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sabato 12 ottobre 2024
 
 

Aniello Arena, l'ergastolano salvato dal teatro

29/11/2013  Dopo un'infanzia terribile e la condanna per omicidio, è stato rinchiuso in carcere. A Volterra, ha conosciuto il regista Armando Punzo e la Compagnia della Fortezza. Recitando, è diventato un altro uomo. Ora è in scena a Milano in "Mercuzio non deve morire".

Incontro Aniello Arena davanti al Tieffe Teatro Menotti di Milano (www.tieffeteatro.it), in cui reciterà Mercuzio non vuole morire il 30 novembre e il primo dicembre, ispirato a Romeo e Giulietta, mentre osserva con curiosità i palazzi della via Ciro Menotti «che strano - dice - sono alcuni moderni e altri antichi», poi nel bar chiede con gentilezza al cameriere «non so se si può avere un bicchiere di coca cola», frasi per molti quotidiane, ma per lui segnano l’eccezionalità di una giornata a Milano.

Difficile oggi vedere in lui il camorrista pluriomicida che, a 23 anni, l’8 gennaio 1991 ha partecipato alla strage di piazza Crocelle nel quartiere Barra di Napoli, condannato all’ergastolo. Oggi è attore di punta della Compagnia della Fortezza, nata 25 anni fa, grazie all’intuizione di Armando Punzo, nella Casa di Reclusione di Volterra, in cui Arena sconta la sua pena, e star del cinema per Reality di Matteo Garrone vincendo il Nastro d’Argento, il 6 luglio 2013, come miglior attore protagonista, oltre al Gran Prix di Cannes nel 2012.

Hanno cambiato Arena la magia del teatro e l’intervento di una persona straordinaria, come il regista e attore Armando Punzo, che ogni giorno entra nella Fortezza di Volterra, carcere di massima sicurezza, non per un progetto solo rieducativo dagli intenti sociali ma per insegnare ai detenuti l’amore per l’arte e per il teatro, per liberare la loro mente dai vincoli della prigione e farla spaziare in mondi affascinanti, come racconta nel bellissimo libro scritto per documentare 25 anni di lavoro: È ai vinti che va il suo amore. Primi venticinque anni di auto reclusione con la compagnia della Fortezza di Volterra (Clichy).

Nella Fortezza di Volterra si sono allestiti oltre trenta spettacoli, alcuni dei quali hanno ricevuto i maggiori riconoscimenti in campo culturale e teatrale, tra cui cinque premi Ubu. Si è costituita una vera e propria compagnia, unica in Europa, in cui i detenuti lavorano con continuità e non solo occasionalmente per un laboratorio come accade in altri carceri. Aniello spiega quale tipo di teatro, diverso da tutti gli altri, si fa a Volterra: «Non avevo mai avuto esperienze teatrali, prima di arrivare nella Fortezza il 26 novembre 1999, negli altri istituti ne avevo sentito parlare, ma non immaginavo la portata rivoluzionaria del metodo di Punzo, pensavo al teatro tradizionale che si fa solitamente. Incoraggiato dal fatto che Armando è napoletano come me, per curiosità sono andato alle prove e, invece delle solite sceneggiate napoletane, che mi aspettavo e che andavo a vedere da bambino con mia mamma, ho scoperto un mondo nuovo che mi ha fatto pensare “dove sono stata fino ad ora?”. Punzo lavora sulla fisicità, sull’improvvisazione, stravolge i copioni, li reinventa, li mischia non in modo casuale, ma secondo un progetto che lui ha già in mente per farci costruire un nuovo personaggio. Io ero molto timido e temevo quello che pensavano gli altri detenuti di me mentre recitavo, poi mi sono sbloccato, nel 2002 con L’opera da tre soldi di Bertold Brecht, avevo un monologo tutto mio, ho fatto il ballo della rumba, ero anche vestito da donna, cosa per me assolutamente impensabile. Non è stato facile però: quando era il momento di andare in scena davanti agli spettatori, che a luglio vengono nel cortile del carcere ad assistere ai nostri spettacoli, mi vergognavo, allora facendo finta di recitare solo per Armando, che era di fianco a me, ho superato l’imbarazzo! Se fosse stato per me io non avrei mai fatto un provino, ma ascoltando gli insegnamenti di Armando ho capito che è il teatro a sceglierti, infatti Armando non ti obbliga, ti spiega la parte e poi la recitazione ti viene naturale come se il regista ti accompagnasse per mano, tirando fuori il meglio di te. Alcune volte puoi anche inserire tue improvvisazioni, se hanno attinenza, per esempio in I pescecani di Brecht ho mischiato la mia parte con le parole del cantante Marilyn Manson, oppure in P.P. Pasolini ovvero Elogio al disimpegno ho creato un professore napoletano che spiega la ricetta del ragù».

Mentre Aniello - che ha pubblicato anche un libro per Rizzoli L'aria è ottima (quando riesce a passare), Io attore fine-pena-mai, scritto con Maria Cristina Olati - racconta le sue esperienze con entusiasmo e gioia sembra che la sua vita ora sia solo quella teatrale, infatti sottolinea che il teatro gli ha aperto la mente, lo ha trasformato in un altro, perciò dice che i giovani devono studiare, avere una passione che li porti avanti nella vita e quando gli chiedo della sua infanzia e giovinezza a Napoli dice : «Sono orgoglioso di essere napoletano, ma la mia città natale non mi appartiene più, sono cambiato io dentro, non parlo della mia infanzia a Napoli, ho sotterrato il ragazzo che ero, il bambino con la testa calda, non per giustificarmi, ma alcune città ti condizionano, nascendo in una zona in cui la camorra era potente è stato difficile uscirne e solo l’esperienza del carcere e del teatro mi hanno salvato, prima di diventare un attore sono diventato una persona nuova. Oggi anche i miei familiari mi vedono diverso, mia mamma e mia sorella, i miei figli sono orgogliosi di me, anche se mi conoscono poco, il maschio ha 22 anni e la femmina 25, per me è un rapporto non vissuto, sono sempre in contatto con loro, ma li ho visti crescere solo tramite i colloqui quando la mia ex moglie me li portava per le due ore concesse una volta al mese, così non puoi stabilire un rapporto personale, io non so cosa vuol dire accompagnare mio figlio a scuola, a una recita, non so cosa vuol dire vivere una gioia o un dolore insieme a loro».

Altra grande soddisfazione per Aniello è stato l’incontro con il regista cinematografico Matteo Garrone che, figlio del critico teatrale Nico, spesso entrava con il padre nella Fortezza per vedere gli spettacoli di Punzo. Nel 2005 mentre la compagnia provava Appunti per un film, Matteo ha ripreso Arena con la telecamera ed è rimasto colpito dalla sua bravura, e l’avrebbe voluto nel suo Gomorra tratto dal romanzo di Saviano, ma poiché il detenuto non poteva ancora uscire non vi ha partecipato. Ma Garrone nel 2011 è tornato alla carica e ha chiamato Arena per il pluripremiato Reality, in cui è un pescivendolo che sogna di partecipare al Grande Fratello, e da quel momento gli si è aperta un’altra vita ancora: «Avvalendomi dell’articolo 21 dell’Ordinamento penitenziario, che consente di lavorare fuori dal carcere, sono stato assunto per tre mesi dalla casa di produzione del film, la Fandango e abbiamo girato a Napoli e a Roma; rispetto agli altri attori stavo sul set e poi, come accade anche nelle tournèe, vado a dormire in carcere a Secondigliano, a Rebibbia, o a Opera come ora che sono a Milano».

Quindi Arena ha potuto conoscere molti detenuti, che lo considerano un eroe, e vedere la condizione delle carceri di molte città italiane: «Ritengo Volterra il carcere migliore perché si basa su una mentalità diversa: ti sostengono, cercano di aiutarti, pensano a farti stare bene attraverso varie attività, nello spazio che noi chiamiamo “il passeggio” si recita appunto, si gioca a calcio, ecc. In altre carceri in cui c’è tensione tra le guardie carcerarie e il detenuto si sta male tutti, è giusto che chi ha sbagliato paghi, ma si deve essere trattati con dignità. Nelle carceri in cui alloggio quando sono in tournée, i detenuti mi riconoscono, sono diventato una speranza per tutti, pensano che se io ce l’ho fatta a dimenticare il passato lo possono fare anche loro, per noi la speranza è importane, io se non avessi incontrato Armando e il teatro non avrei avuto questo cambiamento, ho sotterrato la mia vita di prima, e oggi non mi manca la libertà, alla sera in cella si ritira solo il corpo, la mia mente, grazie al teatro, ai personaggi che interpreto, è libera».

Arena mentre sconta la sua pena ha ancora un sogno da realizzare: «Non sono praticante, ma sono religioso, fin da bambino, avevo questa forza esterna che mi guidava, ogni luogo per me è adatto per pregare, ascolto molto le parole di papa Francesco, perché, come Wojtyła, parla in modo semplice al popolo, che siamo noi, non ti tratta come se fosse il papa ma come se fosse una persona normale. Per noi detenuti della Fortezza è un sogno poter recitare davanti a lui, per fargli capire quello che facciamo ogni giorno, noi ce la mettiamo tutta, ma non abbiamo una sala prove, stiamo in una saletta e il nostro desiderio è quello di realizzare un “Teatro Stabile in Carcere”, sarebbe il primo al mondo, siamo in cinquanta attori, altri lavorano alle scene e ai costumi e hanno scoperto abilità che non pensavano neppure di avere, se avessimo un teatro vero potremmo lavorare meglio! Papa Francesco noi ti aspettiamo!».

 
 
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