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venerdì 13 settembre 2024
 
L'ANALISI
 

«L'Onu? Ha 78 anni, non riesce a portare pace, dunque va cambiata, ma guai se non ci fosse»

26/10/2023  Parla Antonio Maria Costa, ultimo italiano a diventare vice Segretario generale delle Nazioni Unite, che il 24 ottobre hanno festeggiato "il compleanno" (quel giorno, nel 1945, entrò in vigore la Carta fondamentale). «Dopo la guerra, cinque Stati - Usa, Urss, Cina, Gran Bretagna e Francia - si sono impossessati, attraverso il diritto di veto, dell’istituzione. Oggi il meccanismo non regge più. Ma sul campo le varie agenzie dell'Onu hanno combattuto e combattono con vigore fame, malattie, analfabetismo, aiutando concretamente rifugiati e profughi e soccorrendo le vittime delle calamità naturali»

Antonio Maria Costa, 82 anni, ex vice Segretario generale delle Nazioni Unite. Foto Ansa. In alto e in copertina: il Palazzo di Vetro, il quartier generale dell'Onu a New York (Usa). Foto Ansa.
Antonio Maria Costa, 82 anni, ex vice Segretario generale delle Nazioni Unite. Foto Ansa. In alto e in copertina: il Palazzo di Vetro, il quartier generale dell'Onu a New York (Usa). Foto Ansa.

Settantotto anni compiuti lo scorso 24 ottobre, alle spalle una lunga storia, costellata di luci e ombre, e, davanti a sé, un futuro incerto: poche volte, come in questi ultimi mesi, l’Organizzazione delle Nazioni Unite è apparsa fragile di fronte alla complessità del mondo contemporaneo, fra nuove sfide planetarie e vecchi fronti di guerra, che tornano a insanguinarsi. Eppure, nonostante l’evidente stallo, il ruolo dell’Onu resta insostituibile, soprattutto nelle aree più povere e più periferiche del pianeta, dove le tante agenzie delle Nazioni Unite lavorano per portare sviluppo umano, salute, cultura.

Ne parliamo con Antonio Maria Costa, 82 annui, ultimo italiano a ricoprire, tra il 2002 e il 2010, il ruolo di vicesegretario generale Onu, dopo aver svolto incarichi apicali in organismi come l’Unione Europea, la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, l’Ocse.

«Sì, e la fragilità si rivela a vari livelli, sia nei conflitti attualmente in corso, sia guardando a un orizzonte più ampio. Certamente colpiscono la mancanza di iniziativa da parte dell’Onu e la debolezza dell’attuale segretario António Guterres nel facilitare un dialogo, pur difficilissimo, tra Russia e Ucraina, trovando un accordo che consenta, quanto meno, di porre fine alla fase più cruenta del conflitto. E anche sul fronte mediorientale, bisogna prendere atto di evidenti difficoltà».

Ma, diceva, dobbiamo guardare anche a un livello diverso…

«Sì, entrano in gioco problemi strutturali, più a lungo termine. Le Nazioni Unite sono state concepite dai Paesi vincitori del secondo conflitto mondiale, con una struttura che rifletteva l’assetto geopolitico dell’epoca. Sostanzialmente cinque Stati (tre colossi come Usa, Urss e Cina e due Paesi più piccoli, Gran Bretagna e Francia) si sono impossessati, attraverso il diritto di veto, dell’istituzione, riservandosi cioè la possibilità di paralizzare i lavori fino al soddisfacimento dei propri interessi. Nei decenni successivi al ’45 questa struttura, pur con varie carenze, ha funzionato».

 

Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite discute dell'ultima guerra tra Hamas e Israele, il 25 ottobre 2023. Foto Ansa.
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite discute dell'ultima guerra tra Hamas e Israele, il 25 ottobre 2023. Foto Ansa.

E oggi?

«Oggi il meccanismo non regge più, perché la scena internazionale è profondamente mutata. La Cina ha accresciuto la sua potenza, tanto da rivaleggiare con gli Stati Uniti, e si sono affacciate nuove superpotenze: India in primis, però anche Giappone e Brasile. Inoltre, non dimentichiamolo, c’è l’Unione Europea, che potrebbe avere un ruolo rilevante. Servirebbero nuove strutture. Il problema è che i Paesi con diritto di veto si rifiutano di abbandonare lo satus quo». Come se ne esce? «Per il momento, purtroppo, non se ne esce. Siamo, appunto, in una situazione di stallo. Sicuramente servirà del tempo». Quali sono gli Stati che più credono nell’Onu? «Sono quelli più deboli, quelli che non possono imporre la propria volontà economicamente o militarmente e che quindi sono più rispettosi della collegialità delle decisioni. Tra questi Stati figurano, bisogna dirlo, anche molti Paesi europei, che sono devoti alle Nazioni Unite e le sostengono. In effetti, attualmente, l’Europa non ha una voce politica imponente nel mondo. Meglio, quindi, appoggiarsi a istituzioni come le Nazioni Unite».

Come mai l’Onu appare più efficace nel contrastare emergenze alimentari o calamità climatiche, ma sembra balbettare quando, invece, si tratta di promuovere o imporre la pace?

«Le Nazioni Unite sono istituzionalmente rappresentate da un Segretario Generale, ma, prima di tutto, l’Onu siamo noi: noi cittadini e Paesi membri. Quindi, inevitabilmente, l’istituzione riflette anche il livello di sintonia o di conflittualità tra noi, come tra i nostri Sati. Può capitare, per esempio, che certi soggetti siano considerati da alcuni Stati come eroi, in situazioni da apprezzare ed elogiare, invece, da altri Stati siano considerati come terroristi. Quando questo capita, e capita spesso, la trattativa si blocca, qualsiasi sia lo sforzo del Segretario Generale».

 

Aiuti gestiti dall'Onu in transito, l'8 maggio 2023, all'aeroporto di Dubai e diretti alla popolazione del Sudan vittima della guerra. Foto Ansa.
Aiuti gestiti dall'Onu in transito, l'8 maggio 2023, all'aeroporto di Dubai e diretti alla popolazione del Sudan vittima della guerra. Foto Ansa.

Al di là degli evidenti difetti, quali sono, oggi, i pregi delle Nazioni Unite?

«La debolezza politica è evidente e, come ho detto, deve destare preoccupazione. Però le Nazioni Unite non sono solo il segretariato di New York, ma anche la grande costellazione di agenzie che lavorano sul campo e che sono assolutamente benefiche. Pensiamo all’enorme lavoro dell’Unicef a fianco dei minori, soprattutto in ambiti come scuola e vaccini; pensiamo alla Fao, con i suoi programmi alimentari, all’Organizzazione Mondiale della Sanità, all’Unhcr, che lavora a fianco di rifugiati e migranti, e pensiamo anche all’impegno culturale dell’Unesco. Insomma, l’Onu ha un segretario politico e ovviamente riflette le ambizioni degli Stati membri, però è anche una grande famiglia in grado di portare formazione, salute e sviluppo umano, specialmente nelle aree più povere e periferiche del pianeta. Questo non dobbiamo dimenticarlo. Anzi, forse è proprio da qui che converrebbe ripartire».

 
 
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