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sabato 14 settembre 2024
 
Antonio Catania
 

Fare l’attore è un po’ come fare il sacerdote: entrambi curano l’anima

07/02/2017  Antonio Catania interpreta Don Pino, il sacerdote che dirige il Centro Don Guanella di Roma dove è ambientato “Ho amici in Paradiso” il film sulla disabilità sul grande schermo dal 2 febbraio

“La leggerezza non è un difetto ma è un valore” sostiene Italo Calvino, che proprio all’opposizione leggerezza-peso dedicò la prima delle sue celebri “Lezioni americane”. Di certo, il sorriso è sempre l’alleato migliore nel capovolgere un punto di vista critico, come ha detto Papa Bergoglio in chiusura del Giubileo della Misericordia, ricordando che l’umorismo ci avvicina a Dio. E se al buonumore si aggiungono un pizzico di sentimento e ironia allora si riesce in qualsiasi impresa, persino a raccontare argomenti importanti come la disabilità e l’inclusione sociale con originalità e senza troppi pietismi, come accade nel film “Ho amici in Paradiso” di Fabrizio Maria Cortese. In questa storia i veri protagonisti sono gli ospiti del Centro “Don Guanella” di Roma, perfettamente a loro agio accanto a un cast artistico di notevole spessore tra cui Valentina Cervi, Fabrizio Ferracane e Antonio Folletto. Nei panni di un sacerdote un po’ sopra le righe troviamo Antonio Catania, l’attore siciliano che abbiamo apprezzato in molti film di Gabriele Salvatores, ora sul grande schermo anche ne “L’ora legale” di Ficarra e Picone.

Inizierei parlando di Don Pino, il personaggio da lei interpretato nel film. Che tipo di sacerdote è? 

«Don Pino è un sacerdote che ha la responsabilità di un centro di riabilitazione per persone con disabilità intellettiva, ma è anche un uomo che con il suo entusiasmo riesce a coinvolgere i ragazzi in attività artistiche alternative come il teatro, convinto che possano giovargli. E’ un tipo forte, combattivo, che ogni tanto si lascia prendere la mano e usa qualche espressione un po’ più  “vivace”». 

Addirittura?

«Eh si, durante le scene mi è scappata qualche parolina un po’ colorita e qualcuno dei ragazzi mi ha anche ripreso!» 

A chi si è ispirato per preparare il suo personaggio?

«A Don Pino Venerito, il vero direttore del Centro Don Guanella, un sacerdote dotato di una grande pazienza e di un grande affetto, in grado di trasmettere un notevole calore umano ai suoi ragazzi». 

Sente di avere degli aspetti in comune con il Don Pino del film? 

«Un prete e un attore agiscono sull’anima e sulla psiche delle persone, nella misura in cui inviano un messaggio d’amore che cura e  arriva nell’intimo. In questo senso sono professioni che si avvicinano molto l’una all’altra». 

Trova che in entrambe ci sia una certa sacralità, quindi.

«Assolutamente si. Nel sacerdozio la sacralità è manifesta. C’è la messa, ci sono dei rituali. Anche il teatro però ha la sua ritualità, le sue rappresentazioni, in questo trovo si somiglino molto. Anche la professione di medico ha qualcosa in comune con la recitazione e il sacerdozio. Un bravo medico si prende cura del corpo. Curare chi sta male è una missione sacra, perché il corpo è sacro.  Ce lo abbiamo solo in prestito e dobbiamo trattarlo bene».

Tra teatro, cinema e televisione c’è un luogo dove si sente veramente a casa?

«A teatro mi sento un po’ come a casa perché sono sul palcoscenico, insieme ad altri attori a rappresentare qualcosa che rivive tutte le sere. E’ una comunione tra te, gli altri attori e il pubblico. Il teatro è la madre di tutto». 

Tornando a “Ho amici in Paradiso”, lei è un attore noto al grande pubblico soprattutto per i ruoli comici. Dopo questa esperienza cinematografica crede sia possibile raccontare in chiave più leggera e ironica anche un tema così serio come quello dell’handicap?

«Assolutamente. La commedia non è altro che uno sguardo sdrammatizzante sulla realtà. Tra l’altro si tratta di uno sguardo vero, neanche troppo fasullo. Chiaramente mi riferisco alla  commedia buona, quella fatta bene. Anche quando si affrontano temi che possono apparire tragici, c’è sempre un risvolto che ti fa sorridere.  Questo è il messaggio che Don Pino vuole comunicare, ovvero cercare di essere leggeri anche nei momenti drammatici.. Sdrammatizzare una situazione difficile è anche un messaggio pastorale. E’ difficile ma bisogna farlo. La commedia contribuisce a questo scopo, offrendo uno sguardo più leggero rispetto a dei temi che possono essere angoscianti e cupi. E credo che la cupezza dovrebbe essere un po’ allontanata dalle nostre vite».

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