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giovedì 30 marzo 2023
 
drammi della terza età
 

Anziani tra alcool e azzardo, una spaventosa normalità

21/09/2022  Un fenomeno sommerso spesso generato dalla solitudine. Si pensa siano 2.700.000 gli anziani a rischio. Studiosi e assistenti sociali spiegano  che spesso si sottostima il problema oppure, per vergogna, si interviene quando la situazione è troppo grave. Ecco i segnali d'allarme e i consigli su come agire

“Una spaventosa normalità”: è la caratteristica che accomuna il consumo patologico di alcol e il gioco d’azzardo nella fascia anziana della popolazione. Un fenomeno sommerso, sottostimato (l’Istituto Superiore di Sanità stima in 2.700.000 gli anziani a rischio per patologie e problemi alcol correlati, circa un anziano su cinque; nel 2019 il gioco ha bruciato 111 miliardi, quasi la stessa entità della spesa sanitaria), che divora intere famiglie ed è particolarmente complesso da gestire per i servizi.

 

Un seminario di formazione Cisf-Ordine Assistenti Sociali Lombardia

Se ne è parlato ieri – 20 settembre - a Milano nel corso del seminario di formazione Anziani, gioco d’azzardo e alcol: il ruolo possibile di servizi e operatori domiciliari e di prossimità, frutto di una collaborazione tra il CISF-Centro Internazionale Studi Famiglia e l’Ordine Assistenti Sociali della Lombardia.

«Alcol e gioco d’azzardo hanno in comune un’ampia presenza e diffusione nella vita quotidiana delle persone, basti pensare ai bar con le macchinette, ai Gratta-e-Vinci nelle tabaccherie, o ai bicchieri di troppo consumati per alleviare solitudine, noia, sofferenze emotive», ha spiegato Beatrice Longoni, assistente sociale specialista che ha illustrato una ricerca unica, realizzata tra il 2020 e il 2021, che ha messo a fuoco il fenomeno attraverso le risposte di oltre 2mila assistenti sociali lombardi (Gioco d’azzardo e alcol in età anziana: pensieri ed esperienze degli assistenti sociali lombardi).

L’accettazione sociale legata al bere e al gioco, insieme alla fatica che si fa a riconoscere quando inizia l’eccesso, e alla vergogna sociale delle famiglie nell’ammettere che esiste un problema, fa sì che il fenomeno arrivi a deflagrare quando ormai i problemi (economici, di salute, di relazione familiare e sociale) hanno già fatto terra bruciata intorno.

 

Dipendenze tardive, maturate nella solitudine

«Immaginate un anziano che ha lavorato tutta la vita e che, all’improvviso, da pensionato, si ritrova ad avere tutta la giornata vuota. Si avvicina a quei bar e tabaccherie che hanno sale per le macchinette, e comincia a trascorrere lì il proprio tempo. A poco a poco, persone insospettabili, che nella vita non avevano mai nemmeno sperimentato il gioco d’azzardo “tradizionale”, come i casinò o l’ippica, si ritrovano a consumare l’intera liquidazione, o i risparmi di una vita tra macchinette e Gratta-e-Vinci», ha spiegato un delegato dei Giocatori Anonimi, presente al seminario insieme a membri degli Alcolisti Anonimi e dei Club ACAT. «La componente di vergogna e sofferenza, in questi casi, è altissima. Nei nostri gruppi accogliamo anziani distrutti dal dolore, aggravato dalla consapevolezza di non avere più molto tempo, nella propria vita, per rimediare al male fatto ai figli e alla propria famiglia».

I giocatori e i bevitori “tardivi” (che cominciano ad avere comportamenti patologici dopo i 65 anni di età) sono un fenomeno che gli assistenti sociali conoscono bene: dopo una vita assolutamente “regolare”, la fase della pensione, una vedovanza, i figli lontani, rendono gli anziani estremamente vulnerabili. «La solitudine è il fattore di rischio più alto per questi comportamenti problematici», ha spiegato Beatrice Longoni. Nel caso dell’alcol, ad esempio, è necessario tenere conto che la soglia di tolleranza diventa più labile con l’avanzare degli anni, e il “basso rischio” resta circoscritto al consumo di un calice di vino al giorno.

Quali i segnali d’allarme

«Tra i segnali d’allarme di una situazione di abuso di alcol noi rileviamo la progressiva trascuratezza nella propria persona e nella casa; la presenza di bottiglie negli scaffali; l’addome gonfio; le mani arrossate; i problemi di deambulazione. E poi, la richiesta di comprare alcol nella spesa mensile, il denaro della pensione che finisce rapidamente e che non basta per arrivare a fine mese, il nervosismo se non l’aggressività quando si tenta di affrontare la questione», spiega Sara Pizzetti, educatrice professionale e coordinatrice di custodi sociali a Milano.

«La dipendenza da alcol, come quella da gioco, comincia da lontano. Ci sono delle difficoltà emotive e relazionali che gli anziani hanno potuto controllare in tutta la loro vita attiva e che poi, nella fase più delicata del pensionamento, emergono in tutta la loro forza. In una società legata alla performance e alla produttività come la nostra, c’è il timore di ‘non servire più a nessuno’: noi ascoltiamo molti anziani che vivono questo dramma, e cerchiamo di aiutarli facendoli sentire parte del gruppo, coinvolgendoli in una partecipazione che fa parte del cambiamento», ha spiegato il delegato degli Alcolisti Anonimi, realtà che in Italia celebra 50 anni di presenza e attività di aiuto.

 

Cosa fare?

Come rispondere al fenomeno e farsi portatori di interventi anche di prevenzione? La complessità del problema, hanno ammesso gli assistenti sociali, non consente risposte univoche. Certamente è necessario procedere implementando la formazione e rafforzando le alleanze tra varie realtà (servizi per anziani, Sert, Gruppi di Auto-Mutuo Aiuto, ma anche medici di base e ospedali). Poi è necessario contribuire a cambiare la cultura, sensibilizzando e informando, ad esempio, sui rischi sanitari e sui danni legati al consumo di alcol e gioco d’azzardo. Sul piano degli interventi sul territorio, è importante valorizzare tutti i momenti di aggregazione degli anziani e impiego positivo del tempo, sostenendo tutti i luoghi aggregativi “sani” alternativi a quelli a rischio (ad es. i centri aggregativi per anziani, sedi associative dedicate, Università della terza età), mantenere alta l’attenzione, a livello comunitario, rispetto alle situazioni a rischio che possono essere intercettate precocemente.

 

Tre sfide aperte

«Il tema che abbiamo affrontato nell’ambito di questo seminario è innovativo e sfidante, per tre principali motivi», spiega Francesco Belletti, direttore Cisf. «La sfida dell’integrazione dentro i servizi e dentro le reti (anziani e dipendenze, servizi, operatori della cura e relazioni familiari e di vicinato), ma anche in tutte le relazioni corte, primarie, prima di tutto familiari, poi amicali, di vicinato, ecc., che sono (o possono essere, adeguatamente stimolate). In particolare ci pare importante l’intergenerazionalità, come dimensione in cui serve pensare alla condizione anziana come ridefinita dentro l’intreccio tra le generazioni, non solo all’interno delle reti familiari, ma anche a livello comunitario».

Belletti ricorda poi la sfida della presa in carico precoce e la sfida della promozione del soggetto, «una sfida di estrema complessità, questa, sia per la famiglia che per i servizi sociali e più in generale per il welfare di aiuto a livello micro-sociale, e che mi pare assuma anche implicazioni etiche e deontologiche: la difficoltà di adottare un processo di promozione della autonomia e dignità del soggetto e della sua libertà quando proprio la libertà del soggetto sembra essere il motore della sua propria dipendenza (si può parlare di empowerment, di promozione della resilienza delle persone, di promozione della capabilities o delle competenze residue)».

 

Info: www.cisf.itwww.ordineaslombardia.it

 
 
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