Lo ha rivelato in un'intervista al NY Times, Angelina Jolie, 37 anni, la star più bella e più impegnata di Hollywood ha subito una doppia mastectomia per scongiurare il rischio di cancro al
seno. "La mia scelta medica" è il titolo del pezzo in cui l'attrice spiega di essere "portatrice" di un gene "difettoso" (il BRCA1) che le daval'87 per cento di probabilità di avere il cancro al seno e il 50 per cento quello alle ovaie.
La Jolie ha raccontatto di averlo fatto per i figli colpiti dalla morte, a 57 anni, della nonna e preoccupati che la stessa cosa potesse
accadere alla mamma. Si è trattato di una lungo processo, tenuto
segreto ai media: cominciato lo scorso febbraio e finito il
27 aprile caratterizzato da un intervento chirurgico di ben otto ore. La decisione di una doppia mastectomia non è stata
facile per la Jolie ma è una scelta di cui si è dichiarata molto contenta poiché il
rischio di cancro al seno è sceso notevolmente.
Angelina ha deciso di raccontare la sua storia perchè sa che la rivelazione avrà un forte impatto e farà notizia, ma è proprio questa la sua intenzione: «Molte donne non sanno che vivono sotto l'ombra del cancro. La mia speranza è che si sottopongano al test e che, se scoprono di essere ad alto rischio, possano prendere decisioni forti».
Orsola Vetri
Un’operazione per ridurre il rischio di ammalarsi. Si chiama tecnicamente mastectomia risk reducing la tecnica chirurgica a cui si è sottoposta Angelina Jolie.
«Non si tratta – spiega Roberto Agresti – direttore della chirurgia senologica dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano – di una pratica diffusa, perché sono poche le pazienti per le quali si ritiene necessario ricorrere all’operazione. Stiamo parlando del 7, 8% di coloro che si ammalano di questo tumore, dunque una sottopopolazione esigua».
La mancanza del Brca 1, come nel caso della Jolie, espone al rischio di ammalarsi: è infatti questo gene un “riparatore” dei danni cellulari, come nel caso della crescita delle cellule tumorali.
«Fondamentale, dunque, sottoporsi al test genetico come primo passaggio – continua l’esperto – Poi, una volta deciso di percorrere la strada della chirurgia di riduzione di rischio, vanno valutati tutti gli aspetti con l’equipe medica, dallo psicologo, al senologo. Occorre prendere in considerazione, come nel caso della star di Hollywood, anche la storia familiare (la Jolie ha raccontato nell’intervista al NY Times la vicenda della madre, morta a 56 anni e dei dieci anni di lotta con la malattia, ndr)».
L’alternativa all’intervento di asportazione chirurgica della ghiandola mammaria è rappresentata dai controlli ravvicinati: «che non riducono il rischio – precisa Agresti – ma consentono attraverso la risonanza magnetica di individuare il tumore velocemente e di asportarlo per tempo, così da guarire».
Nello stesso tempo il medico avverte che questa operazione «non si può fare a cuor leggero in qualsiasi ospedale, ma va portata avanti in tutti i suoi passaggi nei centri specializzati in chirurgia mammaria che esistono nel nostro Paese».
Il rischio, infatti, non si azzera, scende di una considerevole percentuale (Jolie ha parlato di un calo dall’87% al 5%) «e dunque l’operazione va fatta bene, lasciando la giusta porzione di ghiandola mammaria». Per evitare che possa diventare paradossalmente un intervento inutile.
Francesca Lozito
«Una operazione preventiva? Io ho scelto di non farla». Ad affermarlo senza mezzi termini è Annamaria Mancuso, presidente di Salute donna (www.salutedonnaweb.it). L’associazione, che fa informazione e prevenzione, conta 5000 iscritte in tutta Italia, è impegnata sul fronte della prevenzione, dell’informazione e della corretta conoscenza per evitare inutili allarmismi e situazioni di stress, in un passaggio già così difficile come la malattia tumorale.
Mancuso è testimone vivente di questa scelta: 53 anni, 20 anni fa si è ammalata di tumore ben due volte, a 32 anni e a 38 anni. «Dopo il secondo tumore – racconta – mi sono sottoposta al test genetico e sono risultata positiva ai due geni che "roteggono" dalla proliferazione dei tumori il Brca 1 (quello a cui è risultata positiva la Jolie, ndr) e il Brca 2. Sono dunque anche io altamente a rischio, ma non ho fatto la sua stessa scelta. Ho percorso un’altra strada: quella di fare l’operazione di asportazione dell’utero e dell’ovaio – anche qui rischiavo di sviluppare dei tumori – Ogni anno, invece, mi sottopongo a una risonanza magnetica per tenere sotto controllo il seno».
Quali le ragioni di non procedere alla mastectomia? La presidente dell’associazione di volontariato spiega che: «dopo aver consultato autorevoli specialisti ho compreso che avrei potuto ammalarmi lo stesso. Così ho deciso di non operarmi».
Annamaria Mancuso si dice serena della sua scelta: «Vivo ogni giorno – ci tiene ad affermare - quello che il buon Dio mi dà».
Francesca Lozito
In Usa i casi di mastectomia preventiva sono in aumento: secondo uno studio pubblicato nel 2007 sul Journal of Clinical Oncology, dal 1998 al 2003 è più che raddoppiato il numero di pazienti che, avendo sviluppato un tumore a una mammella, hanno chiesto la rimozione chirurgica dell'altra ancora sana per evitare futuri problemi.
Su 150 mila donne analizzate nello studio, nel 1998 ha richiesto l'asportazione di entrambe le mammelle l'1,8% delle pazienti, ma erano già il 4,5% nel 2003. L'asportazione di un solo seno, invece, è passata dal 4,2% del 1998 all'11% del 2003.
Secondo la genetista Laura Papi, del Dipartimento Scienze biomediche sperimentali e cliniche dell'Università di Firenze, la mastectomia bilaterale preventiva «è uno degli interventi d'elezione e di fatto un rischio calcolato», anche se sottolinea che nonostante l'asportazione dei seni il rischio di un tumore non si azzera: «Possono sempre rimanere alcune cellule, e il rischio residuo varia dal 10 al 5% a seconda del tipo di intervento».
In genere si tratta di operazioni giustificate dai rischi
che si manifesti un cancro. In particolare secondo Papi,
«una persona che ha mutazioni nel gene Brca1 (come nel caso
di Angelina Jolie) ha una probabilità di sviluppare il
tumore alla mammella che può raggiungere l'80%, e per
l'ovaio fino al 40%».
Interventi che la genetista assicura
«vengono fatti di routine anche in Italia», precisando però
che si preferisce l'asportazione delle ovaie, forse perchè
la mastectomia bilaterale «è un intervento meno accettato
soprattutto dal punto di vista estetico».
di Orsola Vetri
«Non possiamo trattare il nostro corpo come un insieme di parti meccaniche. Questa è un’ottica riduttiva che fa credere che l’organo che si ammala è isolato, mentre invece è in rete con tutto il sistema».
Pier Mario Biava, medico del lavoro e ricercatore presso l’IRCCS Multimedica di Milano, da anni studia i processi di differenziazione e riprogrammazione cellulari con risultati rilevanti: grazie alle sue ricerche, sono state messe a punto nuove terapie funzionanti contro il cancro nell’uomo utilizzando proteine ricavate da embrioni animali. Nell’ottica di una medicina integrata: la salute dell’uomo coincide con quella dell’intero ecosistema, nell’appartenere alla rete unica e complessa dell’Universo. Una nuova concezione della scienza medica che ha appena riassunto nel Manifesto del nuovo paradigma in medicina: l'integrazione tra mente e corpo, un documento presentato i primi di maggio a Stresa nel corso di un congresso internazionale rivolto a medici e ricercatori centrato sulla relazione tra mente, corpo e spirito dell’uomo analizzato nella sua complessità. «La vita non si organizza sui principi di linearità, causalità e meccanicismo - spiega - ma su una complessità basata sull’informazione e coerenza. Il contesto ha molta importanza: le reazioni che avvengono nell’organismo non sono espressione di semplici eventi meccanici ma di un’interazione con l’ambiente. Nel caso della mastectomia preventiva a cui si è sottoposta l’attrice Angelina Jolie, affermo che è vero che i geni coinvolti aumentano la suscettibilità a sviluppare il tumore che aumenta con il passare degli anni, ma è anche vero che questo non significa necessariamente che il cancro si presenti e che, soprattutto, esistono dei fattori ambientali che hanno un’importanza cruciale nella genesi dell’evento. La probabilità di sviluppare il tumore è, infatti, fortemente condizionata da tali fattori rappresentati da una dieta corretta ricca di frutta, verdura e fibre, povera di grassi animali e carni rosse e il movimento, mentre il fumo e lo stress, invece, sono elementi di maggior rischio. La sorveglianza di un tumore, e quindi anche la prevenzione, passa anche da tutto questo».
Il Manifesto del nuovo paradigma in medicina, redatto insieme al filosofo della scienza Ervin Laszlo, che nella sua carica di presidente del Club Internazionale di Budapest continua da anni ad operare a favore dello sviluppo di una nuova coscienza globale che colleghi l'universo fisico al mondo vivente, il mondo vivente a quello sociale e il mondo sociale alla cultura, sottolinea come si debba passare ad un nuovo modo di trattare la malattia che non è altro che un “disequilibrio informativo”.
«Per vincerla - spiega Biava - è necessario un approccio terapeutico al paziente che tenga conto dell’intera rete informativa e dell’inscindibilità tra mente e corpo. La malattia è un evento contemporaneamente individuale e collettivo, individuale quando si limita allo squilibrio della rete che costituisce il soggetto, e collettivo quando si estende alla rete collettiva. Dato che tutti gli esseri viventi sono in relazione dinamica, la malattia individuale rispecchia solo l’ottica riduttiva con la quale la si considera, mentre più corretto sarebbe affermare che ogni malattia è collettiva. Se un organo si ammala, in poche parole, si ammala l’intero corpo, ecco perché in questa visione non è più sufficiente la sola medicina preventiva».
di Alessandra Turchetti
Personaggi famosi. Uomini e donne, coraggiosi, fanno outing, e raccontano la loro malattia. Per dare coraggio a chi nell'anonimato sta affrontando il loro stesso calvario. Per dire che si può. Si mostrano alle telecamere cambiati nell'aspetto: qualche chilo in meno, un capello un po' più corto.
Cosa hanno in comune la cantante pugliese Emma, la rocker americana Sheryl Crow e l'attrice Rosannna Banfi? Sono tutte e tre guarite da un cancro al seno.
L'outing della Banfi è stato fatto in realtà dal padre, Lino, mentre Rosanna era ammalata. Subito si è scatenata una ondata di solidarietà nei confronti della donna, che è diventata inconsapevolmente testimone della resistenza di tante donne che combattono il tumore al seno. La Crow nel 2006 si ammala per la prima volta, la seconda nel 2012, quando il cancro la colpisce al cervello: “è benigno, non ho nulla da temere” afferma sui tabloid la scorsa estate.
Emma Marrone nel 2011 accusa stanchezza. Va dal medico e le
diagnosticano un cancro: due mesi di vita. Affronta la malattia e
guarisce.
Ma ci sono anche uomini estremamente coraggiosi, come l'allenatore Emiliano Mondonico,
che dopo la guarigione nel 2011 torna in serie A in tutti i sensi.
Allenava l'Albinoleffe nella stagione in cui controlli esami e
operazioni si incrociavano con il suo mestiere e le due cose scandivano
reciprocamente i ritimi di vita. Al punto che gli annunci, dalla
difficoltà della cura alla guarigione Mondonico li ha sempre fatti
durante le conferenze stampa delle partite. La stagione successiva va in
serie A col Novara.
Anche Remo Girone, attore, proprio al culmine del successo ne
“La Piovra” con il suo personaggio di Tano si ammala di un tumore alla
vescica. Non viene sostituito, ma il suo ruolo diventa meno di primo
piano proprio per consentirgli di curarsi e stare sul set.
Una volta
guarito anche lui racconterà di aver avuto molta paura, ma di essersi
sentito meno solo per la vicinanza di colleghi e persone care.
Francesca Lozito