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Credere

Essere padre, l'avventura più grande

25/03/2021  A Casa San Girolamo di Narzole, nel Cuneese, Tobia Trovato si spende come papà ed educatore. E pensare che un tempo la famiglia gli stava decisamente stretta...

Il paragone con san Giuseppe lo mette in imbarazzo e non potrebbe essere altrimenti. Tobia, papà del piccolo Alessandro e genitore affidatario del quindicenne Brayan, è un uomo semplice nonostante nei suoi soli 27 anni abbia accumulato una serie di esperienze e responsabilità, insieme a una grande capacità di adattamento e a un forte desiderio di “esserci” pur stando “nell’ombra”, proprio come il papà di Gesù. «La paternità lo ha sciolto, rendendolo più tenero e dolce. È un grande lavoratore, si spende tanto in tutto», sorride la moglie Francesca, 28 anni. Dallo scorso settembre Tobia Trovato è coordinatore di Casa San Girolamo a Narzole, nel Cuneese. Promossa dalla Fondazione Padri Somaschi, la Casa accoglie minori – ragazzi fra gli 11 e i 17 anni − in condizione di fragilità o soggetti a provvedimento penale.

UN LUNGO CAMMINO

Qui Tobia e Francesca sono approdati dopo un lungo cammino. «Entrambi abbiamo avuto un’adolescenza intensa, fatta di ricerca», ricorda Tobia. «Dai 6 anni ai 18 ho vissuto con i miei genitori nella casa-famiglia della Comunità Papà Giovanni XXIII che abbiamo aperto nel 1999. Con mio fratello e con le mie due sorelle, sono cresciuto in mezzo a tante altre persone e non sempre è stato facile. Mio papà era referente dei progetti contro la tratta e io al liceo classico dei padri Somaschi di Genova Nervi mi sentivo diverso dai compagni». Tobia fatica a cogliere il senso della scelta dei genitori. «Papà aveva un bar. Incontrato don Oreste Benzi, lo vendette e destinò il ricavato alla Giovanni XXIII. I miei compagni di scuola venivano dalla “Genova bene”: che papà e mamma non avessero un conto corrente, una casa di proprietà o che andassimo in giro con automobili scassate mi creava disagio. La loro scelta di sobrietà mi stava stretta, quindi facevo il “piacione” e sfondavo i limiti». Cercando qualcosa a cui aggrapparsi in cerca di senso, Tobia lo trova nel divertimento e nella trasgressione, pur mantenendo sempre una buona facciata o meglio, una doppiezza sostenibile. Il meccanismo a un certo punto però si inceppa. È il marzo 2012, ha 16 anni e a rompersi è anche il dialogo con i genitori. «Volevo trovare un motivo per vivere. Non mi bastavano più le feste e le serate che al posto di riempire mi facevano sentire solo. Mi chiedevo “perché vivo?”», racconta oggi Tobia. Luca, responsabile della pastorale giovanile della Comunità Papa Giovanni XXIII, è l’incontro che gli cambia la vita. Grazie a lui Tobia fa esperienze che lo toccano nel profondo, come i tre giorni a Medjugorje accompagnando un gruppo di persone con disabilità. In quell’occasione Tobia reincontra Dio e si avvicina a Francesca. «Ho trovato pace, serenità. Sentivo di poter essere me stesso, nudo davanti a Dio. Da quel momento anche con Franci non ci siamo più lasciati».

UN AMORE NUOVO

  

Così, mentre i genitori si spostano in Portogallo per aprire una comunità a Fatima, Tobia a 18 anni si trasferisce in Piemonte, regione in cui vive anche Francesca. Frequenta Scienze dell’educazione a Cuneo e continua la vita comunitaria, sempre in una casa della Giovanni XXIII. «Se prima ero in overdose di ragazze, con Francesca scoprivo un amore tutto diverso. Pregavamo insieme. Come in uno stato di grazia, volevamo sposarci anche se eravamo giovani. Con la Giovanni XXIII abbiamo quindi vissuto un cammino che per me è stato come “terapeutico”, in un convento vicino a Narzole: andavamo a incontrare le ragazze costrette alla prostituzione e i senza fissa dimora, e intanto cresceva la relazione con Dio», racconta ancora Tobia.

IL DISCERNIMENTO

Tobia e Francesca vivono poi altre esperienze a Chieti, Verona e Assisi, dove frequentano il Servizio orientamento giovani dei Francescani che li aiuta nel discernimento vocazionale. La strada si fa sempre più chiara. E così arrivano il matrimonio nel settembre del 2018, la nascita di Alessandro a luglio e, nel settembre successivo, l’ingresso in famiglia di Brayan. «Desideravamo unire famiglia e lavoro, ma non in una dimensione “casa-famiglia”», interviene Francesca, che conosceva già bene la Fondazione dei Padri Somaschi per aver lavorato in una delle sue comunità.

NON È IL “MULINO BIANCO”

  

Così, quando le viene chiesto di pensare a Casa San Girolamo, Francesca non si tira indietro. «Tobia oggi è il responsabile, ma per noi questo è un progetto di coppia. Viviamo in un appartamento nostro, però un weekend sì e uno no lo passiamo in comunità cercando di portare cura, bellezza, presenza. Non facciamo cose particolari se non stare insieme ed esserci come famiglia». Oggi Casa San Girolamo ospita sei adolescenti ma l’idea è di allargare la struttura alla dimensione del villaggio, anche con spazi per i padri somaschi anziani e altre realtà sociali. A sei mesi dall’avvio della comunità, Tobia e Francesca sono fiduciosi. «Certamente ogni tanto ci chiediamo chi ce l’abbia fatto fare, soprattutto quando fatichiamo a mettere dei paletti alle richieste che arrivano dalla comunità. Non siamo la famiglia “Mulino bianco”, dove tutto sembra facile, spontaneo e perfetto, ma con i nostri limiti vorremmo far vedere agli ospiti che una famiglia diversa è possibile. I ragazzi qui arrivano con ferite esistenziali importanti, vorremmo potessero cogliere la bellezza della famiglia. E che, facendo esperienza di relazioni e modelli diversi di stare insieme, potessero un giorno immaginarsi una famiglia propria», dice ancora Francesca.

FRA FATICHE E SODDISFAZIONI

In mezzo alla normale fatica di un lavoro impegnativo, le soddisfazioni arrivano in maniera imprevista. Spiega Tobia: «I dialoghi più personali, un abbraccio, qualcuno che ricomincia a frequentare la scuola o un altro che smette di farsi le canne, sono soddisfazioni precarie ma preziose. Non ci aspettiamo che restituiscano ciò che ricevono, l’importante è che i ragazzi possano tornare a credere in loro stessi e nei loro talenti».

UNA VIA PER CIASCUNO

  

Una bella sfida, per questo giovane papà e sua moglie. «Ora come genitori ed educatori cerchiamo la nostra strada, ma non dimentico alcune figure maschili incontrate sul mio cammino, come il mio professore di religione del liceo o mio padre: da loro ho imparato il valore del non giudicare e l’importanza della mitezza. Stare in ascolto, essere presenza stabile: vorrei essere un riferimento capace di stare nell’ombra».

Foto di Paolo Siccardi/WALKABOUT

Chi è

Età 27 anni

Professione Educatore

Famiglia Papà e genitore affidatario

Fede Riscoperta dopo l’adolescenza

Una comunità con stile familiare

  

Casa San Girolamo è una comunità educativa che accoglie ragazzi fra gli 11 e i 17 anni. Il centro offre ai minori una vita di gruppo che ha uno stile familiare, figure adulte stabili e interventi finalizzati alla maturazione psicologica, relazionale e sociale, in vista del reinserimento in famiglia o di una vita autonoma. Il modello educativo della comunità si ispira a uno dei principi fondamentali che san Girolamo Emiliani ha praticato in prima persona: “stare con” i giovani, condividendo tutto a partire dalla quotidianità, valorizzando la persona con la sua storia, senza giudicare, e accompagnandola nel suo percorso di autonomia. Casa San Girolamo è promossa da Fondazione Somaschi Onlus.

Fondazione Somaschi per chi vive la fragilità

La Fondazione Somaschi Onlus, che vede impegnati in prima linea Tobia e Francesca, dal 2012 porta avanti le opere sociali dei padri Somaschi nella provincia lombardo-veneta, ligure-piemontese e sarda (www.fondazionesomaschi.it). Da oltre 500 anni, e sull’esempio di san Girolamo Emiliani, i padri Somaschi offrono accoglienza e aiuto alle persone più vulnerabili. Oggi la onlus si prende cura di chi vive ai margini della società e lo fa con diverse modalità di intervento, per strada e in case di accoglienza.

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