale della mia gestione. Basta delocalizzazioni: le storie italiane si girano in Italia, così si guadagna in realismo e si creano nuove opportunità di lavoro».

Quindi non avremo più storie in costume?
«Ci saranno, ma con un taglio moderno, sul modello di Downton Abbey. E poi daremo spazio a figure del nostro passato con forti legami con l’oggi. Come il maestro Alberto Manzi, interpretato da Claudio Santamaria, che con il suo programma Non è mai troppo tardi insegnò a leggere e a scrivere a tantissimi italiani analfabeti nel dopoguerra. Pochi sanno che prima lavorò come educatore in un carcere minorile. E poi San Francesco, che sarà portato sullo schermo per la terza volta da Liliana Cavani. Una scelta maturata ben prima che arrivasse il nuovo Pontefice. A proposito, vedremo anche Era santo, era uomo, fiction che racconterà l’amicizia fra Giovanni Paolo II e il suo maestro di sci Lino Zani».

Scusi l’insistenza, ma per concludere, può dirci cosa guardava in Tv con suo padre?

«Con mia sorella e i miei due fratelli ci riunivamo tutti insieme per vedere film western. Papà li adorava».

 
 
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