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giovedì 20 marzo 2025
 
ANNIVERSARI
 

Il cardinale Zuppi: «L'intuizione di Sant'Egidio? Vedere giardini dove c'è deserto»

10/02/2023  La Comunità ha festeggiato i 55 anni di vita con una concelebrazione a San Giovanni in Laterano, presieduta dall'arcivescovo di Bologna e presidente della Cei. «Nella Comunità non si distingue chi serve e chi è servito, felicità per l’uno e per l’altro», ha detto il cardinale Matteo Zuppi: «È un noi aperto e preciso allo stesso tempo, accogliente e mai anonimo». I corridoi umanitari, la risposta evangelica alla logica dei muri

«Continuiamo tutti a accendere luci di speranza e a mostrare un mondo migliore, quando intorno c’è il buio della violenza, della guerra, ma anche quello della solitudine e dell’insignificanza. Scegliamo tutti di essere operatori di pace, di conservare un cuore umano di agnello anche quando il mondo diventa lupo, crede solo nelle armi e non sa più trovare umanità». È l’invito lanciato, con palpabile trasporto, dal cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei e arcivescovo di Bologna, nell’omelia alla Celebrazione liturgica nell’affollatissima Basilica Lateranense di San Giovanni per i 55 anni della Comunità Sant’Egidio, oggi presente in 70 nazioni, nata per l'iniziativa dell’allora liceale, Andrea Riccardi («ha visto il giardino anche quando c’era solo il deserto», ha detto il cardinale nel ringraziarlo), il 7 febbraio 1968. Un gruppo di "piccoli" non solo perché formato da studenti, ma perché animati dalla volontà di essere anzitutto "figli" del Vangelo, ossia parte di quei "piccoli" scelti quali destinatari della rivelazione del mistero di Dio. E l’intuizione originaria, nella sua semplicità e genuinità, resta ancora oggi il cuore della Comunità: vivere il Vangelo, senza orpelli.

Il presidente della Cei ha assistito da vicino e partecipato direttamente al costante e crescente impegno della Sant’Egidio a sostegno dei dimenticati e dei sofferenti di ogni dove. Lo ha sottolineato il presidente Marco Impagliazzo nel suo saluto alla fine della Messa, ricordando come un trentennio fa, il 4 ottobre 1992, proprio a Roma, dopo più di due anni di trattative, 17 di guerra civile, centinaia di migliaia di morti, 3-4 milioni di sfollati interni e profughi nei paesi confinanti, «venne firmata per opera della nostra Comunità la pace per il Mozambico. Tra i mediatori di quella pace c’era, insieme ad Andrea Riccardi, don Matteo Zuppi, oggi cardinale, che ha presieduto questa celebrazione e che ringrazio per le sue parole così profonde».

Numerosi cardinali (da Gualtiero Bassetti, suo predecessore alla presidenza della Cei, al decano Giovanni Battista Re, da Walter Kasper, a Kevin Farrell, da Louis Antonio Tagle al vicario Angelo De Donatis) e Vescovi (tra i quali Vincenzo Paglia e Fisichella)  di diverse aree del mondo hanno concelebrato con lui. Tra i banchi, molti membri del corpo diplomatico, il ministro degli esteri Antonio Tajani e quello degli interni Matteo Piantedosi, Laura Mattarella, figlia del Presidente della Repubbica, alla quale Impagliazzo ha chiesto di portare «un deferente saluto» al padre,  «che sentiamo tanto vicino e di cui conosciamo la partecipazione con cui segue la nostra opera», i rappresentanti delle varie confessioni religiose che, nel corso degli anni, hanno costruito con la Sant’Egidio un’intesa e una cooperazione sfociata in tante iniziative concrete per far fronte alle emergenze più drammatiche.

Non a caso, Zuppi ha voluto ricordare il motto abbracciato del teologo e pastore protestante Valdo Vinay, «un caro amico della Comunità, che condivise negli anni della sua vecchiaia il cammino dei nostri inizi, fece sua l’espressione di un giovane: “Qui l’amicizia non finisce mai”. Lo diceva anche per sé e credo che possiamo dirlo ognuno di noi. Non è finita, anzi, si è rafforzata, affrontando da sempre tante pandemie di povertà e sofferenza».

 

«La Comunità», ha aggiunto il presidente della Cei, «si è sempre fatta vicina alle ferite che segnano le persone, i poveri. Iniziò alle baracche del Cinodromo, il primo servizio della Comunità, non smettendo di cercare i tanti e spesso enormi Cinodromo delle città degli uomini, ovunque. Quante sofferenze, quante lacrime! Il grido di pace di interi popoli ha trovato in questa Arca di Noè ascolto, protezione, compagnia, casa, luce, calore. Non ha mai smesso di cercare una soluzione, ben diversa da compiaciute e facili dichiarazioni e commozioni digitali e da spettacolo. Gli occhi brillano di luce perché asciugo le lacrime di chi soffre, diceva Madre Teresa. La comunità brilla di amore, perché ha pianto con chi è nel pianto, ma ha anche sentito la consolazione dei tanti sorrisi restituiti, anticipo della beatitudine di Gesù che non finirà».

E proprio questa consapevolezza, ha spiegato il cardinale, può e deve trasformare arrendevolezze, scoraggiamenti e facili “realismi” in tenacia, «in sforzi intelligenti e pazienti» per gettare «semi di un mondo diverso, per iniziare già oggi nel dove siamo il cessate il fuoco, disarmando le mani e le menti e riempiendole di sentimenti e legami di amore. La guerra spegne anche i sogni e gli slanci. Le comunità di sant’Egidio li riaccende, li difende, germoglio di pace che continua a fiorire, anticipo della pace che può fare fiorire la vita. Sant’Egidio tutto è un popolo di operai di pace, perché avvicina i cuori, combatte le barriere, abbatte i muri, costruisce luoghi dove Fratelli tutti non è solo una visione grande ma la realtà di comportamenti e parole».

«A volte», ha detto ancora Zuppi, «sperimentiamo, con amarezza quando i ritardi sono colpa degli uomini, la nostra fragilità e limite, ma senza rinunciare a cercare le risposte. È successo così con i corridoi umanitari, che hanno aperto il muro impenetrabile del “non c’è niente da fare”, “si può solo aspettare”. Migliaia di persone che lo aspettavano hanno avuto futuro. Poche? Chi salva un uomo - un uomo - salva il mondo intero, perché ogni persona è un mondo, unico e insostituibile. La voce persuasiva del falso realismo ripete continuamente di lasciare perdere, di pensare che non vale la pena, rende vane energie e sciupa tanti mezzi e possibilità».

 

Commovente vedere, tutti uniti in un unico canto, intonare i bellissimi brani composti ed eseguiti dal Coro della Sant’Egidio (che ha anche musicato Sotto il tuo presidio, la più antica orazione mariana) persone di ogni età e condizione sociale assieme agli amici della Comunità. Fra loro, molti, negli ultimi mesi, hanno vissuto crescenti sofferenze, prima per la pandemia poi per le conseguenze, anche economiche, legate alla guerra in Ucraina. Anziani, senzatetto, poveri, disabili, immigrati oggi integrati in Italia, rifugiati venuti con i corridoi umanitari. Ma anche i profughi ucraini. Gente che ha trasformato la propria sofferenza in forza e testimonianza, in grado di sostenere altri sofferenti e farsi lievito di speranza. Proprio questa, ha concluso Zuppi, è «la bellezza di questa celebrazione, che raduna non solo i così numerosi presenti ma anche le tante comunità sparse nel mondo, dai piccoli e sperduti villaggi nel Nord del Mozambico o del Congo, segnati dalla violenza, alle tante comunità in Ucraina e in Russia che nella tempesta della guerra non hanno smesso di aiutare i più deboli, di rassicurare e sfamare gli anziani soli, chi vive per strada o i bambini delle scuole della pace. Aveva ragione San Giovanni Paolo II, parlando alla comunità: non vi siete posti altri limiti se non la carità. E la carità è infaticabile non perché non prova stanchezza, ma la vince per l’amore stesso. Siete un popolo di poveri e di umili, di vecchi e giovani, di fratelli più piccoli e fratelli che si fanno piccoli e così diventano tutti grandi. Siete operai che possono sempre, ed è una grazia, lavorare per il Signore e quindi per il prossimo. È la Parola di Dio che continua a chiamare e a mandare che ha custodito la Comunità».

L’aspro conflitto che continua a consumarsi in Ucraina, ma anche il recentissimo dramma del sisma che ha devastato la Siria e la Turchia sono affiorati poi nelle parole di Impagliazzo: «L’apertura universale ci ha messo in contatto con tante situazioni di dolore e di povertà: oggi sono lieto di salutare tra noi alcuni dei nostri fratelli e sorelle che ci hanno raggiunto dall’Ucraina, e li ringrazio per la loro resistenza e l’impagabile lavoro umanitario che stanno svolgendo in tante città ucraine da ormai un anno. Dopo un anno di guerra ancora più forte si fa la domanda di pace!  Su orizzonti aperti, negli anni, abbiamo incontrato quel grande continente che è l’Africa con le sue ricchezze, le sue speranze e i suoi dolori. L’Africa è nel cuore della Comunità e la sua storia è diventata la nostra. Siamo convinti che una visione euro-africana dovrebbe sempre più affermarsi tra i due continenti per avere un futuro migliore per tutti». Al governo italiano il presidente della Sant’Egidio ha ribadito «la volontà di continuare a collaborare a importanti programmi umanitari, sociali, educativi e di cooperazione internazionale», ma anche nell’impegno «per garantire una vita degna per tanti anziani soli o che vivono in solitudine nel nostro Paese» e nel «programma dei corridoi umanitari per i profughi realizzati insieme alla Federazione delle Chiese evangeliche e alla Caritas italiana, con i ministeri degli Esteri e dell’Interno: una buona pratica italiana, che speriamo presto europea. Siamo vicini a tanti amici siriani, qui presenti, che soffrono per le notizie che giungono da loro Paese. E esprimiamo a loro e ai turchi la nostra piena solidarietà».

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