Antonio Conte il giorno della sua prima Comunione, a Lecce. L'intervista al Ct della Nazionale è stata pubbblicata in esclusiva dal settimanale Credere sul numero 48 del 30 novembre 2014.
«Si parla tanto di rilanciare il movimento e poi non si fa nulla. È ora che si cominci a lavorare per davvero, non sono venuto qui a perdere tempo». Antonio Conte, commissario tecnico della Nazionale, non vuole sprecare tempo né talenti. L’ha detto dopo l’amichevole Italia-Albania e il giro di boa dei 100 giorni alla guida della Nazionale, ma il dare il massimo, sempre e comunque, è il suo stile di vita, in campo e fuori, come allenatore e come uomo. Abbiamo incontrato il mister a Roma, nella sede della Federazione italiana gioco calcio che dal 19 agosto, quando è diventato Ct e coordinatore delle squadre giovanili, è la sua seconda casa. Lasciando da parte temi su cui l’ex allenatore della Juventus si è già espresso più volte (su tutti, l’ingaggio di 4,1 milioni di euro a stagione: «Rientra nei parametri, alle polemiche rispondo con fatti», e l’accusa di omessa denuncia nel processo Calcioscommesse, vicenda chiusa nel 2012 con il patteggiamento, rispetto alla quale si è sempre detto «innocente»), abbiamo affrontato temi su cui Conte non si era mai espresso, a partire dalla fede.
Mister, lei si dichiara cattolico. Cosa significa per lei essere credente?
«La fede aiuta a distinguere il bene e il male, a scegliere la via giusta nei momenti di difficoltà. Sono cresciuto a Lecce, l’oratorio Sant’Antonio a Fulgenzio è stato un punto di riferimento, un rifugio dalle tentazioni della strada. Fin da bambino i miei genitori mi hanno trasmesso un’educazione cattolica, ora sto facendo la stessa cosa con mia figlia Vittoria».
A proposito dei genitori, cosa le hanno detto quando ha annunciato loro l’avventura in Nazionale?
«Erano orgogliosi, perchè da Ct rappresenti un’intera nazione: il loro
appoggio mi ha convinto ad accettare l’incarico. E pensare che da
ragazzo mio papà non voleva nemmeno mandarmi a giocare al Lecce! Per i
miei genitori il calcio era nulla in confronto allo studio, ho dovuto
promettere che avrei continuato a studiare. Così mi sono anche laureato.
Ai miei genitori devo molto: non mi hanno mai seguito in maniera
assillante, conto sulle dita le volte che sono venuti a vedermi giocare
dalle giovanili alla prima squadra, ma l’avermi lasciato libero mi ha
fatto crescere nell’autonomia».
Da Sacchi a Van Basten, diversi allenatori sono stati messi a dura
prova dall’ansia. Lei come trova grinta e serenità prima delle partite?
«Ascolto tutta la mia famiglia: papà, mamma, fratelli, moglie e
figlia. Poi mi isolo e dedico alcuni minuti alla preghiera. Comunque
capisco chi cede allo stress: l’allenatore sente tutta la pressione
addosso, considerate che deve gestire calciatori, staff tecnico,
tifosi... Dopo aver accumulato successo e soldi a volte viene da
chiedersi perché si accettino responsabilità simili... Poi però, se la
squadra ti segue, il campo ripaga di tutte le notti insonni».
Le è più facile ringraziare Dio per quel che ha o invocarlo nel bisogno?
«Non invoco mai il Signore, lo ringrazio sempre, ogni sera, prima di
andare a dormire. Prego la Madonna e tutti i santi, anche prima dei
pasti faccio il segno della croce per ringraziare di quel che ho. Mi
auguro di fare qualcosa che giustifichi tutto il bene che ho ricevuto».
Sente di avere tanto, rinuncia mai a qualcosa?
«In Quaresima faccio fioretti, piccole privazioni di dolci, caffè e del
bicchiere di vino. Può sembrare una stupidaggine ma rinunciarvi non è
facile».
Maradona ha regalato al Papa la sua maglia, lei cosa regalerebbe al Pontefice?
«A dire la verità il regalo me lo ha già fatto lui! Poco prima del
matrimonio sono andato con la mia famiglia in udienza e Francesco ci ha
regalato una pergamena di benedizione. Mi ha colpito, io ero andato da
“peccatore”, con una figlia... Il Papa ci ha accolto in maniera
semplice, mancavano delle sedie e si è alzato lui per prenderle. Sta
trasmettendo valori molto importanti, come la semplicità».
Dovesse allenare la “squadra della Chiesa”, dove farebbe giocare Francesco?
«Davanti alla difesa, dove sta il cuore della squadra. È il ruolo di chi si deve sacrificare per la squadra».
Se non fosse stato un uomo di calcio, chi sarebbe diventato Antonio Conte?
«Un professore di educazione fisica. Vengo da una famiglia di
sportivi e mi piace educare. Ricordo ancora il mio professore, che mi ha
indirizzato a fare sport».
Ci racconti di quando faceva il
chierichetto.
«Quando servivamo Messa e il parroco doveva decidere chi
avrebbe portato la candela grossa, ricordo che volevo essere scelto.
Quando accadeva ero felice, mi cambiava la giornata! Mi piaceva fare il
saluto al prete e orchestrare i movimenti degli altri chierichetti».
Quali sono i valori su cui, con sua moglie, state costruendo la vostra famiglia?
«Dico la semplicità, vogliamo vivere una vita semplice, con la
gente. Mia figlia frequenta una scuola statale, abbiamo amici che vanno
dall’imprenditore al fruttivendolo. Vittoria deve capire cosa è la vita,
deve sapersi rapportare con tutti senza distinzione di ceto sociale.
Non dimentico che vengo da una famiglia umile, ma con tanti valori».
Come si riportano le famiglie allo stadio?
«Puntando sull’educazione. Spesso i facinorosi hanno avuto infanzie
difficili, senza educazione... Mio papà dice sempre “aggiusta
l’alberello fino a quando è tenerello”. Noi genitori abbiamo un ruolo
molto importante nella crescita dei figli. Quando vedo genitori che
guardano le partite dei ragazzini e intanto sbraitano e insultano mi
chiedo cosa possano imparare i bambini».
Famiglie in ritiro sì o no?
«Meglio di no, la famiglia è importante ma la squadra quando è in ritiro
deve concentrarsi e cogliere l’importanza della partita».
Come vive la domenica la famiglia Conte?
«Andiamo a Messa insieme, a mezzogiorno o alle 18: mia moglie, che pure
ha fatto la catechista, si è avvicinata molto alla fede grazie a me. Se
sono in ritiro con la squadra cerco di vivere la Messa anche con i
giocatori: la fede è praticata e vissuta da molti».
Cosa apprezza in un sacerdote?
«La capacità di toccare temi quotidiani durante la predica, altrimenti poi seguire quel che dice diventa difficile».
Qual è l’episodio della Bibbia che le piace di più?
«Il racconto del figliol prodigo. Mi piace perché insegna a perdonare».
Lei è capace di perdonare?
«Sì, il perdono fa parte del compito dell’allenatore, altrimenti su 25
calciatori ne salveresti 10. Prima di perdonare però penso che si debba
far capire gli errori: ci deve essere redenzione da parte di chi ha
sbagliato».
Natale è alle porte, come festeggerà?
«Per me Natale vuol dire stare in famiglia. Mi piace andare a Messa a
mezzanotte. Verranno i miei da Lecce o li raggiungeremo noi, di sicuro
staremo assieme».