Contribuisci a mantenere questo sito gratuito

Riusciamo a fornire informazione gratuita grazie alla pubblicità erogata dai nostri partner.
Accettando i consensi richiesti permetti ad i nostri partner di creare un'esperienza personalizzata ed offrirti un miglior servizio.
Avrai comunque la possibilità di revocare il consenso in qualunque momento.

Selezionando 'Accetta tutto', vedrai più spesso annunci su argomenti che ti interessano.
Selezionando 'Accetta solo cookie necessari', vedrai annunci generici non necessariamente attinenti ai tuoi interessi.

logo san paolo
sabato 15 marzo 2025
 
 

Scurati e la superstizione nascosta

15/03/2012  Coversazione con lo scrittore-saggista Antonio Scurati in occasione del volume "Dove andremo a finire" di Angelo Comastri, disponibile da oggi con "Famiglia Cristiana".

È interessante notare come si possa giungere a riflessioni simili partendo da orizzonti diversi. Un’esperienza che trova sorprendenti conferme quando è in gioco il tema della spiritualità: a condizione, però, che l’interlocutore prenda sul serio il suo lavoro, lo viva come una vocazione. Antonio Scurati risponde in pieno a questo profilo: nei suoi romanzi – da Il sopravvissuto, Premio Campiello, al recente La seconda mezzanotte – come nei suoi saggi – da Guerra. Narrazioni e culture nella tradizione occidentale a Gli anni che non stiamo vivendo – è ravvisabile uno sguardo critico e profondo sull’uomo, sulla società, sugli idoli e le tendenze del presente. Intellettuale laico, non credente, raccoglie la sfida di parlare di spiritualità in relazione alla Biblioteca universale cristiana (Buc) di Famiglia Cristiana.

Il concetto, dice, «evoca un posto vuoto a tavola, indica il luogo di un’assenza, di cui però si avverte la presenza, il bisogno e il desiderio». parola spiritualità «fosse quasi impronunciabile, perché intesa come negazione del metodo filosofico stesso. Al mondo letterario, poi, risulta estranea: anzi, il suo ambito è occupato da una sorta di paraletteratura spiritualista, a opera di autori come Paulo Coelho. Eppure, quel vuoto rimane e, dall’esterno, si ha la sensazione che anche le istituzioni religiose abbiano in alcuni casi abdicato alla spiritualità come centro della propria missione».

Eppure, in essa ci si imbatte di continuo, anche come autori: «Quello spazio vuoto diventa il centro gravitazionale della mia scrittura, non perché affronti di petto la questione, ma perché qualunque storia si stia raccontando rivela un centro che la attira. Qualsiasi sia la materia su cui si sta lavorando, nella misura in cui si avvicina a tale centro vuoto, ritrova le forme e i riti della tradizione cristiana: quando si cercano le parole per dire il sacro, anche partendo da lontano, recuperiamo le parole del cristianesimo. Non è possibile un accesso al sacro al di fuori dei simboli delle religioni storiche».

Torna alla mente, nell’ultimo romanzo di Scurati, La seconda mezzanotte, una potente scena in cui un uomo in fuga da una Venezia trasformata in arena del vizio si imbatte in un gruppo di “resistenti”, che stanno celebrando un battesimo. Alla luce di queste considerazioni, lo scrittore ritiene che le chiese «dovrebbero essere o tornare a essere non solo scrigni d’arte, ma luoghi in cui lo Spirito si è fatto storia». E l’uomo di oggi? Come si rapporta al metafisico, all’invisibile, al religioso? «Ha fatto opera attiva di negazione della spiritualità. Ne è prova l’abitudine a cercare di spiegare fatti spirituali con categorie materiali: ma questo non è pensiero razionale, bensì la superstizione del nostro tempo. Anche l’ultima espressione metafisica, cioè l’amore romantico, oggi è degradata a sesso». 

Tema, questo, toccato nel suo Una storia romantica, mentre nell’ultimo romanzo, il già citato La seconda mezzanotte, è centrale la dimensione apocalittica. «Per me il cristianesimo è apocalittico, vive nell’attesa di un altro mondo. Possiede l’idea grandiosa che protendersi verso la fine è un modo di concentrarsi su ciò che viene prima, di scoprirne il senso. Ridurre il cristianesimo a pratica sociale, a scapito della meditazione sulla fine, è un grave errore. Esso è costituzionalmente rivolto al Regno che verrà». E invece noi uomini del terzo millennio sembriamo perlopiù «affetti da quella malattia che è il “presentismo”, una delle direttrici che ci tiene maggiormente lontani dall’esperienza spirituale e che riduce la fine della vita a un mero estinguersi, sotto una cappa nichilistica di angoscia».

Segui il Giubileo 2025 con Famiglia Cristiana
 
 
Pubblicità
Edicola San Paolo