Racconta un aneddoto bellissimo sul
padre, ma subito si pente di averlo
fatto: «La prego, non lo scriva. Parlare
di lui per me è sempre molto difficile». Lui è Beniamino Andreatta, il grande
statista democristiano scomparso nel 2007.
Lei è sua figlia Eleonora che dallo scorso settembre
è a capo di Rai Fiction, una delle direzioni
più strategiche di Viale Mazzini, quasi
200 milioni di euro da gestire. Tutti la chiamano
Tinny, il soprannome che le diede il
padre dopo aver visto in India con la moglie
in viaggio di nozze una commedia in cui la
protagonista, una principessa, si chiamava
così. «Papà era un uomo molto romantico».
Fine delle concessioni sulla sua vita privata.
In compenso, per la prima volta accetta di
parlare a tutto campo del suo lavoro. E così ci
anticipa le novità più interessanti che vedremo
sulla Rai.
Cos’è per lei la fiction?
«Prima di tutto il racconto di ciò che il nostro
Paese sta vivendo nella sua complessità.
Un racconto, quindi, che eviti gli stereotipi
e che sia rivolto al più ampio pubblico
possibile».
Le fiction, non solo quelle della Rai, sono
spesso oggetto di critiche: oltre al ricorso a
facili stereotipi, si rimprovera loro di essere
linguisticamente troppo semplici, con l’abuso
della voce narrante, una rigida divisione
tra “buoni” e “cattivi” e con una regia e delle
interpretazioni non di rado approssimative.
Come risponde?
«Il raffronto viene fatto quasi sempre con
serie che vanno in onda su canali a pagamento,
come l’americana Mad Men o, per restare
in Italia, Romanzo criminale, trasmessa da
Sky. Sono prodotti pensati per un pubblico
molto ristretto, mentre le nostre fiction spesso
raggiungono il 25-27 per cento dei telespettatori.
Però i rilievi sono veri: c’è un gran lavoro
da fare che in parte è già iniziato per conciliare la qualità del prodotto all’ampiezza del
pubblico a cui noi ci rivolgiamo. Per intenderci,
fiction come Tutti pazzi per amore, o La narcotici,
vanno in questa direzione. Oppure, la
nuova serie di Che Dio ci aiuti: siamo passati
dal classico genere giallo-rosa a una struttura
che privilegia tematiche sociali. E anche la
protagonista, suor Angela, è cambiata. Capita
che a volte si tolga il velo e le si vedano i capelli:
una scena simbolica per sottolinearne
l’umanità e anche le sue fragilità di donna.
Gli americani sanno bene che il pubblico si affeziona
a un personaggio se si mostrano i suoi difetti. Noi invece, spesso, creiamo dei
“santini”. Un altro aspetto che mi interessa
molto è ibridare più generi in uno stesso racconto,
come abbiamo fatto in Una grande famiglia,
dove convivevano la commedia, il
dramma, il giallo, più vari spunti legati
all’attualità».
"L'assalto" con Diego Abatantuono.
E per quanto riguarda i prodotti nuovi?
«Abbiamo acquistato il format di una serie
spagnola, che da noi si chiamerà Braccialetti
rossi. È la storia di un gruppo di bambini e ragazzi,
di età compresa tra i 10 e i 17 anni,
all’interno di un ospedale pediatrico. Il racconto
segue unicamente il loro punto di vista.
Grazie alla solidarietà che li unisce, riescono
a “evadere” dalla malattia, vivendo i
sogni, le speranze, gli amori tipici della loro
età. Negli Stati Uniti, questa serie è stata acquistata
da Steven Spielberg».
Nessun rischio di superficialità o di sterili
patetismi come purtroppo capita in molte
serie che parlano di giovani?
«Assolutamente no e ne approfitto per citare
un altro titolo che vedremo, Il bambino
cattivo: un film Tv, scritto tra gli altri da Pupi
Avati, che ha per protagonista un bambino
che è allo stesso tempo conteso e rifiutato
dai genitori separati. Per difendersi dal dolore,
costruisce un mondo tutto suo in cui dialoga
con amici tratti dalla Tv o dalle sue letture.
Abbiamo fatto leggere la sceneggiatura al
Garante per l’infanzia e la reazione è stata di
grande apprezzamento, tanto che sarà trasmesso
il prossimo 20 novembre, in occasione
della Giornata mondiale dell’infanzia».
Lo stesso discorso vale anche per le figure
femminili? Siamo davvero destinati a vedere
soltanto “bellone” che spesso non sanno
recitare?
«La Rai ha già valorizzato attrici bravissime
che non corrispondono a questi canoni
di bellezza che hanno poca aderenza con la
realtà: penso a Lunetta Savino, a Veronica Pivetti,
a Luciana Littizzetto. Proprio la voglia
di raccontare delle donne “normali”, ci ha
spinto a realizzare una striscia quotidiana
scritta e diretta da Ivan Cotroneo, coprodotta
con il Corriere della Sera, che andrà in onda
su Rai 2 in autunno, Una mamma imperfetta:
è la storia di una donna e di un gruppo di sue amiche che si barcamenano fra lavoro, famiglia
e il tempo da dedicare a sé stesse. La
protagonista è Lucia Mascino, un’attrice con
tanto teatro alle spalle. Abbiamo infine un
progetto di una fiction sulla storia di un sindaco
donna nella Locride».
Altri progetti che riguardano la lotta alla
criminalità?
«L’assalto, con Diego Abatantuono su un
imprenditore al Nord costretto per sopravvivere
a scendere a patti con la ’ndrangheta;
L’oro di Scampia con Beppe Fiorello, che racconterà
la storia di Gianni Maddaloni che, insegnando
le arti marziali, ha salvato molti giovani
dalla camorra e ha portato suo figlio Pino
a diventare campione olimpico a Sydney;
Per amore del mio popolo, non tacerò, una miniserie
su don Peppino Diana, il sacerdote ucciso
dalla camorra nel ’94. E, infine, una miniserie
su Giorgio Ambrosoli, che avrà come protagonista
Pierfrancesco Favino e sarà girata
nei luoghi veri dove operò, dalla Banca d’Italia
al Tribunale di Milano. Ci tengo a dirlo perché
è un altro punto centrale della mia gestione.
Basta delocalizzazioni: le storie italiane si
girano in Italia, così si guadagna in realismo e
si creano nuove opportunità di lavoro».
Quindi non avremo più storie in costume?
«Ci saranno, ma con un taglio moderno,
sul modello di Downton Abbey. E poi daremo
spazio a figure del nostro passato con forti legami
con l’oggi. Come il maestro Alberto
Manzi, interpretato da Claudio Santamaria,
che con il suo programma Non è mai troppo
tardi insegnò a leggere e a scrivere a tantissimi
italiani analfabeti nel dopoguerra. Pochi
sanno che prima lavorò come educatore in
un carcere minorile. E poi San Francesco, che
sarà portato sullo schermo per la terza volta
da Liliana Cavani. Una scelta maturata ben
prima che arrivasse il nuovo Pontefice. A proposito,
vedremo anche Era santo, era uomo,
fiction che racconterà l’amicizia fra Giovanni
Paolo II e il suo maestro di sci Lino Zani».
Scusi l’insistenza, ma per concludere, può
dirci cosa guardava in Tv con suo padre?
«Con mia sorella e i miei due fratelli ci
riunivamo tutti insieme per vedere film
western. Papà li adorava».